All’aumento della quota di prodotto biologico in gdo e nel vino, si contrappone una staticità e un parziale disinteresse da parte della ristorazione, almeno in Italia. E questo nonostante la sempre più marcata tendenza alla cucina healthy
Il bio non scalda i cuori delle catene di ristorazione collettiva. E il paradosso è che i progetti dedicati all’introduzione di prodotti biologici nei menu non mancano, solo che sembrano esser percepiti come pedine poco strategiche nello scenario del posizionamento di mercato. Se è vero, infatti, che cresce l’attenzione per le certificazioni di provenienza così come per il segmento healthy, l’etichetta biologica sembra esser “pesante” solo per i brand che hanno scelto di farne una bandiera. L’Italia appare meno sensibile su questo fronte rispetto ad altri Paesi, soprattutto del mondo anglosassone, dove si moltiplicano i fast food centrati sulla proposta “organic” e “good”…
RISTORAZIONE OSTICA
Non è facile dare una spiegazione a questo disinteresse dell’horeca per il bio, se si considera che secondo il Focus Bio Bank 2019 sulla grande distribuzione, l’attenzione dei consumatori è in forte crescita e negli ultimi tre anni le vendite bio nei supermercati sono cresciute con incrementi a due cifre: +36% nel 2016, +21% nel 2017, +11% nel 2018. Mentre i negozi bio hanno mantenuto le vendite del 2015. “La sensazione che abbiamo – osserva Rosa Maria Bertino, cofondatrice e autrice Bio Bank – è che alcune catene aumentino le referenze bio, ma in un processo che non è mirato. La ristorazione, in particolare, sembra essere un interlocutore più ostico, preferendo mettere l’accento sulla qualità della materia prima, sul km zero, sulle specialità locali. Le catene bio, nate anche in Italia, non hanno mai fatto vela e in generale la ristorazione è l’ambito dove l’essere biologico viene enfatizzato meno. Non che ce ne sia meno, perché anche il bar sotto casa può avere il caffè organic o la pasta vegana bio, ma non c’è un focus”. In effetti il mercato della ristorazione biologica era stimato in 377 milioni di euro nel 2016 contro i 160 milioni del 2007 – secondo le elaborazioni di Bio Bank – e dunque il segmento è ancora piccolo rispetto agli 80 miliardi di spesa complessiva nel 2016. Però il trend potrebbe cambiare presto. “Il polso che noi abbiamo dalle aziende che censiamo – chiosa Bertino – ci induce a leggere un veloce riorientamento su gdo e horeca. Abbiamo ancora pochi dati e i fatturati non hanno avuto sviluppi eclatanti negli ultimi 10 anni, eppure l’horeca è una delle linee di sviluppo futuro. Se oggi le catene sono poco attente, non è detto che lo scenario non possa cambiare velocemente. Per anni abbiamo dichiarato che i supermercati erano insensibili al bio e stavano alla finestra, poi quando hanno svoltato hanno preso subito velocità. E poi basti pensare al biologico nel vino, fino a qualche anno fa erano in pochi a parlarne e ora i protocolli sono diffusissimi”.
C’È MA NON APPARE
Il bio dunque c’è, ma non sembra “intrigante” per l’horeca. McDonalds si era spinto verso i prodotti da agricoltura biologica già qualche anno fa. Se nel 2015 era stata annunciata l’introduzione nei menu dell’hamburger biologico McB, che sembra però non aver attecchito, è di quest’anno l’ingresso dei prodotti bio nel menu per bambini Happy Meal. Partita dal Regno Unito, la novità sta toccando anche l’Italia e sembra riguardare alcuni succhi di frutta e la verdura che viene proposta ai più piccoli al posto delle ben più sfiziose patatine. Se il colosso americano muove alcuni passi, ma non sembra premere sull’acceleratore, anche i player italiani giocano sulla prudenza. Da Chef Express spiegano che nella parte food di bar e ristoranti così come nella parte market (soprattutto nelle aree di servizio autostradale) la percentuale di prodotti bio non è particolarmente significativa. L’azienda, col format Juice Bar, segue alcune richieste e tendenze significative del mercato soprattutto nel segmento healthy, dove però la qualità dei prodotti non necessariamente coincide con la loro produzione in regime biologico. “Nei contesti di viaggio e nel segmento di mercato in cui opera prevalentemente Chef Express, il bio non rappresenta un valore aggiunto significativo per la società”, comunicano. Anche Autogrill non sembra interessata a dare troppa enfasi alle operazioni che pure si avvicinano al segmento bio. Non c’è enfasi su questo punto nella partnership con Eataly per l’area di servizio Secchia Ovest sulla A1, nella quale l’azienda di Oscar Farinetti ha creato l’esposizione per l’acquisto di prodotti territoriali – dai presidi slow food e al bio, appunto – e per una ristorazione di qualità, o nella collaborazione con Slow Food per valorizzare il lavoro di agricoltori e artigiani trasformatori della gastronomia locale. I prodotti biologici sono dunque presenti sugli scaffali, come i succhi di frutta bio del gigante ligure Noberasco, che ha affidato proprio ad Autogrill il lancio del nuovo prodotto, ma non sembrano fare la differenza. Lo stesso discorso vale per Cigierre. Il gruppo italiano – proprietario dei format Old Wild West, America Graffiti, Wiener Haus, Pizzikotto, Shi’s e Temakinho – controlla 350 ristoranti tra Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Spagna e Regno Unito e ha iniziato un percorso per l’introduzione del bio nella propria filiera, ma al momento è ancora presto per parlarne.
L’ECCEZIONE LAGARDÈRE
Chi ha scelto di porre un accento più marcatamente sul bio è Lagardère Travel Retail, focalizzato nei luoghi di viaggio con 4.600 punti vendita in 35 Paesi e un fatturato di 4,9 miliardi, che ha investito sul format Natoo – Healthy All The Way. Introdotto inizialmente nell’area commerciale della stazione di Padova e oggi presente negli aeroporti Marco Polo di Venezia, Roma Fiumicino e Cagliari, ma a breve anche a Napoli Capodichino, oltre che alla stazione di Roma Termini, Natoo combina succhi di frutta fresca e smoothie, cibo sano come insalate con frutta e verdura fresca, formaggi, dolci e vini locali. E molti di questi ingredienti sono prodotti biologici certificati. “Abbiamo iniziato a sperimentare l’inserimento del prodotto bio dal 2016 con il lancio del nuovo format – rimarca Marco Pandrin, direttore marketing e format food di Lagardère Travel Retail – e il punto di partenza era la scelta di offrire prodotti territoriali di alta qualità e soprattutto in chiave healthy. Per questo siamo arrivati al biologico, spingendoci nella ricerca fino ad accogliere in menu prodotti quasi inimmaginabili come la mortadella bio, che sembra quasi un controsenso e invece esiste ed è una eccellenza estrema”. La selezione di eccellenze biologiche ha dato da subito un ottimo riscontro da parte della clientela di Natoo. “Abbiamo riscontrato nel nostro cliente la necessità di avere un prodotto non solo di qualità – prosegue Pandrin – ma anche certificato. In un mercato così vasto come il retail, riuscire a proporre una certa filosofia ed esserne garanti è una sfida importante. Il cliente non solo ha risposto, ma ci ha incoraggiato tanto da farci scegliere sempre più prodotti bio”. Il gioco vale la candela, dato che “sempre più spesso tra due proposte food affiancate, entrambe nel nostro portafoglio, il cliente viaggiatore sceglie quella più sana e bio”, ammette Pandrin. Che però dichiara di non temere un effetto di cannibalizzazione rispetto alle proposte normali, dato che “il cliente è sempre più consapevole e non si beve qualsiasi cosa gli venga proposta. Fornire un prodotto eccellente è un must. Chi ha idee e forza può sperimentarlo sul campo e senza far la guerra del prezzo, dato che il mercato ha riscritto le regole. E il bio è una delle nuove regole, perché motiva una scelta precisa”. Secondo l’uomo-marketing di Lagardère, questo passaggio è utile anche sul piano del fatturato, perché fidelizza una clientela soddisfatta e attenta alla scelta. E poi quando si concorre per la gestione di uno spazio (in un aeroporto o in una stazione, ad esempio) il bando stesso inizia ad essere orientato alla soddisfazione di una fascia specifica di clienti che non siano solo mainstream. Anche per questo le proiezioni di crescita del progetto Natoo sono interessanti: “Oggi siamo a 6 punti in Italia e stiamo andando anche all’estero – conclude – dove la prima apertura sarà nel business center dell’aeroporto di Bucarest, ma siamo in gara per altri spazi a livello internazionale. Stiamo investendo molto sul format”.
Giambattista Marchetto