Dalla ricerca ecosostenibile al lavoro sulle texture, dal trend latinoamericano al ready-to-drink, l’estate diventa un momento chiave per innovare il mondo dei cocktail. Ecco cosa vedremo nei prossimi mesi
Il 13 maggio, il mondo ha festeggiato il World Cocktail Day, la giornata nata per celebrare il bere miscelato mettendo sul tavolo le nuove tendenze in campo mixology. A inaugurare la giornata, il consueto appuntamento con la Firenze Cocktail Week che, giunta alla sua IVª edizione, ha rappresentato il compendio di un movimento che, proprio da Firenze, s’è diffuso a macchia d’olio e che da circa due anni ha investito anche la miscelazione di riviera come quella di scena a Forte dei Marmi dove, da circa due anni, Cristian Maira, proprietario del Bella Vita, e Manuel Sakay, noto professionista versiliese, hanno imbastito la Forte Cocktail Week.
GREEN MIXOLOGY
Emergono tendenze interessanti per chi cerca di farsi un’idea di quello che è lo Zeitgeist in termini di bere miscelato. In particolare, è emersa capillarmente la necessità di rispondere a problematiche legate alla sostenibilità e a un approccio green alla mixology. I millennials, soprattutto, sembrano particolarmente sensibili nei confronti dell’impatto che il proprio stile di vita comporta sulla salute del pianeta, al punto che non sembrano voler abbassare la guardia nemmeno al bancone del bar. Da uno studio pubblicato su Forbes emerge che l’88% dei bartender ha deciso di utilizzare prodotti riciclabili, rispettando la regola no waste che declina tramite supporti riciclabili o biodegradabili e, quando non è possibile, lavabili, come le eleganti cannucce in vetro che impreziosiscono il Mai Tai Fabergé – una golosa rivisitazione del Mai Tai che riposa in una sfera di cioccolato extra-fondente, preparata con cacao del Venezuela all’82% – di Fabio Camboni il quale, dal bancone del Kasa Incanto di Gaeta, ha sposato a pieno questa filosofia. “Stiamo lavorando a un progetto che prevede l’utilizzo di bicchieri biologici realizzati con materiali di recupero come gli scarti del caffè e su contenitori composti da frutta, vegetali e cioccolato, oltre che con cannucce in amido di riso commestibili e aromatizzate”, racconta Camboni. Ma, si sa, l’inquinamento può essere di varia natura, anche acustico… “Per questo motivo, al Dry Martini di Sorrento, nessun cocktail che prevede uno shakeramento rumoroso viene realizzato davanti ai clienti”, precisa Lucio D’Orsi, maître, sommelier, barman inventore dell’unico Dry Martini presente in Italia, quello del Majestic Palace Hotel di Sorrento, di cui è general manager.
TRATTI VELLUTATI
Un trend ormai consolidato prevede che i bartender, soprattutto delle località di mare, debbano misurarsi e, possibilmente, implementare il fattore texture dei propri cocktail. Jonathan Di Vincenzo, ex proprietario del The Noble Experiment di Santarcangelo di Romagna e oggi consulente per il gruppo Campari, da sempre sensibile a una mixology di stampo classico e matrice anglosassone, ci spiega come alcune intuizioni in materia di texture possano essere preziose da un punto di vista imprenditoriale. “Con particolare riferimento alla tecnica del cosiddetto flash blend, dove sul bicchiere si forma come uno strato di ghiaccio nebulizzato in grado di far percepire dei tratti vellutati che si avvalgono di addensanti quali, per dirne uno, l’albumina e il ghiaccio i quali, amalgamati tra loro fino a quando il composto non risulta completamente schiumoso, aprono possibilità espressive ancora tutte da indagare”. Un’estremizzazione di questo concetto si ritrova anche in Costiera Amalfitana, al succitato Dry Martini di Sorrento. Il locale, nato da un’idea di Javier de las Muelas, bartender e creatore di tendenze di fama internazionale, è ubicato nella terrazza al quinto piano del Majestic Palace Hotel di Sorrento, dov’è stato messo a dimora dal pervicace Lucio D’Orsi il quale ha a lungo combattuto per ospitare in Costiera quella che è la quinta propaggine della catena dopo le già fiorenti esperienze di Barcellona, Madrid, Londra e San Luis Potosì in Messico. Un esperimento, il suo, che è anzi andato consolidandosi al punto da prevedere uno spin-off invernale, di recente apertura. Tornando però alle tendenze di costiera, D’Orsi ci spiega che, di concerto con la casa madre, è stata ideata una variazione sul tema Dry Martini, realizzato in infusione al punto da assumere le sembianze di un frappé. “Chiaramente, vi faranno ingresso ingredienti tipici come il caffè, lo sherry Pedro Ximenez, gli agrumi e le spezie: come 5 tipi di pepe differente. Una volta preparata la base viene messa in congelatore e, quindi, shakerata fino a fargli prendere una consistenza completamente diversa da quella originale: il freddo è amico del bartender che, naturalmente, vuole ottenere risultati efficaci”.
INFLUENZE LATINOAMERICANE
Certo è che se tutta l’esperienza del Dry Martini rimanda a un modo di bere, e a un mondo tendenzialmente anglosassone, è anche vero che, dalle dichiarazioni dei bartender, questa estate 2019 si caratterizzerà per un ritorno agli alcolici sudamericani. Ne è un esempio il celebre Mai Tai Fabergé di Fabio Camboni che, dalla sua, non utilizza solo cannucce di vetro e un contenitore di cioccolato extra-fondente ma anche un Rhum agricolo proveniente della Martinica. E proprio il Ruhm sarà, nelle proiezioni di Jonathan Di Vincenzo, il protagonista di questa estate 2019 e tanto più in Riviera Romagnola, “epicentro di una rivoluzione che da luogo di un divertimento massificato l’ha portata a essere, in questi ultimi anni, fucina di nuove tendenze che, in fatto di mixology, mettono al centro del proprio interesse la ricerca e lo sviluppo sulla materia prima impiegata, la Romagna sta vivendo una sua seconda vita”. Come tale, centrale è diventata qui la cultura del Tiki che, coi suoi tre ingredienti di base, Tiki Mug, frutta fresca e, per appunto, Rhum, meglio se agricolo, ha trovato qui una seconda patria. “Le prime pozioni – spiega Di Vincenzo – risalgono agli anni ‘50 e ‘60. Oggi, il successo di questo cocktail è legato soprattutto alle sue suggestioni tropicali e caraibiche che, chiaramente, si prestano moltissimo a essere considerate appetibili, soprattutto in estate”. E sempre in ambito latinoamericano, fa breccia in Europa l’appeal della tequila di fascia alta e con essa del mezcal, lanciata ora dal colosso Diageo. Era il 2013 quando George Clooney, insieme agli amici Rande Gerber (marito di Cindy Crawford) e Michael Meldman, CEO e fondatore della Discovery Land Company, lanciò sul mercato la sua Tequila ultrapremium Casamigos proveniente da agave selezionato a mano 100% Blue Weber di Jalisco, in Messico, proveniente dal clima mite degli altopiani argillosi. Per Clooney & friends s’è trattato di un’avventura davvero profittevole se consideriamo che, nel 2017, l’azienda è stata acquisita dal colosso degli spirits Diageo per 1 miliardo di dollari. Il nome di Cloney, tuttavia, campeggia ancora in etichetta, e oltretutto rilancia, dal momento che Casamigos è anche il nome del Mezcal che, sempre nel portfolio Diageo, spicca per essere a base di Espadín, ovvero realizzato col cuore dell’Agave, e ottenuto dopo che Clooney e Gerber hanno campionato più di 700 Mezcal diversi.
LA RICERCA SULLA TONICA
C’è poi il gin. Secondo Di Vincenzo, “il gin è e sarà sempre più forte. Il mercato ha bisogno di distillati modulabili e versatili, e non è un caso che il suo successo sia stato determinato proprio da un investimento sulla sua qualità che, nel tempo, lo ha fatto entrare nelle grazie, per esempio, del palato femminile”. Ma non solo il gentil sesso ne ha determinato il successo. Pare infatti che buona parte del suo successo commerciale, stando almeno a quanto dichiarato da Lucio D’Orsi, sia da ricercarsi nell’acqua tonica. “Le toniche, modulandosi a loro volta, affinandosi ulteriormente, hanno aiutato molto la diffusione del gin che ha cominciato ad avvalersi della loro aromatizzazione; a capirlo, meglio e prima di tanti altri, è stato il gruppo Schwepps”. E oggi si contano decine di marchi lanciati nella ricerca di prodotti diversificati, d’importazione e anche made in Italy.
READY-TO-DRINK
Ma se c’è una tendenza completamente nuova nel mondo della mixology contemporanea, è quella dei ready to drink: “Esiste da sempre, perché i bartender se li preparavano per facilitarsi il lavoro” ammette Di Vincenzo. “Benché l’Italia sia un mercato particolare perché forgiato sull’immaginario dell’hand made e, di conseguenza, meno permeabile al ready made, in Francia e in Germania si tratta di storia presente e, comunque, in voga da molti più anni”, aggiunge Lucio D’Orsi. Parliamo di preparati come il Bacardi Breezer che già filtrò nei consumi degli italiani circa dieci anni fa. Oggi, una realtà da tenere d’occhio, da questo punto di vista, è il mondo dei cocktail già mixati di NIO Cocktail che, dalla sua, vanta la collaborazione del celebre bartender romanesco Patrick Pistolesi del Drink Kong. “Quanto a Bacardi – afferma D’Orsi – a Barcellona il gruppo vanta un contratto quasi quarantennale col Dry Martini: ecco, io ho voluto portarlo anche in Italia per cui non escludo nuove aperture, anche italiane, sul mondo del ready made”. Del resto, il Dry Martini di Sorrento vanta regole, e necessità, tutte sue. “Sicuramente, la stesura della cocktail list va fatta in una maniera diversa rispetto ad altri locali: abbiamo una varietà altissima di clientela internazionale abituata a bere Irish Coffe anche in estate, per dirne uno, per cui dobbiamo avere basi più che classiche, classicissime. Come tutti i Dry Martini, abbiamo 100 Martini cocktail in carta e, trovandoci dentro a un albergo, l’accoglienza e il servizio rappresentano, per noi, l’arte suprema. A cominciare dalle tecniche di servizio: ciascuno dei nostri Dry Martini viene contrassegnato da un numero, emesso da counter e, difatti, al momento del servizio viene rilasciato un certificato di autenticità con tanto di data e nome del barman che l’ha realizzato. Oggi, siamo a 1237 Martini Dry e, come tutti i nostri Martini Dry, il 1238esimo sarà diverso da quello precedente così come da quello successivo.”