Gli stabilimenti balneari italiani iniziano ora, piuttosto in ritardo, a rivedere la loro impostazione di business, rafforzando la ristorazione fino all’after dinner. L’offerta di esperienze è lo strumento per ottenere valore dall’alba a notte fonda, prolungando anche la stagione di apertura
Alle sette di sera cala il sipario. Lo spettacolo delle spiagge italiane va in scena in orario diurno e con focalizzazione perlopiù balneare, poiché il business degli stabilimenti consiste soprattutto nella gestione dell’arenile con la fornitura del servizio lettini+ombrellone a cui si aggiunge la ristorazione per il pranzo e bibite+gelati in orario pomeridiano. L’impressione, in un Paese caratterizzato da oltre settemila chilometri di costa, è che si tratti di un’opportunità mai sfruttata a fondo, per abitudine, mancanza di necessità economica (vedi costo esiguo delle concessioni) o per effettivi limiti d’orario fissati dai regolamenti comunali. I litorali italiani sono rimasti così per lungo tempo sguarniti di proposte nuove e frizzanti, di un’offerta qualificante che andasse oltre il tramonto. Oggi la tendenza sembra si stia invertendo e dalla Puglia alla Liguria la spiaggia ritorna ad essere un luogo mondano, riprende vita anche dopo il tramonto, dall’aperitivo al post cena, e spesso si trasforma in una “piazza” per una comunità vacanziera.
IL FRENO BOLKESTEIN
“Abbiamo avuto 10 anni di totale precarizzazione del settore”, rimarca Antonio Capacchione, presidente nazionale del Sib-Sindacato italiano balneari di Confcommercio. “L’incertezza legata alla direttiva Bolkestein sulle concessioni (che impone le gare per le concessioni degli stabilimenti, ndr) è stata superata solo a fine 2018 e la sospensione dell’applicazione per i prossimi 15 anni mette finalmente i gestori nelle condizioni di fare gli investimenti necessari per ristrutturare gli impianti e contrastare l’erosione che si aggrava, ma anche per andar incontro alle esigenze del mercato”. E se da un lato Capacchione cita interventi per favorire l’accessibilità per i disabili e la connettività digitale, dall’altro conferma il superamento del solo servizio spiaggia. “Quasi tutti fanno anche ristorazione, spesso self service o take away perché chi viene al mare vuol stare sotto l’ombrellone. Si sono però moltiplicate le attività extra, dalle aperture serali alle cure da beauty farm. Il mercato delle vacanze balneari è molto agguerrito e noi siamo tra le destinazioni all’avanguardia per quantità e qualità dei servizi”. Il portavoce degli operatori sottolinea la spinta alla destagionalizzazione, con aperture invernali legate al cambiamento climatico, ma anche all’esigenza di ammortizzare gli investimenti lavorando su una clientela che vuol godere del mare oltre il periodo estivo. Eppure le occasioni perse sono sotto gli occhi di tutti: “La Bolkestein ha favorito non solo Spagna e Grecia, ma anche Albania e Slovenia ne hanno approfittato sviluppando il sistema dell’accoglienza”, afferma l’esponente di Confcommercio. Sembra chiaro però che l’evoluzione dei lidi italiani non si possa giocare in una competizione al ribasso, e non solo per ragioni legate al costo del lavoro. Capacchione evidenzia come il fenomeno della balneazione in Italia sia iniziato prima della rivoluzione francese e anche la storia concorre a dettare le regole del prezzo, poiché lungo la penisola sorgono stabilimenti di attività ormai centenaria. “Il segmento più nazional-popolare se la gioca con Albania e Slovenia, Grecia e Spagna, mentre la fascia alta con la Costa Azzurra. Rimane il fatto che abbiamo spiagge con servizi d’eccellenza. Non dobbiamo però dimenticare che le nostre strutture balneari incarnano le peculiarità dell’Italia: sono le nuove piazze, hanno biblioteche e ristoranti, sono luoghi di socializzazione dove prendi il sole e scopri le eccellenze del territorio, incontri persone e scopri libri o vini. Sono palcoscenici per i territori e quest’anno, con il ministero del Turismo, ospiteremo il meglio dell’enogastronomia. Insomma, esaltiamo le tradizioni e andiamo incontro alla voglia di esperienze dei nostri ospiti… e tutto questo non si trova in Costa Azzurra”.
LA SVOLTA IN ATTO
Il movimento non manca. Dalle nuove proposte upscale in Costa Smeralda alle esperienze gastronomiche sull’Adriatico, tra i casoni della laguna frequentata da Hemingway a Grado e a Caorle; dalle serate ‘Butcher on the Beach’ che il Tayga a Maruggio (Taranto) organizza con la cantina San Marzano alla vivacità della costiera amalfitana, con eventi al beach club Lido degli Artisti e ristorazione tradizionale alla spiaggia di Santa Croce, fino alla tradizione dei bagni a Forte dei Marmi. La Perla del Mare nasce come un classico bagno stagionale sulla costa Toscana. A San Vincenzo gli ospiti tornavano ogni anno alla capanna di legno bianca e blu, dove oggi accorrono soprattutto perché ai fornelli c’è Deborah Corsi. La chef, associata ai Jeunes Restaurateurs d’Italia, ha raccolto l’eredità dagli suoceri. “Qui si riuniva d’estate una grande famiglia di villeggianti soprattutto dalla Toscana – ci racconta – e tra una partita a carte sotto l’ombrellone e una nuotata, ci stava uno spaghettino o un fritto. Poi il mondo è cambiato, non ci sono quasi più gli stagionali, ma è rimasto un legame tra il bagno e il ristorante”. Oggi i piatti attraggono anche ospiti che non vengono per la spiaggia, ma la famiglia valorizza la caffetteria con torte fatte in casa e prodotti salutistici. “Oggi il cliente è esigente e non si accontenta di ombrellone e lettino. Noi offriamo un menu informale ma curato, anche a pranzo: pasta o pescato del giorno. Poi magari tornano alla sera per una cena più completa”. Di certo non tutti lavorano così… “Perché è faticoso – replica la chef – in termini di orari e di gestione. Si parte alle 7.30 con la spiaggia e le colazioni e si finisce a tarda sera con la cena. Devi avere più collaboratori a disposizione e non ci si ferma mai”. Eppure questo è il futuro. Ai Bagni Mignon di Borgo di Cavi, poco prima di arrivare a Sestri Levante, dire che l’attività di ristorazione allunga la stagione è in realtà limitativo. “Sono l’unico in zona che apre a metà marzo e chiude il 6 gennaio – sottolinea il titolare Sergio Quercini – mentre tutti gli altri restano chiusi per 7/8 mesi. Noi puntiamo a lavorare con il nostro territorio, che attrae grazie al clima e alle bellezze anche oltre la piena estate. Abbiamo dei costi, ma diamo un servizio alle persone che decidono di passare a ottobre o a dicembre. Altrimenti troverebbero tutto sbarrato”. In realtà il segreto è andare oltre se stessi. “Noi puntiamo molto sul ristorante – rimarca Quercini – ma rimaniamo uno stabilimento balneare. I due mondi si incrociano a pranzo, eppure il ristorante non è un forte traino per la spiaggia: il target non si sovrappone realmente”. In un’area in cui la competizione sul food è molto forte, ai Bagni Mignon hanno scelto di non giocarsi tutto sugli ospiti in costume, ma su un’offerta di livello capace di attrarre clienti alla sera. “Proponiamo una cucina ricercata e il valore aggiunto è la posizione. In estate i tavoli sono sulla battigia e si può cenare con piedi in acqua, una cosa che in Liguria non trovi facilmente, ma anche in primavera e in autunno si può godere della terrazza in legno a 3 metri dall’acqua”. E lo sforzo (anche economico) vale la pena, perché il ristorante porta gli introiti più alti e perché “un bagno senza cucina dà un quinto del servizio, non tutti vogliono mangiar panini al mare”. Un beach lounge con acqua cristallina, maxilettini e baldacchini, cocktail e spuntini. Al Phi Beach di Arzachena, il club a ridosso di un’antica fortezza oggi tra le mete cool della Costa Smeralda, ci sono mare e sole, ma anche pomeriggi musicali e serate con i migliori dj sulla scena internazionale, mentre il Phi Beach Restaurant ha una “sala” pied dans l’eau e una terrazza a picco sul mare, con lo chef Giancarlo Morelli in cucina a preparare “esperienze sensoriali”. “Phi Beach si è sviluppato e ampliato raccogliendo i suggerimenti dei propri clienti, che vogliono vivere un’esperienza a tutto tondo – evidenzia il patron Luciano Guidi – Il locale ha confermato di poter essere allo stesso tempo glamour e sofisticato, ma anche estremamente democratico.
FORMAT E LIDI
Tutto è partito a pochi metri dal mare di Polignano, dove il pescatore Bartolo L’Abbate, lo chef Lucio Mele e l’uomo-marketing Domingo Iudice hanno lanciato Pescaria, fast food di pesce oggi presente a Milano e in arrivo a Roma e Torino. L’estate 2019 segna lo sbarco alla Baia dei Pescatori a Trani: nel lido attrezzato con cabine, ombrelloni e area bar si potranno ordinare i panini al pesce dello chef Mele, ma anche cartocci e tartare di pesce o insalate. “Spesso i lidi, anche di livello, offrono prodotti medio-bassi a prezzi medio/alti – osservano Iudice e Mele – mentre essere al mare induce ad accettare di spender di più per un panino o un caffè, anche laddove non c’è qualità. Pescaria nasce come concetto democratico, porta qualità della materia prima ed elaborazioni da alta cucina abbattendo il costo del servizio. Accogliendo l’invito dei gestori dello stabilimento a Trani, portiamo l’evocazione della pescheria direttamente sul mare”. Lo schema dell’alleanza tra format di successo nella ristorazione e strutture esistenti si arricchisce così di un nuovo case history, dopo quello di Paraggi (Riviera ligure) con Langosteria. I creatori di Pescaria sono convinti che possa esser un modello vincente per gli stabilimenti, che possono giocare sulla peculiarità della proposta. Il tempo perduto “si può recuperare se le concessioni dei lidi escono da logiche un po’ troppo macchinose e quindi facilmente viziabili – conclude Iudice – anche se poi il vero motore è la prontezza degli imprenditori. In Puglia ci sono chilometri di scogliera non attrezzata su cui è possibile costruire progetti spettacolari, ma si deve conciliare il rispetto della natura con l’esigenza imprenditoriale di lavorare 12 mesi l’anno”.