Il gruppo bolognese aumenta del 10% il suo giro d’affari realizzato con diversi marchi di proprietà tra alcolici, compresa la distribuzione di brand esteri, e prodotti alimentari di largo consumo. Il 2019, spiega l’AD Marco Ferrari, sarà soprattutto l’anno di Select
di Andrea Guolo
Non c’è solo il “sapore vero” del claim pubblicitario che accompagna il suo prodotto-icona, l’amaro Montenegro, a caratterizzare l’attività dell’omonimo gruppo. C’è anche un business altrettanto vero e diversificato, che dagli spirits si è esteso al food inserendo sei brand di largo consumo e ben noti al grande pubblico: si va dall’olio che ti fa saltare la staccionata (Cuore), al tè “che è buono qui e buono qui” (Infrè), passando per le spezie (Cannamela), la polenta (Valsugana), la camomilla e le tisane (Bonomelli) e infine la pizza da preparare in casa (Catarì). Il giro d’affari complessivo si aggira sui 240 milioni di euro, per effetto di una crescita a doppia cifra centrata nel corso dell’ultimo anno. “E tutte le divisioni hanno contribuito a questa dinamica favorevole”, racconta a Pambianco Magazine Wine&Food Marco Ferrari, amministratore delegato del gruppo con sede a Zola Predosa (Bologna), evidenziando che si tratta del quarto anno consecutivo di crescita e che il traino principale è costituito dagli spirits e dalle vendite internazionali.
Com’è suddiviso il giro d’affari tra food e spirits?
Le due divisioni risultano abbastanza equilibrate, con il food più concentrato sul mercato interno e lo spirits in fase di espansione all’estero. Le vendite internazionali oggi pesano per circa il 20% nel giro d’affari degli alcolici, con l’ambizione di più che raddoppiare entro il 2025.
Come sosterrete la crescita?
Sono convinto che il driver più importante sia la capacità di arrivare al cliente finale in modo efficace e per far questo, occorre innanzitutto rafforzare la nostra presenza commerciale. Un altro aspetto determinante, per gli spirits come per il food, è rappresentato dalla premiumizzazione: stiamo lavorando da anni per aumentare il posizionamento dei nostri marchi, investendo nel packaging e a livello strategico nel canale super horeca, che ci permette di essere presenti nei locali più cool. Proprio la distribuzione fuori casa ha dato un forte impulso alle vendite degli alcolici. Quanto al food, abbiamo focalizzato le attenzioni su alcuni mercati in forte crescita, a cominciare dagli Stati Uniti, con eccellenti risultati.
Quali sono i mercati determinanti per il vostro export?
Premetto che abbiamo affrontato l’internazionalizzazione come un vero e proprio approccio culturale. Oggi non lo definirei più semplicemente export, si tratta piuttosto di business development dei mercati esteri ed è una differenza importante, perché formiamo personale specializzato per supportare l’opera dei distributori nei vari paesi. Detto questo, abbiamo fissato una forte priorità per il mercato statunitense, creando nel 2018 la filiale Montenegro Americas e organizzando un resident team che nel biennio ci permetterà di accelerare la crescita già double digit, con un particolare focus su Select già per quest’anno. In generale, se nel 2014 l’export generava l’8% del giro d’affari, nel 2018 siamo arrivati al 20 percento.
E oltre agli Usa?
Stiamo crescendo bene in mercati core quali Gran Bretagna, Russia e Australia, dove potremo sviluppare potenziali importanti a breve e medio termine. I risultati sono positivi anche in nazioni europee come Germania, Svizzera e Austria, dove la cultura dell’amaro è già consolidata. E Montenegro per noi resta il brand più forte a livello internazionale, con una quota di circa la metà del totale esportato.
Parlando di Select, il prodotto ha una lunga storia e ottime potenzialità, essendo l’ingrediente dell’autentico spritz veneziano ovvero di uno dei long drink più bevuti al mondo. Come intendete sfruttare la spritz mania imperante, che tanto ha fruttato ad Aperol e Campari?
Select rappresenta senz’altro una grande opportunità. E le basi del suo rilancio sono state già poste, recuperando la bottiglia originale risalente al 1920 e anche la formula originale, che dà origine a un bitter a bassa gradazione, quindi in linea con la tendenza di consumo un po’ più light. Dovremo essere bravi nel raccontare una storia importante, perché non è da tutti avere in casa il bitter con cui è nato lo spritz. Non pensiamo certo di sostituire Aperol, ma crediamo di poter offrire qualcosa di diverso, creando una segmentazione anche nell’aperitivo.
Oltre a Montenegro e Select, disponete di altri tre marchi di proprietà, tra cui Vecchia Romagna. Avete intenzione di acquisire nuovi brand o eventualmente di cederne qualcuno?
Cederne sicuramente no, perché siamo contenti dei nostri asset e ciascuno, a suo modo, presenta delle opportunità di sviluppo. Quanto alle acquisizioni, non costituiscono una priorità e tanto meno un’ossessione. Nei prossimi anni crediamo ancora molto nelle opportunità di crescita organica.
Il vostro gruppo è anche distributore per l’Italia di alcolici d’importazione, con celebri marchi quali Jack Daniel’s nel bourbon, Josè Cuervo nella tequila, Matusalem nel rum e molti altri. Si tratta di un business strategico?
Lo è, perché ci ha aperto la strada per entrare nel canale super horeca, prioritario per la crescita ottenuta in Italia, dove oggi possiamo contare su 15mila clienti. Inoltre, le partnership con i gruppi esteri, cito come esempio Beluga in Russia, ci hanno permesso di esportare anche i nostri marchi in altri Paesi. Resta il fatto che la priorità di Montenegro è far crescere i brand di proprietà e non vogliamo affatto diventare dei distributori.
Com’è distribuito oggi il business per canali commerciali?
Siamo legati per il 40% alla gdo e per il restante 60% all’horeca, ragionando in termini di consumo finale stimato. Poi è chiaro che la quota della gdo aumenta perché una parte dell’horeca si approvvigiona presso la grande distribuzione organizzata.
Data l’importanza assunta dalla mixology, come intendete agganciarvi al mondo dei bartender?
Il primo investimento è sempre legato alle persone e il gruppo Montenegro in questi anni è riuscito a creare relazioni, supporto, education. Lo ha fatto attraverso una rete di 140 agenti diretti, puntando su un modello distributivo che le altre aziende tendono ad abbandonare, creando maggiori opportunità per noi che lo abbiamo rilanciato. A livello formativo e di comunicazione, siamo assolutamente coinvolti con attività di masterclass, con l’education di esperti del settore e con il lancio, nel 2018, della competizione internazionale Be The Vero Bartender, nella quale ha trionfato l’italiano Andrea Civettini. Questi sforzi saranno raddoppiati nell’anno in corso. Quanto alla comunicazione digitale, ormai Montenegro investe quasi esclusivamente con l’immagine di amaro mixato.
Quali sono i principali investimenti in cantiere?
Lo sforzo più rilevante è legato alle risorse umane. Nel 2014 il gruppo contava 240 addetti, oggi siamo circa 350 e continuiamo sia a inserire talenti esterni sia a svilupparne di interni. Questo avviene in Italia, presso la sede del gruppo, e all’estero, rafforzando il nostro team internazionale. A livello industriale, abbiamo utilizzato gli incentivi offerti dal piano Industria 4.0 per dare un contenuto tecnologico rilevante alle nostre linee produttive, ottenendo vantaggi nell’automazione e soprattutto ottenendo un upgrade qualitativo dei nostri prodotti. Quest’anno continueremo a farlo, in particolare sui prodotti a marchio Bonomelli.