Dieci anni di Finger’s a Porto Cervo, quindici a Milano. Per Roberto Okabe il 2019 segna un doppio anniversario e nel frattempo si è aggiunto, dal 2017, anche il locale di Roma, che ha portato a un giro d’affari complessivo nel 2018 di poco inferiore ai sei milioni di euro. Lo chef nippo-brasiliano è tutt’altro che stanco e non esclude ulteriori opening, magari all’estero, dopo che il suo primo locale stagionale aperto a Megève, nelle Alpi francesi, ha chiuso i battenti dopo la stagione invernale 2017/18.
“Stiamo analizzando delle proposte molto interessanti, ma voglio fare con calma – sottolinea Okabe – perché fare un ristorante per me equivale a fare un figlio, non ci si può pentire dopo averlo fatto. Ora come ora il progetto è mantenere ciò che abbiamo costruito e migliorarlo sempre più, dopo potremo pensare a una nuova apertura”.
I “figli” di Okabe sono distribuiti in tre città, ma Milano conta doppio perché oltre a Finger’s, aperto nel 2004, c’è anche Finger’s Garden, inaugurato nel 2011. L’opening di Porto Cervo risale al 2009 ma in realtà, racconta lo chef, la sua “prima volta” in Costa Smeralda risale al 2001, quando ancora non aveva incontrato il suo socio Clarence Seedorf, l’ex campione olandese con cui avrebbe poi avviato l’impresa di Finger’s. All’epoca Okabe, in forze al Mori Jungle Sushi a Erbusco, era stato invitato a creare una cena/party per tutti i direttori degli hotel della Starwood nel mondo. “La mia cucina piacque così tanto che mi chiesero di aprire un ristorante all’interno del loro Hotel Cervo a Porto Cervo, quindi 18 anni fa”, ricorda.
Certamente lo stile della cucina di Okabe è stato alla base di diversi tentativi trasformati in format di successo. “Credo che Finger’s abbia dettato una tendenza, il Finger’s Style, che molti hanno ripreso e imitato”, sostiene lo chef. “Penso a Temaquinho o a Bomaki: bravi ristoratori e imprenditori che hanno trovato bravi chef, alcuni anche nostri ex collaboratori, e sono riusciti a creare formule interessanti in location strategiche. Il volume d’affari che sviluppano ogni anno e l’interesse suscitato dai fondi di investimento ha dato loro senz’altro ragione. Io preferisco restare nell’ambito del fine dining. Non amo questo genere di ristorazione”.
Alla domanda se abbia mai pensato di affiancare a Finger’s una formula più economica e smart, Okabe risponde: “Sì certo, è un obiettivo che vogliamo realizzare in un futuro prossimo, direi che l’intenzione è più su un progetto come questo rispetto ad aprire un nuovo Finger’s allo stesso livello degli altri. Credo infatti che una proposta economica non significhi diminuire la qualità dell’offerta, anzi! Ed è questa la vera sfida, mantenere uno standard elevato pur lavorando sui grandi numeri: per esempio, a me affascina molto l’attività di catering e banqueting perché mi dà l’opportunità di confrontarmi con una produzione impegnativa senza perdere la qualità”.