Il turismo del vino in Italia è una potenzialità parzialmente inespressa. Il giro d’affari stimato per il 2017 secondo il XIV° rapporto nazionale del comparto enoturistico è 2,5 miliardi di euro, e non è poco se si pensa che l’export complessivo dell’Italian wine vale poco più del doppio (5,4 miliardi), ma dal confronto con i territori più organizzati e sviluppati, emerge la necessità di alzare l’asticella della sfida. Nella sola Napa Valley, per esempio, il giro d’affari arriva a 2 miliardi di dollari e la California certamente supera il giro d’affari italiano per il wine tourism.
Da attività episodica, lanciata negli anni Novanta con Cantine Aperte, l’accoglienza si è trasformata in affare continuativo, il cui modello di business prevede almeno quattro forme possibili di redditività: la vendita diretta, il ticket d’ingresso (con relativo servizio di degustazione), la ristorazione e il pernottamento. Fare il vino, in prospettiva, diventerà solo una parte del lavoro svolto in cantina. Tutto il resto contribuirà ad aumentare la marginalità per le imprese, e al tempo stesso il valore e la percezione del brand.
Le imprese hanno investito in questi anni e i casi di eccellenza, da Antinori a Terra Moretti fino a Duca di Salaparuta per citarne alcuni tra quelli considerati nell’ultimo numero di Pambianco Magazine Wine&Food, sono distribuiti in tutto il territorio nazionale. A frenare le aziende sull’attività di incoming sono da un lato gli investimenti necessari e dall’altro i limiti di sistema, a cominciare dalla scarsa chiarezza legislativa. Nell’ultima legge di bilancio, approvata dal governo Gentiloni, era stato inserito e approvato un emendamento che consentiva finalmente a tutte le aziende italiane di svolgere le attività enoturistiche in cantina, prima sostanzialmente abusive. Poi però l’iter si è bloccato per ragioni che Donatella Cinelli Colombini, presidente dell’associazione Le Donne del Vino e antesignana dell’enoturismo in Italia in quanto ideatrice di Cantine Aperte, ricollega all’attribuzione delle competenze sull’enoturismo al ministero dell’Agricoltura, in assenza di un dicastero specifico per il turismo. “Il nuovo ministro Centinaio è esperto di turismo e credo pertanto che darà un indirizzo chiaro, cancellando tutte le cose inutili che sono state aggiunte nel frattempo”, afferma l’imprenditrice. “Vino e turismo sono cose ben diverse e dagli ordini di grandezza altrettanto differenti. Il primo vale 80 miliardi di dollari a livello mondiale, il secondo 1.300 miliardi. Il turismo non si improvvisa, ma rappresenta ben più di un’opportunità”. In altre parole, gli investimenti delle aziende non possono bastare, anche perché le aziende italiane sono mediamente piccole. Per decollare in maniera organizzata, occorre una strategia a livello Paese.