L’istruzione è alla base del mondo del lavoro ma come si articola? si parte dalle superiori,
e quindi dall’alberghiero, protagonista, negli ultimi anni, di un boom di iscrizioni, oggi però in calo. Complice, forse, il livello formativo non adeguato. Nel frattempo si fanno largo le scuole di alta formazione
Passioni, opportunità, territorialità sono solo alcuni degli elementi che influiscono sulla scelta di una carriera nel campo della ristorazione. A questi, negli ultimi anni, si è aggiunto anche il fattore ‘tendenza’ che, con programmi televisivi costantemente in prima linea nel promuovere la figura dello ‘chef star’, ha particolarmente influenzato le scelte dei giovani studenti. Non a caso, infatti, secondo i dati Istat, nel periodo 2009-2014, gli iscritti alla scuola alberghiera (più formalmente Istituto per l’enogastronomia e ospitalità alberghiera) sono aumentati del 25 per cento, registrando così una crescita senza uguali. Ora, però, il boom di iscrizioni sembra in fase di rientro. Se, infatti, nell’anno scolastico 2017/18 gli iscritti al primo anno erano 39.006, nel 2018/19 il numero è passato a 31.821 mentre per l’anno scolastico 2019/20 gli iscritti sono ‘appena’ 29.636 (dati Miur). Nonostante il calo nelle iscrizioni, l’alberghiero rimane comunque il più gettonato tra le scuole professionali, in quanto capace di catalizzare il 40% circa (per 100 iscritti al percorso professionale) degli iscritti al primo anno di scuola secondaria di secondo grado (seguono, poi, manutenzione e assistenza tecnica con il 12,5%, servizi per la sanità e l’assistenza sociale con l’11,3%, etc). Guardando il campione, si evince poi che l’alberghiero è l’indirizzo che nelle regioni del sud raccoglie più adesioni rispetto alla media nazionale, in quanto la territorialità “rappresenta un importante fattore dal momento che la finalità di tale percorso è proprio quella di acquisire le competenze necessarie per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento”, riporta una nota del Miur. Al primo posto, in questo senso, si colloca la Campania (55,5 per 100 iscritti al percorso professionale), seguita da Sicilia (55,4), Lazio e Molise (51,7), Calabria (49), Sardegna (42,8), a fronte di valori più bassi in, per esempio, Lombardia (24,5), Friuli Venezia Giulia (23,5), Liguria (35,1), Piemonte (38,8).
ORGANIZZAZIONE
Ma come si articola, esattamente, questo primo percorso verso il mondo del lavoro? Strutturato in cinque anni, prevede tre indirizzi: enogastronomia, servizi di sala e di vendita, ed accoglienza turistica. Il primo biennio è comune a tutte e tre le specializzazioni, mentre, a partire dal terzo anno, si ha la differenziazione del piano di studi. Per quanto riguarda l’indirizzo enogastronomico, le materie insegnate spaziano da scienza e cultura dell’alimentazione a diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva, fino ai laboratori di servizi enogastronomici (settore cucina e settore sala e vendita). Discipline, queste, insegnate, seppur con alcune variazioni in termini di ore, anche nel corso servizi di sala e di vendita.
SCUOLE DI ALTA FORMAZIONE
Quando l’istruzione superiore non basta, però, ecco entrare in gioco le scuole d’alta formazione che, forti di risorse di prim’ordine (economiche e professionali in primis), si propongono come il non plus ultra del percorso accademico di chi vuole lavorare nel mondo della ristorazione. “Sebbene dipenda molto da istituto a istituto, il sistema educativo italiano non è in generale attrezzato per essere al passo di quanto richiesto dal mercato del lavoro”, ha spiegato a PambiancoWine&Food Andrea Sinigaglia, direttore di Alma – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana. “Il modello applicato dalle scuole alberghiere superiori è infatti molto datato, sia per la tipologia delle materie che per le modalità con cui vengono insegnate. È fondamentale che anche le istituzioni intervengano per colmare il gap tra quanto proposto a scuola e quanto richiesto dal mondo del lavoro”. Oggigiorno, infatti, “il cambiamento nella ristorazione è rapidissimo, non solo nascono sempre più nuovi format, ma anche i clienti cambiano le modalità di fruizione, pertanto l’approccio di cuochi e personale di sala deve tenere conto di tutte queste variabili ed essere quindi in grado di acquisire una specifica forma mentis capace di far fronte ad ogni situazione e, addirittura, di precederla”. Un risultato a cui Alma cerca di arrivare con Next Generation Chef, il progetto, nato in occasione di Expo 2015, che ha come obiettivo quello di “indagare sulle aspettative, i desideri e le visioni dei giovani cuochi, per poi analizzarli e trasformarli in una didattica piena di prospettiva”. Contenuti attuali e formazione orientata all’inserimento nel mondo del lavoro sono punti condivisi anche da Fabio Bucciarelli, direttore dell’Accademia Niko Romito, la scuola di alta formazione e specializzazione professionale dedicata al mondo della ristorazione e della cucina fondata nel 2011 dallo chef Niko Romito, che sottolinea come un altro elemento importante sia “guardare alla ristorazione nel suo complesso, e non solo ai ristoranti gourmet”. Secondo Bucciarelli, infatti, “non possiamo pensare di formare cuochi che cucinino solo nei ristoranti stellati, ma dobbiamo formare adeguatamente le persone che andranno a lavorare nella ristorazione di fascia media come osterie e trattorie, nella ristorazione collettiva, perché è lì che ci sono i grandi numeri ed è lì che una competenza alta, un ragionamento corretto attorno ad alcuni valori chiave come l’attenzione alla salute, la sostenibilità ambientale, l’utilizzo di tecnologie avanzate per ottimizzare processi e food cost possono fare la differenza”. Soprattutto, vi è “un’enorme richiesta di personale specializzato che spesso non viene soddisfatta, sia dal punto di vista numerico che del livello delle competenze. In questo senso le scuole come la nostra riempiono un vuoto, spesso lasciato dalla formazione pubblica che non si è ancora pienamente adeguata alle esigenze della contemporaneità”. Al termine del percorso negli istituti alberghieri, “solo chi ha buone possibilità economiche investe nell’alta formazione professionale, facendo magari stage all’estero o in strutture ristorative importanti; il resto si immette nel mondo del lavoro senza ulteriori specializzazioni e spesso non raggiunge livelli professionali elevati. Una profonda ristrutturazione del sistema formativo pubblico potrebbe invertire questa tendenza”. Non a caso, infatti, l’accademia dello chef fornisce, oltre alle lezioni tradizionali, tirocini formativi all’interno di uno dei ristoranti Spazio o al Reale, così da creare un filo diretto tra la formazione in aula e l’applicazione pratica in cucina. Un metodo confermato dal fatto che “il placement post-corso è superiore all’80%, e che molti ex-allievi restano a lavorare all’interno del gruppo Niko Romito”.
Un ulteriore passo lo ha fatto Sommet Education, network di formazione specializzato nell’hospitality management e attivo attraverso i due istituti universitari svizzeri Glion Institute of Higher Education e Les Roches Global Hospitality Education, che, negli scorsi mesi, è diventato l’azionista di maggioranza di Ducasse Education, la realtà di istituiti universitari e professionali specializzata in arti culinarie e pasticcere fondata dallo chef Alain Ducasse. “Abbiamo deciso di entrare nel capitale della Ducasse Education così da essere in grado di creare un agglomerato d’eccellenza che sia in grado di fornire il meglio della formazione culinaria e dell’ospitalità”, ha spiegato il CEO dell’istituto Benoît Etienne Domenget. “Non a caso, partiranno nuovi percorsi accademici capaci di sfruttare le expertise di entrambe le scuole al fine di sviluppare profili professionali di livello”. Più in generale, infatti, “è necessario creare delle professionalità che siano in grado di mixare capacità di management, tecnica e soft skills. Queste ultime, nello specifico, si riferiscono all’intelligenza emotiva che gli operatori del settore devono essere in grado di esercitare così d’anticipare i bisogni e rispondere alle esigenze presenti e future dei clienti, a livello particolare, e del settore, più in generale. Per farlo, è necessaria una base che si sviluppa non solo attraverso la ‘pratica’, ma anche con tanto studio accademico”. Di tipo culturale è invece l’approccio scelto dall’Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi Veronelli, scuola fondata lo scorso anno e con sede nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, in quanto “crediamo che i desideri e le domande di coloro che amano il cibo ed il vino abbiano a che fare con la dimensione del sapere”, ha spiegato Andrea Bonini, direttore del Seminario Permanente Luigi Veronelli e coordinatore dell’Alta Scuola Veronelli. “Riteniamo che per un ristorante rappresenti un notevole valore aggiunto la capacità di proporre, a partire dalla cucina e dalla tavola, esperienze e connessioni di ampio respiro”. In questo senso, “non ci riferiamo solo alle informazioni sulle filiere agroalimentari ma ai rimandi che il ristoratore può mettere in luce tra il cibo, il vino, il patrimonio storico, artistico e paesaggistico, sino ad arrivare alle relazioni sociali che rendono unico un territorio”. Un compito, questo, “tutt’altro che semplice che richiede molteplici competenze: gestire con successo un ristorante significa, in effetti, soddisfare le esigenze di una vera e propria comunità che ha nell’ospite il suo fulcro”. In tal senso, “il corso ‘Camminare le vigne: luoghi, persone e cultura del vino italiano’ sviluppato dall’Alta Scuola Veronelli rappresenta un’opportunità preziosa di formazione, aggiornamento e perfezionamento”. Più in generale, però, “crediamo in una formazione continua e non limitata alle sole competenze di ordine tecnico: anche nel mondo della ristorazione, infatti, all’idea di un ‘mestiere acquisito’ occorre sostituire l’obiettivo di una professionalità ampia e costantemente coltivata”.