Il 2021 ha visto una ripresa dei consumi di salumi, sia in Italia (+5,4% in volume) che all’estero (export +15,2% a volume e +12% a valore) oltre che della produzione (+7% in volumi e + 6,2% in valore), anche se rispetto al 2020 sono cresciuti esponenzialmente i costi di produzione e le difficoltà del settore. È quanto è emerso dall’assemblea annuale di Assica, l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito di Confindustria, rappresenta le imprese di macellazione e trasformazione delle carni suine.
Nonostante lo scorso anno le mancate occasioni di consumo fuori casa abbiano ancora penalizzato la domanda interna rispetto ai livelli pre-pandemia, la disponibilità al consumo dei salumi si è attestata a 17 kg, contro i 16,2 kg del 2020 (+5,4%), corrispondente a un consumo medio reale pro capite di circa 11,3 kg all’anno. La struttura dei consumi interni ha così visto al primo posto sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 27,1% del totale dei salumi, seguito dal prosciutto crudo al 21,9%, da mortadella/wurstel al 18,8%, dal salame all’8% e dalla bresaola al 2,5 per cento. Chiudono gli altri salumi al 21,7 per cento.
Anche la produzione di salumi è tornata a crescere, dopo l’importante flessione registrata nel 2020 a causa della pandemia, e ha chiuso i dodici mesi attestandosi a 1,2 miliardi di tonnellate dagli 1,1 miliardi del 2020 (+7 per cento). In aumento è risultato anche il valore della produzione salito a 8,4 miliardi di euro (+6,2%) da 7,9 miliardi del 2020.
In forte aumento sono risultate le esportazioni che, secondo l’Istat, hanno segnato un nuovo record: quasi 198mila tonnellate per un fatturato di 1,8 miliardi di euro, registrando un aumento a due cifre sia a volume (+15,2%) sia a valore (+12 per cento). Un recupero che segna il superamento dei livelli pre-pandemia, mettendo a segno un +7,9% in quantità e un +15,6% a valore rispetto al 2019.
Per quanto riguarda le aree geografiche, hanno evidenziato una solida crescita sia le esportazioni verso l’Ue sia, soprattutto, quelle verso i Paesi terzi, trainate dal boom degli invii verso gli Usa. Nel complesso dei 12 mesi, le spedizioni verso i partner comunitari hanno evidenziato un +13,6% in quantità per circa 136mila tonnellate e un +10,4% in valore per circa 1,2 miliardi di euro. Ottimo 2021 anche per gli scambi con i Paesi extra Ue che, con arrivi di salumi italiani per circa 62mila ton per un valore di 629 milioni di euro, hanno registrato un +18,9% a volume e un +15,3% a valore.
Quanto al primo trimestre del 2022, si legge nella nota, le esportazioni di salumi italiani hanno registrato ancora una crescita: +5,4% in quantità per un totale di oltre 44mila tonnellate e +9% in valore per 431,5 milioni di euro. Un dato importante che conferma l’apprezzamento per i nostri salumi e che avrebbe potuto essere ancora più robusto senza il freno rappresentato dalla peste suina africana. Molto bene le esportazioni verso l’Ue: +6,4% per un totale di 31.323 tonnellate esportate e +9,1% per un fatturato di 291 milioni di euro. Perdono slancio, invece, le esportazioni verso i Paesi Terzi (+3,1% a volume e +8,7% a valore) che, nonostante gli ottimi risultati di Usa (+38,6% a volume e+38,4% a valore) e Regno Unito (+16,0% volume e +17,9% a valore), scontano il rallentamento di molti altri importanti partner, in particolare i Paesi asiatici che non applicano con riferimento alla peste suina africana il principio di regionalizzazione.
L’associazione lancia dunque l’allarme: con l’incremento dei costi di produzione, la guerra in corso, i casi di peste suina africana sul territorio nazionale che stanno danneggiando le esportazioni e i timori per nuove ondate del Covid-19 in autunno, lo scenario attuale desta serie preoccupazioni.
“Le aziende hanno finora retto, riducendo progressivamente i propri margini – ha commentato Ruggero Lenti, presidente di Assica -. È importante sottolineare infatti come l’incremento dei costi dei fattori produttivi e dei servizi non si sia tradotto in un incremento dei prezzi unitari dei salumi, che anzi hanno evidenziato nel 2021 un rientro rispetto all’anno precedente. L’incremento dei prezzi delle commodity e di tutti i costi di produzione è stato dunque assorbito dalle aziende del settore, ma l’aumento anche dei costi della materia prima ha determinato una situazione non più sostenibile. Per quanto riguarda l’impatto della peste suina africana sull’export, poi, i dati del primo trimestre evidenziano ancora una crescita, ma l’analisi dei mercati rivela che i Paesi Terzi che non applicano la regionalizzazione stanno registrando una battuta d’arresto: -27,6% sia a volume sia a valore. Un dato che ci ricorda quanto sia urgente intervenire su questo fronte”.
L’appello è rivolto alle istituzioni, invitate a collaborare per assicurare alle aziende la stabilità necessaria a operare, investire e innovare.