Nuovi store a Milano, due flagship a Londra e New York, potenziamento della ristorazione. L’AD Leone Marzotto svela a Pambianco Wine i piani per la crescita di Peck, brand gioiello della gastronomia milanese acquisito nel 2011 dal ramo della famiglia che capo a Pietro Marzotto, che allora rilevò il 76% delle quote cedute dalla famiglia Stoppani per poi completare il deal nell’aprile del 2013. Oggi Peck è un gruppo fortemente radicato all’interno del flagship di via Spadari, con annessi laboratori del food, dove trova spazio anche la ristorazione fine dining al piano superiore e la nuova formula Piccolo Peck, avviata con successo a settembre e ricavata da un restyling dello spazio all’ingresso dello store. In aggiunta, è presente sempre a Milano con l’Italian Bar e in Giappone, da circa trent’anni, con una rete di 24 shop in shop in franchising (più uno spazio di ampie dimensioni in Corea del Sud) in collaborazione con il department store Takashimaya. Ora è il momento di crescere, in Italia e all’estero. “Il nostro mantra si chiama sviluppo” afferma Leone Marzotto. “La mia famiglia ha acquisito Peck ritenendolo un brand unico al mondo, tra i pochissimi che possono rappresentare l’Italia nell’alta gamma del food e probabilmente l’unico nell’ambito del retail. C’è grande fame di food italiano nel mondo e puntiamo a soddisfarla muovendoci in due direzioni. L’idea di fondo è la replicabilità del nostro modello”.
Iniziamo dai flagship esteri: dove sarà la prima apertura?
Stiamo pensando a una delle due città di maggior riferimento internazionale, Londra o New York, senza troppa fretta. Dal 2012 a oggi abbiamo ricevuto moltissime offerte di partnership ma, essendo rispettosi del brand, vogliamo trovare la situazione ideale in termini di location e di partner. Inoltre, dobbiamo prima risolvere le complicazioni derivanti nell’ambito delle operations, perché gestire una macchina complessa come Peck richiede un insieme di competenze difficili da individuare ormai anche in Italia; dovremo organizzarci per formare direttamente noi il personale, e lo sappiamo fare. Diciamo che il 2018 potrebbe essere l’anno giusto per la prima delle due aperture.
E nelle altre città estere cosa farete?
L’idea del flagship si applica solo in quelle piazze così strategiche. Altrove stiamo pensando a una formula più facilmente replicabile e ispirata al nostro Piccolo Peck, caffè gastronomico di recente inaugurazione e di cui siamo molto soddisfatti. Ai nostri partner internazionali è piaciuto e non escludiamo di poterlo esportare iniziando proprio dal Giappone. Le prime novità potrebbero arrivare già quest’anno.
Perché avete investito in questo format?
Volevamo rendere Peck più accessibile, più aperto ai milanesi. Essere considerati un tempio della gastronomia è certamente un onore, ma i templi spesso incutono timore; l’istituzione storica non sempre è percepita come un luogo da frequentare. Inoltre, per ragioni legate alla vendita a banco e alle difficoltà di trasporto di cibi freschi, ci era venuta a mancare del tutto la clientela turistica. La soluzione era una ristorazione accessibile, un luogo dove poter assaggiare il prodotto a marchio Peck. Lo abbiamo fatto e ne siamo contenti.
Quanto fattura Peck?
Complessivamente siamo sui 20 milioni di euro, estero e licenze comprese. Il negozio la fa da padrone, con circa 12 milioni. La ristorazione vale tre milioni e Piccolo Peck, secondo le attuali proiezioni, potrebbe chiudere l’anno a un milione di euro. La redditività è soddisfacente sia per la gastronomia, con un ebitda di circa il 22% che scende al 15% distribuendo un po’ di costi generali, sia per Piccolo Peck. Italian Bar funziona molto bene a pranzo ma deve migliorare sotto l’aspetto della redditività e quindi puntiamo ad aprirlo anche alla sera. Il ristorante fine dining al primo piano è istituzionale e al tempo stesso di rappresentanza, ma come famiglia siamo della ‘scuola industriale’ per cui pensiamo che ogni linea di business debba reggersi sulle proprie gambe; perciò, prima o poi, anche il ristorante Peck dovrà essere aperto alla sera. Procederemo a piccoli passi.
A Milano c’è spazio per altre iniziative?
La brand awareness di Peck è tale che sarebbe un peccato rinunciarvi, tanto più che la capacità dei nostri laboratori non è ancora satura. Vorremmo arrivare ad aprire 3-4 punti vendita di piccole dimensioni posizionati in zone strategiche di Milano, al massimo fino a Monza o in Brianza, per dare alla nostra clientela la possibilità di acquistare i prodotti Peck superando la scomodità di una location centrale come via Spadari. Questi opening potrebbero farci aumentare il fatturato e al tempo stesso, distribuendo i costi su più linee di business o creandone altre ex novo, migliorare la redditività.
Avete mai ricevuto offerte allettanti per vendere Peck?
Ci sono state varie proposte, ma Peck non è in vendita. Abbiamo investito tanto negli ultimi anni, dalla revisione degli spazi interni al nuovo impianto energetico ecologico da un milione e mezzo di euro in uno stabile nel quale, tra l’altro, siamo in affitto, fino ai sistemi per il controllo di gestione. Con questi investimenti, abbiamo posto le basi per trasformare Peck da bottega artigiana a modello replicabile.