Un impatto fortissimo, misurabile in una contrazione di fatturato nell’ordine del 30-35%, che inizierà ad attenuarsi a partire dal prossimo anno. È il calcolo dell’effetto Covid sul mondo del vino da parte di Unicredit, che ha realizzato una ricerca presentata nei giorni scorsi a Torino nell’ambito dell’iniziativa ‘The Italian Way, le eccellenze italiane tra pandemia e ripartenza’. Partendo da un giro d’affari 2019 stimato in 13 miliardi di euro, ne deriva che la perdita annuale del vino italiano potrebbe superare i 4 miliardi
La ricerca di Unicredit è stata presentata durante un incontro organizzato in collaborazione con Federvini, al quale ha partecipato il presidente dell’associazione confindustriale del settore, Sandro Boscaini, e alcuni noti produttori del settore come Paolo Damilano, Camilla Lunelli, Gianni Gagliardo, Alessio Planeta, oltre a esponenti del mondo finanziario e della banca.
Nel dettaglio, l’indagine di UniCredit, basata su dati Cerved, evidenzia come con oltre 13 miliardi, l’industria del vino contribuisce al fatturato totale del f&b per oltre il 10% ed è il secondo esportatore mondiale in valore, dopo la Francia. Tuttavia, la sofferenza legata all’emergenza è particolarmente alta e per il 2020 è attesa una flessione nettamente superiore a quella media per il settore del f&b (3-6%). L’entità dell’impatto, precisa lo studio della banca, sarà tuttavia differenziata tra le diverse tipologie di vino e anche tra le imprese all’interno della stessa tipologia di prodotto.
Il mercato interno è atteso in contrazione principalmente per il crollo dell’horeca, che veicola il 42% delle vendite, e dell’enoturismo, da cui dipende una piccola quota di vendite, ma ad alto margine. Per quanto riguarda l’estero, la situazione italiana è complicata dal fatto che oltre il 50% delle vendite è concentrato in tre Paesi, due dei quali sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia: si tratta di Stati Uniti e Gran Bretagna, dove peraltro i consumi di vino passano principalmente tramite la ristorazione.
L’impatto sarà differenziato. I rischi risultano più elevati per i vini di gamma medio-alta e alta, venduti soprattutto tramite il canale horeca e l’export. Tra le imprese, risulteranno invece meno esposte le imprese che dispongono di un portafoglio ampio di prodotti, che possono contare su più canali di vendita e molteplici canali di sbocco. Come condizione per la ripartenza, l’analisi mette al centro il rispetto dei tempi di pagamento dei fornitori lungo la filiera, ma anche l’attuazione di iniziative specifiche a sostegno degli anelli più deboli della filiera tramite collaborazioni alleanze, accordi, unioni.
“Certamente l’impatto della pandemia sul nostro settore è stato molto duro, soprattutto a causa del lockdown che ha determinato la chiusura di tutti i pubblici esercizi, i primi partner per la diffusione e il consumo di vini di qualità”, ha affermato il presidente di Federvini, Sandro Boscaini. “Ma proprio grazie alla qualità, alla tradizione e contemporaneamente alla capacità di mantenere vivo il dialogo con il consumatore non è stato disperso quel patrimonio di credibilità ed empatia che abbiamo costruito nel tempo, sia in Italia sia all’estero”.