Una carrellata di contributi ha caratterizzato, nella giornata di lunedì 14 ottobre, la discussione sul futuro del Pinot grigio doc delle Venezie nel corso del suo primo convegno nazionale. Siamo nella sala congressi dell’Hotel Amadeus nella città di Venezia, location strategica di questo passaggio da igt, dove allignava da oltre quarant’anni, a doc, riconoscimento avvenuto nel 2016.
Un’ascesa di classe che impone la costruzione di un’identità e, con essa, l’identificazione in valori specifici, di natura sia agronomica che sociale, che trovano nella figura di Albino Armani, presidente del Consorzio delle Venezie doc, la precisa personificazione. Un progetto interregionale che abbraccia tutto il Triveneto (Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia) e che coinvolge ben 19 Consorzi di Tutela “tra cui il Consorzio Grave, il Consorzio Trentino e quello del Prosecco, coi quali dialoghiamo costantemente – spiega il presidente – nonché una triangolazione importantissima nell’economia vitivinicola italiana dove Prosecco e Pinot grigio rappresentano gli agenti più importanti, riversando sul territorio una ricchezza reale”.
Col Pinot grigio siamo al cospetto di 26.456 ettari vitati: una delle aree a vitigno unico più estese d’Europa, che occupa circa il 45% della produzione mondiale e l’85% di quella nazionale. In totale, parliamo di circa 200 milioni di bottiglie e un capitale umano di 10.000 viticoltori e 360 imbottigliatori rappresentati dai 21 elementi del Consiglio di Amministrazione. La sfida, secondo Armani, è quella di riposizionare il Pinot grigio italiano sul mercato internazionale alzando l’asticella del valore percepito: per questo motivo è stato creato “un organismo di certificazione che agisce sui territori in maniera capillare e, tramite una media di 50 degustazioni al giorno presiedute da una commissioni professionale di enologi, ne controlla i parametri qualitativi in maniera maniacale.”
Allo stesso tempo, era necessario indagare la percezione della denominazione – ancora troppo spesso associata al nome del vitigno e non a quello del territorio – nei mercati di riferimento e in particolare negli Stati Uniti, con il 37% delle quote export e in Gran Bretagna, con il 27%. In questa prospettiva si inserisce l’intervento di Emma Dawson, master of wine e buyer di Berkmann Wine Cellars, che ha messo in evidenza la “premiumizzazione delle tendenze in UK, dove si beve meno ma si beve meglio. La sfida, per un vitigno che ha già raggiunto il suo apice, è adesso quello di mantenere il livello lavorando su una narrazione coerente, e quindi premium, incoraggiandone il servizio alla mescita, investendo sulla sostenibilità del metodo e sulla diversità degli stili interni alle 19 sottozone.”
Dello stesso avviso anche Christy Canterbury, MW e giornalista statunitense, che parla di “un vino consolatorio: piacevole, accessibile e quotidiano, dato un punto prezzo interessante (dagli 11 ai 25 dollari) e la percezione di costituire un prodotto di lusso, perfettamente collocato a livello di target perché associato in particolar modo dal genere femminile”.
Proprio sul genere femminile e sui natali statunitensi del fenomeno Pinot grigio si concentra anche l’intervento di Ettore Nicoletto, AD del Gruppo Santa Margherita, che ha cominciato con una critica: “Vittima del suo stesso successo, il Pinot grigio italiano non è mai stato per i produttori del Triveneto una materia di indagine. Dopo la rivoluzione innescata da Gaetano Marzotto che, nel 1960, fu il primo a vinificarlo in bianco preconizzando l’interesse che il vino avrebbe sollevato proprio nell’universo femminile, abbiamo smesso di considerarlo oggetto di studio. Ma oggi Santa Margherita vuole invertire la tendenza e fare del Pinot grigio anche un ambasciatore della lotta alla difesa dell’ambiente. Dal primo aprile, tutte le bottiglie di Pinot grigio distribuite in Canada – quasi 1,5 milioni di bottiglie all’anno – sono certificate carbon neutral grazie all’analisi di Carbonzero che ci ha permesso di capire come neutralizzarle attraverso interventi diretti nel ciclo di produzione. Ciò ci ha portato a intercettare nuovi consumatori sensibili alla questione, per noi importantissima, del cambiamento climatico”.
Leila Salimbeni