Lo chef tre stelle michelin si è trasformato in brand ispirandosi alla moda e impostando, nell’alta ristorazione, il passaggio da haute couture a prêt-à-porter.“La replicabilità si ottiene investendo in formazione”.
Niko Romito è un case history da manuale. Partendo da una provincia tanto bella quanto remota, lo chef abruzzese è riuscito nell’impresa di creare un brand globale avviando partnership innovative tra alta ristorazione, lusso e finanza, aprendosi al mondo ma restando fedele alla sua terra. Con l’arrivo della prima stella Michelin, poi della seconda e infine con la consacrazione della terza, non sono mancate le proposte, “allettanti e lusinghiere” come i canti delle sirene di Ulisse… Ma Romito, come l’eroe di Omero, ha resistito. “Rimanere in Abruzzo è stato difficile. Ho più volte raccontato di quanto fossero duri i primi anni, nei quali mi ostinavo a fare una cucina di ricerca mentre il ristorante era quasi sempre semivuoto”, ricorda ora lo chef del Reale di Castel di Sangro. Una resistenza che però non significava chiusura o localismo bensì ricerca di identità, consapevolezza, nel tentativo di conoscersi a fondo per poi farsi conoscere. Oggi Romito è lo chef scelto da Bulgari per sviluppare la ristorazione negli hotel del brand del gioiello, ma anche il protagonista di un’operazione con Italia Cibum e Banca Profilo per diffondere il format Spazio Niko Romito, con un piano da 20 milioni per otto ristoranti in cinque anni: la prossima apertura sarà a New York. Tutto è stato creato mantenendo l’headquarter in provincia dell’Aquila con la voglia di aprirsi al mondo. “Credo – afferma in quest’intervista – che internazionalizzare non significhi solo trasferire il proprio ristorante o il proprio staff in un altro Paese, ma costruire un modello che sappia parlare a persone diverse da noi, raccontando chi siamo in maniera autentica”.
Come nasce il patto con Bulgari?
È stata per me una grande sfida e, in un certo senso, la realizzazione di un sogno nel cassetto. Quando vado all’estero vedo tantissimi ristoranti che offrono una cucina pseudo-italiana e che in realtà italiana non è, e ho sempre sognato di poter raccontare al mondo la nostra vera cucina. Bulgari mi ha offerto questa opportunità. Ho lavorato per un anno insieme al mio staff per ideare un menù che fosse una sorta di antologia dei grandi classici della cucina italiana, riletti a modo mio, alleggeriti nei grassi, con cotture dolci e mantenimento delle strutture, con sapori autentici e netti come piace a me. Abbiamo stilato un catalogo di 150 piatti che rappresentano il meglio del mangiar bene italiano. Abbiamo elaborato un concept ad hoc.
Quanti ristoranti sono previsti?
A settembre abbiamo aperto a Pechino, a dicembre a Dubai, prima dell’estate sarà la volta di Shanghai e poi a seguire Milano e Mosca l’anno prossimo. Il progetto si sposa perfettamente con la mia idea di standardizzazione, perché tutti gli hotel avranno lo stesso menù, e di replicabilità: l’obiettivo infatti è offrire nei vari Bulgari Hotel del mondo lo stesso concetto e la stessa immagine della cucina italiana, fatta di eleganza, equilibrio, pulizia.
E la partnership costituita per Spazio? C’è qualche precedente a cui si è ispirato?
Il piano industriale prevede circa 20 milioni di euro di investimento. Advisor dell’operazione è stata Banca Profilo, che ha costituito un club deal di investitori privati che hanno creduto nel progetto e sono ora nostri soci. A livello finanziario è stata un’operazione molto interessante, a livello gastronomico non ci sono precedenti in Italia. Io mi sono ispirato ai grandi francesi, da Alain Ducasse con i suoi diversi ristoranti a Joël Robuchon con gli atelier, ma con la diversa intenzione di portare nel mondo non la versione “alta” della mia cucina, bensì una versione semplificata, di mezzo. Quella di Spazio, appunto.
Come riesce a declinare un’offerta differenziata tra tutti i “prodotti” lanciati?
Nel mio sistema, ogni progetto ha le sue caratteristiche, i suoi budget, il suo modello di offerta e di servizio. Reale è il ristorante gastronomico, tre stelle Michelin, luogo di ricerca per eccellenza. Spazio è la cucina “di mezzo”, né gourmet né trattoria, il modello che ho sviluppato per raggiungere un pubblico ampio. Quella de Il Ristorante Niko Romito, nei Bulgari Hotels, è la cucina italiana classica interpretata in chiave moderna, a modo mio. Il marchio Bomba, che decollerà quest’anno, è il cibo da strada per eccellenza e nasce dalla tradizione pasticcera della mia famiglia, declinata anche in versione salata con ripieni gourmet. Poi ci sono gli ospedali e la ristorazione collettiva, con Intelligenza Nutrizionale (IN). Sono tutti progetti diversi, pensati e gestiti ognuno in maniera originale a seconda del modello di applicazione ma uniti dal filo rosso della mia cucina.
Lei accosta i menu per gli ospedali a quelli del Reale, in un accostamento quasi “blasfemo”…
E invece posso dire di aver riportato al Reale alcune “scoperte” fatte durante il lungo periodo di ricerca e sviluppo del protocollo di IN. Simile il caso del pane: dopo anni di studio svolti nei laboratori di Casadonna (l’ex monastero divenuto dal 2011 sede del Reale, ndr), l’ho portato nel nuovo Spazio Pane e Caffè di Roma con la fetta di pane condita sia a colazione che a pranzo, i panini, i toast, il pane da asporto che vendiamo in Italia e all’estero ricorrendo alla catena del freddo da noi perfezionata. Questo lavoro è alla base del nuovo marchio, Pane, che raccoglie sotto di sé la ricerca e sviluppo sui nostri lievitati, la produzione e la distribuzione di pane su larga scala. Partiremo ad aprile con una produzione di 1000kg di pane al giorno, insieme ad un partner che ci fornisce il servizio di logistica.
Come vengono gestiti i brand?
Oggi il mio mondo è un “sistema” imprenditoriale con diverse aziende, ognuna con una sua autonomia, ma per arrivare fino a qui io sono partito dal Reale, da un ristorante. Anzi, da un ristorante gastronomico dove facciamo innanzitutto ricerca. Poi ho aggiunto la scuola di cucina, Accademia Niko Romito, e oggi l’organizzazione delle mie cucine parte a monte dalla formazione di persone che conoscono profondamente la mia filosofia ed etica di cucina. Man mano che li ho sviluppati, ho riverberato questa organizzazione anche sugli altri progetti: ognuno è strutturato sulla base di un modello che prevede sempre le stesse fasi: ricerca – definizione di un modello – test – protocollazione – standardizzazione. Diversamente non potrei garantire lo stesso livello di qualità in tutti i ristoranti Spazio, in tutti i Bulgari Hotels. Il mio è un sistema che si autoalimenta e che ha il suo perno nel polo gastronomico di Casadonna, da cui parte un grande sistema di vasi comunicanti. In ogni nuovo progetto acquisiamo conoscenze che riportiamo negli altri, e così è anche per il personale, sia di sala che di cucina.
Prevale il modello line o quello staff?
In generale, l’organizzazione aziendale è verticistica: dall’alto verso il basso si definiscono ruoli, mansioni e responsabilità. Abbiamo alcuni uffici condivisi tra le varie realtà come quelli dell’amministrazione, finanza e controllo, marketing e comunicazione. Poi ogni ragione sociale ha le sue specificità. Ad esempio, per quanto riguarda la cucina, noi diamo un numero a tutto: scomponiamo i piatti nei singoli ingredienti e facciamo analisi sul loro consumo, sui costi dei vari ingredienti, cerchiamo di ottimizzare l’approvvigionamento delle materie prime e di ridurre sprechi e food cost anche grazie alle procedure di trasformazione. Usiamo molta tecnologia in cucina per rendere i processi di lavorazione stabili e replicabili, i piatti sempre più buoni e più sani, puntando a una trasformazione dolce che rispetti al massimo la materia prima.
Uno chef è certamente un brand, ma può essere anche un modello di impresa?
Potenzialmente sì, dipende dallo chef e dal tipo di lavoro che fa. Il cuoco per definizione crea prodotti (gastronomici), ma non tutti i cuochi mettono a sistema e trasformano in impresa i loro prodotti. Io lo sto facendo, lavorando molto sui contenuti e realizzando “prodotti” che sono riconducibili a me, pur vivendo di vita propria.
L’impressione è che oggi nella ristorazione stia avvenendo qualcosa di già osservato nella moda, tanti anni fa, con la nascita dei primi stilisti/imprenditori alla Giorgio Armani…
Per alcuni versi, con il mio gruppo stiamo facendo un’operazione simile alla diffusione del prêt-à-porter che si è verificata in Italia tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, quando gli stilisti si sono “industrializzati” e le competenze dell’alta moda sono state tradotte in prodotti di larga scala. Mi sento vicino al lavoro del designer, che applica la sua creatività nello studio e nella definizione di un prodotto e, una volta centrato, lo distribuisce in serie. Il Reale è il luogo dove nasce tutto, ma poi a partire da lì io cerco di incanalare la creatività in format che siano replicabili; proprio come fa il design, con l’obiettivo di migliorare determinati aspetti della sfera di applicazione che nel mio caso è la cucina. Così è nato Spazio, per offrire un’esperienza di intrattenimento piacevole e di livello a prezzi contenuti in maniera seriale, riproducibile ovunque.
Fino a che punto crescerà il brand?
Non vedo grandi limiti, se non quelli di rispettare alti standard di qualità e proporre una cucina davvero buona, davvero italiana, come stiamo cercando di fare noi.
Se così fosse, un giorno anche nella ristorazione potremmo assistere a marchi che sopravvivono ai loro stilisti ovvero agli chef. Pensa che sia possibile?
Se crei un metodo, un concetto, una filosofia, questa sopravvive alle persone, a maggior ragione se la metti a sistema. Io l’ho fatto con il mio lavoro, attraverso la formazione: a Castel di Sangro abbiamo formato oltre 200 alunni negli ultimi 6 anni, ragazzi che in giro per l’Italia e per il mondo portano una cucina che si basa sui principi, le tecniche e le metodologie che hanno appreso da me. Ci sono già molti ristoranti in Italia che, pur non portando il mio nome, applicano un modello di cucina riconducibile a me. Gli allievi sono la mia eredità, quello che lascio ai posteri. I miei ristoranti, la scuola di formazione, i vari format dove lavorano persone formate da me, sono un sistema, che si fonda sulla mia filosofia di cucina e la applica a vari livelli e in contesti diversi.
di Andrea Guolo