Il dilagare di termini come “hamburger vegano” o “bistecca vegetale” potrebbe avere i tempi contati. Si attende infatti l’esito del voto al Parlamento europeo sulla legittimità giuridica dell’abbinamento tra una terminologia appartenente alle carni e la loro applicazione al mondo vegetale. È il voto sulle cosiddette fake meat, giunto a seguito del pronunciamento risalente all’aprile del 2019 della Corte di Giustizia Ue, la quale stabilì che un prodotto di derivazione vegetale non può assumere la denominazione conferita generalmente a prodotti a base di carne.
Le parole sono importanti, ma contano anche i numeri. Dietro c’è un fenomeno, quello dei prodotti alternativi, il cui valore è stimato a livello globale pari a 4,6 miliardi di dollari, con previsioni di crescita a oltre 6 miliardi e il cui giro d’affari dipende per quasi il 40% proprio dall’Europa. Va precisato che l’eventuale approvazione contro le fake meat del Parlamento europeo non impedirà in automatico il ricorso alle espressioni ora in uso, perché poi ogni singolo Stato dovrà adottare una normativa nazionale a riguardo.
Intanto la versione vegetale dell’hamburger si sta imponendo, con più o meno successo, nella maggior parte delle catene specializzate, grazie anche ai risultati raccolti dalle realtà che sono riuscite a sviluppare alternative sempre più vicine al sapore della carne vera. Tra queste spiccano le startup americane Beyond Meat, il cui titolo al Nasdaq continua a performare piuttosto bene (ora viaggia sui 172 dollari contro i 67 del debutto), e Impossible Foods, ma anche Nestlè, Unilever e Kraft hanno investito in quest’ambito.
Dall’altro lato c’è la crisi degli allevatori europei, stretti tra la concorrenza internazionale (in particolare sudamericana) e la perdita di quote di mercato per la riduzione dei consumi di carne. L’analisi di Coldiretti su dati Eurispes ha evidenziato come il 93% degli italiani che non segue un regime alimentare vegetariano o vegano sia tratto in inganno dalle definizioni in uso per la finta carne. Al punto da spingere il presidente dell’associazione, Ettore Prandini, ad affermare che si ratta di “una strategia di comunicazione subdola”, ideata “per attrarre l’attenzione dei consumatori inducendoli a pensare che questi prodotti siano dei sostituti, per gusto e valori nutrizionali, della carne”.
Un precedente in materia riguarda la pelle, altro elemento di origine animale. Il decreto legislativo approvato il 28 maggio dal Consiglio dei Ministri ha infatti imposto che i termini ‘cuoio’, ‘pelle’ e ‘pelliccia’ potranno essere usati soltanto per identificare materiali derivati da spoglie di animali, mettendo così al bando, dopo una lunga battaglia condotta da Unic (associazione che raggruppa le concerie italiane) le definizioni presenti nel mercato come ‘ecopelle’, ‘vegan-leather’ e simili che erano utilizzate per materiali sintetici.