Specie di bassa qualità spacciate per pesci nobili, etichettature false, polpette di gamberi contenenti carni suine. È uno scenario inquietante quello che emerge dall’inchiesta del quotidiano britannico The Guardian. Analizzando 44 diversi studi su oltre 9.000 campioni di frutti di mare provenienti da ristoranti, pescherie e supermercati in più di 30 Paesi del mondo, gli autori dell’analisi hanno rilevato che il 36% è stato etichettato in modo errato. Errori che nella maggior parte dei casi erano legati a specie diverse della stessa famiglia, ma quel che veniva venduto era in realtà il prodotto più economico.
Per esempio, nei 130 filetti di squalo acquistati dai mercati ittici e pescivendoli italiani, i ricercatori hanno riscontrato un tasso di etichettatura errata del 45%, con specie di squalo più economiche e impopolari che sostituiscono quelle più apprezzate. In Germania, il 48% dei campioni testati di capesante reali si sono rivelate in realtà capesante giapponesi, meno ambite. In Gran Bretagna, quasi il 70% dei campioni venduti come dentici era un pesce diverso, di ben 38 specie diverse, tra cui molte provenienti dalla barriera corallina. Uno dei casi più eclatanti è legato a Singapore, dove le polpette di gamberi messe in vendita dalle pescherie spesso contenevano carne di maiale e non una traccia di gambero.
Al ristorante, il problema sembra essere particolarmente diffuso. The Guardian cita uno studio, che rappresenta il primo tentativo su larga scala di esaminare l’etichettatura errata nei ristoranti europei, che ha coinvolto più di 100 scienziati che hanno raccolto segretamente campioni di pesce ordinati da 180 ristoranti in 23 paesi. Hanno inviato 283 campioni, insieme alla descrizione del menu, la data, il prezzo, il nome del ristorante e l’indirizzo, a un laboratorio. Il dna in ogni campione è stato analizzato per identificare la specie e quindi confrontato con i nomi sul menu. Risultato? Un ristorante su tre vendeva frutti di mare con etichette errate, e i più alti tassi di etichettatura errata nei ristoranti, compresi tra il 40% e il 50%, si sono verificati in Spagna, Islanda, Finlandia e Germania. La probabilità più alta riguarda pesci come il lucioperca, la sogliola, il tonno rosso e il tonno pinna gialla.
“Ci sono così tante opportunità lungo la catena di approvvigionamento dei prodotti ittici per etichettare falsamente i pesci di scarso valore come specie di alto valore o i pesci d’allevamento come selvatici”, afferma Beth Lowell, vicepresidente per le campagne statunitensi di Oceana, un’organizzazione internazionale incentrata su oceani.
The Guardian precisa che gli studi in questione a volte prendono di mira specie note per essere problematiche, il che significa che non è accurato concludere che il 36% di tutti i prodotti ittici globali è necessariamente etichettato in modo errato. Gli studi utilizzano anche metodologie e campioni differenti. Né i pesci vengono sempre etichettati deliberatamente in modo errato, sebbene la stragrande maggioranza delle sostituzioni ha coinvolto pesci a basso prezzo in sostituzione di quelli a prezzo più alto, indicando frode piuttosto che disattenzione.