Alfio Ghezzi è il cuoco di casa Ferrari. oltre a Locanda Margon, dove ha conquistato le due stelle Michelin, ha una supervisione dell’offerta food in tutte le formule retail dei Lunelli.
di Alessandra Piubello
Alfio Ghezzi è uno chef sui generis, uno di quelli per i quali vale la pena citare Jobs e la teoria contenuta nel famoso discorso di Stanford: “Non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle”. Infatti, osservando il passato di Ghezzi dall’osservatorio attuale, possiamo dire che i suoi puntini si sono uniti. E vediamo perché. Ghezzi nasce 48 anni fa a Breguzzo, vicino a Madonna di Campiglio. La scintilla culinaria scatta da ragazzino, nella cucina dell’albergo di amici di famiglia con conseguente iscrizione all’alberghiero. Poi però si inseriscono alcune deviazioni dal percorso, come gli anni di studio alla facoltà di Lettere Moderne e poi la formazione nel settore alberghiero, durata anni anche lì. Ma il richiamo alla cucina è troppo forte. “Ho avuto un percorso frammentato – spiega – che poteva essere visto come una perdita di tempo o una deviazione dall’obiettivo, che invece mi ha portato a costruire un disegno più ampio e a sviluppare competenze che mi tornano utili oggi”. Così, dopo un’estate da Bocchia a Villa Serbelloni, collabora con Marchesi, prima a Erbusco a L’Albereta, poi come responsabile della cucina a Cannes al Casinò Les Princes e all’Hostaria dell’Orso di Roma, per circa 4 anni. La parte da aiuto si conclude con Andrea Berton da Trussardi, ultimo passaggio prima del grande salto. “Marchesi mi ha lasciato la sua impronta per la sensibilità, il gusto, la scelta dell’ingrediente giusto e la capacità di raccontare un paesaggio in un piatto ben cucinato. Da Berton ho appreso l’organizzazione, il pragmatismo e la precisione in senso più ampio, non solo riferito alla cucina”.
Nel 2010 arriva la chiamata della famiglia Lunelli: si torna in Trentino
E’ stata una gioia immensa e un grande orgoglio, ma anche una responsabilità di rappresentare il Trentino nel mondo, come ambasciatore del loro gruppo per la gastronomia. Ho potuto portare nella mia terra le esperienze fatte lontano. E incominciare un nuovo percorso di sperimentazione tra le bollicine Trentodoc Ferrari e il cibo”.
Un anno dopo arriva la prima stella Michelin, nel 2016 la seconda. E in mezzo il Bocuse d’Or Italia, nel 2012. Cosa significa fare lo chef alla Locanda Margon?
“Qui ho affinato un percorso vino-cibo. Il vino è diventato ingrediente dei miei piatti, oltreché un abbinamento al piatto. Lo chef, per come la vedo io, deve interpretare il proprio territorio e valorizzarne i prodotti, ma in più io avevo una possibilità nuova da esplorare e sperimentare, le nostre bollicine Trentodoc. Il percorso normale, tra ingredienti, tecniche di cottura, sapori, consistenze, si arricchiva di un nuovo elemento, che è un prodotto finito, come il vino. All’inizio ho dovuto vedere la cucina da un altro punto di vista: quello del vino.
E cosa cambia questa visuale?
Ho dovuto individuare anche gli elementi che avrebbero potuto disturbarlo nella sua espressività, come i fondi troppo ristretti, le spezie, evitando cotture alla griglia, le amarezze ma anche l’umami. Gli elementi che esaltano le bollicine sono i crostacei, i crudi di pesce, la mortadella, i prodotti dotati di grassezza e dolcezza. Ricordo che quando ho cominciato mi sono confrontato con l’enologo di casa Lunelli, Ruben Larentis, che spesso mi bocciava i piatti, suggerendomi alternative. Trovare l’armonia ha richiesto tempo e pazienza. Si trattava di individuare i prodotti per creare un abito sartoriale sul vino. Poi ho scoperto che è più semplice adeguare il piatto al vino che il vino al piatto!
Qual è il legame di Ghezzi con il vino, in particolare con il Trentodoc Ferrari?
È un rapporto vissuto sul campo: vino e cibo sono fatti per sposarsi, si completano a vicenda se si studiano le loro liaison. E Locanda Margon è stata il mio luogo d’elezione per sperimentarne gli accordi e le armonie. In questo mi è stato sempre vicino Matteo Lunelli, manager capace di cogliere infiniti dettagli, anche nelle ricette. Scherzosamente, dice sempre di essere il miglior cliente della Locanda e in effetti è molto presente.
Hai creato dunque il menu Suggestione Bollicine, anche con gli abbinamenti al calice.
Ci confrontiamo molto con il sommelier, non è più lui che deve essere obbligato a trovare il vino giusto per quel piatto, diventa una collaborazione e lo chef si adegua al vino per trovare l’armonia nel piatto. Considerando che siamo in provincia e che non sempre si ha voglia di dedicare due ore e mezza ad un menu che prevede 8 portate con 7 vini in abbinamento, ci reputiamo soddisfatti del suo gradimento. Almeno il 25% della nostra clientela lo sceglie e ogni anno che passa sono sempre di più quelli che lo ordinano. Tre piatti bandiera, sempre in carta, sono: Riso e bollicine, mantecato con erborinato di capra e Ferrari Perlé Rosé; il Blanc de Blancs di baccalà con crema di porri e patate e zuppetta allo Chardonnay e Insolito Trentino: spaghetti Monograno Felicetti, extravergine Uliva, Trentingrana e Ferrari Perlé. Il linguaggio del mondo del vino è stato usato anche per descrivere i piatti. Qual è stata la gestazione? Il primo derivava da un ricordo di roquefort e champagne che avevo in testa, ma ho dovuto lavorarci, perché il rischio era che il formaggio tirasse fuori una nota ferrosa che deviava la bollicina, così l’ho ammorbidito con note più rotonde e il risultato è stato molto apprezzato, impossibile toglierlo dalla carta! Per il Blanc de Blancs ho giocato su tre ingredienti bianchi e puntando allo chardonnay come elemento di spicco. Per l’insolito Trentino ho unito prodotti della tradizione ad altri che caratterizzano il nostro territorio. Quanto conta l’impronta della montagna? In cucina cerco di trasmettere il territorio, il paesaggio, le mie montagne appunto, e uso ingredienti di qualità toccati con semplicità per puntare all’essenzialità e alla purezza. Dal punto di vista umano la montagna mi regala la capacità di elevarmi di prospettiva, di guardare alle cose con uno sguardo nuovo, fa anche capire i propri limiti e la nostra piccolezza di esseri umani incapaci di rispettare e custodire la bellezza del creato. E’ difficile che i ristoranti stellati oggi si reggano in piedi da soli. Cosa si fa a Locanda Margon per cercare di renderla sostenibile dal punto di vista economico? Sembrerà scontato ma uso un sano buon senso. La gestione del ristorante è millimetrica perché i costi sono estremamente importanti. Per il food cost faccio la spesa tutte le mattine, quindi evito di tenere magazzino, solo l’indispensabile. Non si spreca nulla. Per il beverage cost, noi che abbiamo una carta dei vini di 750 etichette, con una profondità notevole di tutti i vini del gruppo Lunelli, cerchiamo di far ruotare i vini. Un costo che incide molto è quello del personale, per questo ho delle persone addette fisse e altre a chiamata, secondo le stagioni e le occasioni.
Qual è la clientela di Locanda Margon?
Nel Salotto Gourmet (circa 20 coperti) arriva una clientela di enoappassionati e gourmet, che magari sono appena stati da Ferrari o a visitare Villa Margon e poi si fermano qui. Molti vengono anche per visitare la città e i suoi musei, il Muse (Museo delle Scienze di Trento) e il Mart (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto) e fanno una sosta gastronomica qui. La Veranda (40 posti con un servizio più informale e più veloce) piace a molti industriali e manager. I Lunelli dicono che i loro ospiti sono quelli che amano fare il percorso del bello e del buono, visitando Villa Margon, Ferrari e poi la Locanda.
Locanda Margon ha una riproducibilità, si potrebbe “clonarla”, seppur con le dovute differenze, in altri luoghi?
Credo proprio di sì, sia in Italia sia all’estero. Ho lavorato con delle procedure chiare, ho formato delle persone al mio fianco che ormai sono in grado di far passare l’unicità di questo percorso.
Oltre a Locanda Margon esistono anche i Ferrari Spazio Bollicine (il primo aperto a Madonna di Campiglio, poi negli aeroporti di Fiumicino, Linate, Malpensa): che tipo di formula è stata studiata?
Ho pensato ad una proposta che rispecchiasse l’arte di vivere all’italiana, piatti a base di prodotti regionali, nulla di esotico, ma di molto tipico. Creo una scheda tecnica e il personale li replica. Voglio dare, pur nel rispetto di tempistiche limitate legate al luogo di intenso traffico, un momento di esperienza positiva, rilassante e accogliente. Abbiamo dei piatti cult, come la carne di fassone battuta al coltello e il vitello tonnato e altri a seconda delle regioni. Attraverso la voce di Alessandro Della Penna, responsabile del progetto retail, apprendiamo che ci saranno presto delle novità in merito. Ci sono dei contatti in essere che si spera portino a dei risultati, in relazione ad altri Ferrari Spazio Bollicine negli aeroporti (anche all’estero) e ad una nuova formula di bistrot di alta qualità. Gli Spazio Bollicine, disegnati da Robilant associati sotto le direttive del gruppo Lunelli, propongono non solo i vini di proprietà ma anche a rotazione dei calici delle più importanti denominazioni italiane, proprio per fornire un servizio il più possibile completo ai clienti internazionali di passaggio, stimando di versare oltre 200mila calici nei tre aeroporti nel corso dell’anno. D’altronde per Ferrari diventa sempre più evidente la volontà di avere dei punti di contatto diretti con il cliente finale. Nei prossimi anni potenzieranno anche l’accoglienza in cantina, perché sta partendo un progetto di ristrutturazione con l’architetto De Lucchi proprio per valorizzare la parte hospitality. Inoltre, esistono anche i Ferrari Sparkling Club, dove il sigillo della casa spumantistica di Trento arriva nelle terrazze di locali prestigiosi in luoghi emozionanti, realizzando cene con abbinamento di vini in questi luoghi magici italiani. Queste ed altre iniziative lasciano intendere che per Ghezzi, tutti quei puntini sono davvero stati uniti, e tra qualche anno il disegno potrebbe apparire ancora più chiaro.