Russia e Cina sono i mercati dove il vino italiano è aumentato di più. In negativo Germania e Gran Bretagna. Obiettivo: tornare primi negli Usa e aumentare il market share a Pechino.
Un 2017 in chiaroscuro per l’export vinicolo italiano. Il nuovo record commerciale di 5,9 miliardi di euro, risultato di un +6,2% anno su anno tutt’altro che disprezzabile, va letto in maniera approfondita ed è chiaro che senza il super Prosecco – tra il 2007 e il 2017 l’export di spumanti made in Italy è cresciuto del 240% a fronte di una media mondiale del +50% – ci sarebbe ben poco da brindare…
USA, BATTUTI DAI FRANCESI
Innanzitutto, anche se di poco, negli Stati Uniti non siamo più i primi della classe nella graduatoria che conta ovvero quella del valore. I francesi, protagonisti di una crescita monstre dovuta soprattutto ai richiestissimi rosè di Provenza (+50% lo scorso anno), ci hanno superato con 1,65 miliardi di vini esportati oltreoceano contro i nostri 1,64 miliardi: la Francia ha aumentato gli introiti del 13,5%, l’Italia soltanto dell’1,3 percento. I dati elaborati da Wine Monitor Nomisma evidenziano inoltre due segni negativi nel podio delle destinazioni del vino italiano e sono quelli legati alla Germania, che lascia sul terreno l’1,4% del valore, e ancor più alla Gran Bretagna, in caduta di quasi il 7 percento. A contribuire maggiormente alla crescita dell’export italiano è stata pertanto la Russia, sfiorando il +35% anno su anno, ma nel caso di Mosca si tratta di un ritorno ancora parziale, dopo il crollo degli ultimi tempi. È poi notevole il dato proveniente dalla Cina, +18,6%, che spinge finalmente Pechino nella top ten delle esportazioni, anche se soltanto al decimo posto e per un valore ancora troppo basso rispetto alle potenzialità: appena 143 milioni di euro, mentre la Francia ha superato il miliardo di dollari. Pur crescendo, l’Italia del vino sconta una doppia penalizzazione. Nei mercati tradizionali continua a dipendere eccessivamente dalle prime tre destinazioni, che messe assieme valgono oltre il 50% dell’export e soprattutto non sono più trainanti. Quanto agli emergenti, sottolineano da Veronafiere, l’Italia non riesce a ottenere le quote e i valori che invece sarebbero alla sua portata. Il risultato, nell’ipotetico derby italo-francese per il titolo di top exporter, è nettamente a favore dei transalpini, che sono market leader in 29 Paesi contro 16.
PIANO ADV DA 11 MILIONI
Partendo da queste basi, parrebbe scontata la decisione di indirizzare i principali investimenti a livello di sistema verso i Paesi emergenti. Tuttavia, la sfida negli Stati Uniti è tutt’altro che chiusa perché al di fuori di New York, Washington, California, Texas e Florida, ci sono aree dell’Unione sostanzialmente inesplorate e perciò allettanti. E proprio agli Usa saranno destinate le risorse più consistenti. “Investiremo circa 8 milioni negli Usa e 3 milioni in Cina nei prossimi 12-18 mesi”, ha affermato il presidente di Agenzia Ice, Michele Scannavini, presentando la campagna di comunicazione “Italian wine – taste the passion”, realizzata da Ice per promuovere il vino italiano all’estero. E sempre agli States sarà dedicato il focus di approfondimento di quest’anno da parte di Vinitaly con Nomisma Wine Monitor all’interno dell’outlook denominato “Il futuro dei mercati, il mercato del futuro”, per realizzare uno strumento di analisi efficace in termini di potenziamento o accesso ai Paesi strategici per il vino italiano. “Stati Uniti e Cina sono stati individuati come le due priorità – ha continuato Scannavini – perché nel primo Paese vogliamo riguadagnare la leadership e nel secondo siamo ancora piccoli ma c’è spazio e concreta possibilità di crescere. L’obiettivo è raddoppiare l’export entro cinque anni, recuperando una quota di mercato dignitosa e allineata a quella che l’Italia vanta in altri mercati”. Si parte da un 6%, davvero troppo poco.
di Luca Zappi