Ha superato i 40 anni da chef-proprietario di un locale ormai entrato nella storia della ristorazione italiana, l’Ambasciata, e ha avuto la capacità di richiamare in un borgo sperduto della provincia mantovana personalità che per nessun’altra ragione vi sarebbero probabilmente arrivati. Merito della cucina di Romano Tamani, oltre naturalmente all’arte di accogliere i clienti esercitata dal fratello Francesco Tamani detto Carlo. A Quistello, sotto l’argine del Secchia, l’Ambasciata aprì nell’ormai lontano 1978. I Tamani da allora hanno conquistato premi, consensi dalle principali guide della ristorazione e soprattutto hanno ospitato un elenco tale di vip che è impossibile citarli tutti. Da Clara Agnelli a Marta Marzotto, da Giulio Andreotti a Vittorio Sgarbi, e poi Romano cita Enrico Mentana, Carlo Rossella, Giovanni Rana che ci mandò i ragazzi a imparare a far la pasta, Mario Monicelli, Antonio Ricci, Cesare Zavattini, Alberto Bevilacqua, Cesare Marchi, John Elkann. All’ingresso compare la foto di una visita particolarmente gradita, quella di Karol Wojtyla durante il suo lungo pontificato.
Quando Romano Tamani creò l’Ambasciata, aveva 35 anni e alle spalle una lunga carriera all’estero. Rientrò in Italia nella sua Quistello per aprire un locale inizialmente ideato come ristorante-pizzeria e presto trasformato in solo ristorante nel quale, a livello di ambiente, comparve un’innovazione rivoluzionaria per quei tempi: la cucina a vista. Una cucina ricca, in grado di valorizzare le potenzialità gastronomiche di un territorio straordinario come la Bassa mantovana con ricette divenute celebri come la Faraona del vicariato di Quistello o i mitici Tortelli di zucca mantovani. Oggi, 41 anni dopo, a l’Ambasciata tutto è rimasto come un tempo, il tempo in cui Lucio Dalla frequentava il locale definendolo “il bar di Guerre Stellari”. Il ristorante ne ha superate di prove, compresa quella più difficile del terremoto del 2012 che qui ha fatto parecchi danni, soprattutto in cantina. E Romano è sempre lì, in cucina, e del traguardo raggiunto dice scherzando: “Speriamo di essere arrivati a metà!”.
Romano Tamani è figlio dei suoi tempi e osserva con scetticismo quanto gli sta accadendo intorno. Della cucina italiana di oggi pensa che: “Sta diventando troppo televisiva, stiamo diffondendo una cucina non italiana, non lombarda, non mantovana. Eppure le cucine del mondo vivono sul loro passato. Mi pare invece che in molti lo stiano dimenticando per aderire a un futurismo forse sbagliato, alleggerendo e rivisitando un po’ troppo i piatti di una tradizione fatta di brasati, carni lavorate, sapori e profumi intensi. E poi sul piatto non basta la qualità, ci vuole anche la quantità”.
Sui cuochi contemporanei non esprime preferenze e dice: “Rischierei di fare il falso pastore indicando il cane anziché la pecora”. Per quelli del passato fa eccezione e cita Gualtiero Marchesi. “Come lui in Italia non abbiamo avuto nessuno: ha avuto gusto, sentimento, passione e capacità di fare scuola”. Tra gli allievi che sono transitati per le cucine dell’Ambasciata esprime un pensiero di stima e ammirazione per Matteo Ugolotti, oggi chef ai Due Platani di Coloreto (Parma). Tra i maestri internazionali, la preferenza va ad Alain Ducasse (“Bravo e molto attento alla cucina italiana nei suoi ristoranti”.
E dopo Romano Tamani che ne sarà dell’Ambasciata? Il tempo del congedo non è ancora arrivato, tanto che il ristorante di Quistello può ancora vantare una stella Michelin anche se un tempo erano due, ma si sa che le guide penalizzano chi non innova e dai Tamani non ci si può certamente aspettare un cambio di rotta. “Dopo di me? È un pensiero che mi fa venire le lacrime agli occhi”, risponde. “Magari lascerò il testimone a un giovane, ma i palati sono nostri e il mio palato morirà con me. Mi conforta pensare che la nostra grande cucina non morirà mai e che tanti grandi talenti ne porteranno avanti nel mondo la tradizione”. Infine, una raccomandazione. “Non chiamatemi chef, perché io sono un cuoco”.