Non ha più senso celebrare, come ogni anno, la leadership italiana nella produzione di vino. Quello degli ettolitri è un aspetto quantitativo a cui non corrisponde un prestigio in termini di valore, come dimostrano gli ultimi dati Istat sull’export: l’Italia, durante i mesi più duri della pandemia, ha certamente contenuto i danni rispetto ai competitor, in particolare rispetto al vero leader che è la Francia, ma lo ha fatto agendo sulla leva del prezzo. Cioè, adottando evidenti politiche di ribasso. A breve termine questa disponibilità nello svalutare il prodotto può dare risultati, a lungo termine è fonte di debolezza. I produttori italiani sono stretti in una morsa europea che vede al vertice i francesi, nel fondo gli spagnoli, e la direzione giusta da prendere è certamente quella verso l’alto, riducendo innanzitutto le quantità. Una posizione che ha espresso con chiarezza, durante la vendemmia, un faro del nostro vino come Angelo Gaja, affermando che il primato quantitativo non è affatto invidiabile e che a piangere, nei prossimi mesi, saranno i fatturati. E, aggiungiamoci, le marginalità, da cui deriva ogni decisione di mercato, soprattutto in termini di investimento. I bilanci 2019 raccolti ed elaborati in questo numero evidenziano, ancora una volta, l’enorme differenza tra le aziende di fascia alta, i cui ebitda su fatturato raggiungono percentuali inarrivabili per gli stessi gruppi del lusso (con Antinori, leader per ricavi, in grado di superare il 45% e con Tenuta San Guido-Sassicaia addirittura oltre il 60%), e quelle di natura commerciale, ben sotto l’incidenza a doppia cifra. In questo preciso momento, caratterizzato da forti difficoltà per la ristorazione che è lo sbocco naturale dei vini d’alta gamma, spingere sul valore è arduo, perché in grande distribuzione conta soprattutto il prezzo e quello sarà il canale a cui si aggrapperanno le aziende tricolori. Bisognerà quindi affrontare un autunno di resistenza, durante il quale però dovranno essere poste le basi per un futuro diverso. Serve una regia nazionale in grado di imporre una riduzione della raccolta a monte per arrivare a smaltire gradualmente le giacenze e permettere, finalmente, di valorizzare i brand e le denominazioni italiane. La distillazione d’emergenza può essere un mezzo, ma non deve essere il fine