Il blocco del canale horeca complica certamente la vita ai produttori di vino, ma il conto per gli specialisti degli spirits rischia di essere ancora più pesante. Se infatti nel mondo del vino, o almeno per una parte di esso, le vendite in grande distribuzione hanno compensato il blocco totale degli ordini per il fuori casa, per i superalcolici non si sta verificando nessuna mitigazione del danno. Così Federvini, l’associazione che rappresenta anche le realtà italiane degli spirits, calcola un crollo del fatturato del 60% in poco più di un mese dalla emergenza, con prospettive di veder dimezzati gli incassi per l’intero 2020.
“Secondo le nostre valutazioni – afferma Micaela Pallini, imprenditrice del settore e presidente del gruppo spirits in Federvini – il danno immediato del 60% si trasformerà in un calo del 50%, almeno, da qui a un anno, andando progressivamente riducendosi con la riapertura degli esercizi pubblici e l’allentamento delle restrizioni, assestandosi a una riduzione strutturale del 20% a due anni dall’inizio della pandemia”. E avverte: “Se non si agirà immediatamente, questo -20% secco rischia di avere conseguenze anche più dure e durature sugli investimenti e sulla creazione di ricchezza per il Paese nel medio e lungo periodo”.
Le azioni richieste da Federvini sono la cancellazione dell’obbligo del contrassegno fiscale, la sospensione del versamento dell’accisa almeno fino al termine della fase emergenziale (aprile-luglio) per non appesantire la crisi di liquidità che le aziende stanno incontrando, la defiscalizzazione del fatturato conseguito con l’attività di export.
Le imprese liquoristiche, denuncia l’associazione, sono arrivate alla vigilia della crisi già indebolite e non solo per il dazio del 25% ad valorem applicato da ottobre negli Stati Uniti sugli spirits in ingresso dall’Europa, ma anche per i recenti aumenti nazionali delle imposte sugli alcolici.
Il comparto italiano degli spirits conta 320 aziende, di cui il 75% interamente a capitale familiare italiano, mentre il restante 25% è composto “da aziende globali che hanno sede e pagano le tasse in Italia”, precisa la federazione. Circa l’80% delle imprese è costituito da piccole e medie imprese.