Crescono fino al 50% i ricavi 2017 delle società con brand replicabili nella ristorazione. Il settore è al riparo dalla concorrenza online che, intesa come food delivery, finisce per essere un suo alleato. L’Italia della ristorazione si è svegliata. Dopo decenni di lamentele per i suoi piatti-icona portati al successo da catene estere come Pizza Hut, per non parlare di Starbucks con il suo Frapuccino, c’è una generazione che ha smesso di piangere e ha lanciato, partendo dall’Italia, nuove formule che iniziano ad attrarre l’attenzione non solo degli investitori, ma anche dei developer nel retail. Il 2018 è iniziato perciò con la firma di nuovi accordi legati al franchising di catene nate in Italia e scoperte dagli stessi developer, perlopiù mediorientali (è il caso di Spontini con Alshaya), nel nostro Paese o in quella formidabile piazza per la visibilità internazionale che è Londra. Proprio la capitale britannica è assieme a Milano il punto nevralgico delle nuove aperture di catene che crescono, e spesso lo fanno a doppia cifra.
AL RIPARO DALL’ONLINE
Secondo lo studio di Pambianco Strategie di Impresa sui principali format italiani di ristorazione, segmentati per fasce, non compare alcun segno negativo nel confronto tra 2017 e 2016 in termini di fatturato. Nella peggiore delle ipotesi, e in assenza di nuove aperture, i gruppi del retail hanno confermato il risultato dell’esercizio precedente. Tra le insegne in espansione, l’aumento del giro d’affari può arrivare fino al 50% come nel caso di La Piadineria, peraltro ceduta a fine 2017 da Idea Taste of Italy a Permira con esito più che soddisfacente per il fondo facente capo a De Agostini, o di Langosteria, che alle location milanesi ha aggiunto quelle stagionali di Paraggi (Liguria) e Courmayeur (Valle d’Aosta). Il picco, in termini di crescita anno su anno, appartiene alla piccola ma preziosa catena avviata da Savini Tartufi, con i suoi truffle restaurant, protagonista di un incremento del 54% su valori comunque più contenuti rispetto agli altri brand. In teoria, i ricavi dei format di fascia alta sarebbero ancora troppo bassi per attrarre investitori, ma nella pratica non è così. Obicà ad esempio, che chiuderà l’anno con 38,1 milioni ed è quindi sotto la fatidica soglia dei 50 milioni, si appresta al suo primo cambio di fondo, con l’ormai imminente uscita di Neo Investment Partners, entrato sei anni fa, dal capitale della catena di mozzarella bar. Lo stesso è già accaduto nella fascia media dove Sebeto, proprietario del brand Rossopomodoro nella pizza e certamente posizionato in alto con il brand Ham Holy Burger (hamburger gourmet), è stato al centro di una trattativa conclusa a inizio marzo per l’uscita di Change Capital e l’ingresso di un altro fondo londinese, OpCapita. “Queste ed altre trattative sono indice di una maturazione del mercato”, spiega a Pambianco Wine&Food Nicola Reggio, partner di Area Retail, società di consulenza specializzata nella diffusione retail dei food format. “I format infatti iniziano ad avere fatturati interessanti e, al tempo stesso, i potenziali investitori, fondi di private equity, club deal, family offices etc, hanno abbassato l’asticella della loro soglia limite per investire proprio perché, pur non facendo numeri enormi, questi gruppi della ristorazione presentano notevoli potenzialità di sviluppo. Oggi si possono valutare investimenti sotto i cinque milioni di euro per entrare in società che ne fatturano anche meno di dieci”. E se il parametro base dell’acquisizione resta sempre lo stesso, pari a 10 o 11 volte l’ebitda, le attuali trattative vedono il riconoscimento di premi superiori alla media per i creatori dei format. “Non si guarda più solo al freddo ebitda – evidenzia Reggio – perché ogni importo va comparato al settore di riferimento. E la ristorazione, rispetto per esempio alla moda, gode di un notevole vantaggio: non soffre la concorrenza delle vendite online che nel caso dei format, attraverso le società di food delivery, finiscono per diventare un partner anziché un competitor, incrementando la marginalità in conto economico”.
CON O SENZA INVESTITORI
Il prossimo colpo, dunque – sempre che non si concretizzi alla vigilia di Vinitaly – dovrebbe riguardare il leader per fatturato della fascia alta ovvero Obicà. “I tempi sono maturi. Stiamo valutando delle possibilità, perché c’è un fortissimo interesse verso il brand per la sua internazionalità e autenticità italiana”, sostiene il CEO Davide Di Lorenzo, sorvolando sull’identità dei potenziali acquirenti. Intanto la catena di ristoranti fondati sulla mozzarella di bufala campana resta concentrata sul piano di nuove aperture che nei prossimi mesi prevede diverse inaugurazioni. Il colpo appena realizzato è invece legato a Sebeto e al suo marchio ammiraglia Rossopomodoro, il cui cofondatore e presidente Franco Manna conferma il piano da dieci aperture l’anno tra Italia ed estero, compresa la presenza negli store Eataly con l’ultimo opening di febbraio a Stoccolma e con il prossimo previsto in Canada. “A livello di franchising, quest’anno apriremo in Oman, la prima di una serie di aperture con un developer locale per Rossopomodoro e per il take away a marchio Rossosapore. E poi sarà la volta dei nostri locali a conduzione diretta in Italia, ma anche di un franchising a Pinerolo e di un ristorante a Torino nello Juventus Stadium”, racconta Manna. Quanto a Langosteria, il 2018 sarà dedicato al consolidamento del business esistente, prima dell’espansione all’estero.“I focus sono su New York, Miami, Londra, Dubai e Beirut”, afferma il CEO Enrico Buonocore. Zushi intanto è arrivato a quota 25 ristoranti per altrettanti milioni di ricavi e, afferma Paolo Colonna che ha acquisito il brand di Asian food tramite il club di investitori Investfood, “Vorremmo arrivare a quota 50 ma senza troppa fretta, proprio perché siamo un club deal e non un fondo di investimento e perciò possiamo permetterci di fare le cose senza stress”. Retail Group, società a cui fa capo il brand Vyta Santa Margherita, è finalmente pronta a inaugurare Londra in Covent Garden dopo aver conquistato le principali stazioni ferroviarie italiane e anche il centro storico di Roma. “Non abbiamo la necessità di aprire il capitale ad altri investitori ma non escludiamo partnership legate a particolari competenze per sviluppare più rapidamente il business”, afferma il presidente Nicolò Marzotto. Intanto il leader in assoluto della ristorazione brandizzata italiana si conferma Chef Express, con 570 milioni di ricavi stimati nel 2017 e un balzo del 12% anno su anno. La società controllata dal gruppo Cremonini sta lanciando nuovi brand sia all’interno di spazi commerciali come ad esempio CityLife a Milano, sia anche nelle aree di servizio autostradali. Tra le novità del 2018 c’è l’arrivo di Heinz Beck, chef tre stelle Michelin, a Citylife-Milano con il brand Attimi, già testato con successo a Roma Fiumicino. “La nostra principale strategia per il mondo della ristorazione – racconta l’AD Cristian Biasoni – consiste nel potenziare il portafoglio dei format. Lo abbiamo sviluppato con particolare impegno e attenzione anche per rispondere a una precisa esigenza delle aziende da cui dipendono le concessioni degli spazi, perché sono proprio queste società (aeroporti, stazioni etc) a richiedere il giusto concept per la giusta location”. Quanto a Cioccolatitaliani, la società di proprietà della famiglia Ferrieri pareva prossima all’acquisto da parte di un gruppo rilevante del mondo coffee ma la trattativa sarebbe stata rinviata e intanto il CEO Vincenzo Ferrieri porta avanti un piano che vedrà quest’anno la prima apertura a Roma e cinque in tutto per l’Italia, con l’ingresso nel canale degli outlet, oltre al potenziamento nel mondo arabo. “Prima o poi saremo pronti ad aprire il capitale, ma non credo che lo faremo da qui a due anni e comunque siamo in grado di arrivare senza troppe difficoltà a 50-60 punti vendita, con le nostre forze”, afferma Ferrieri.
di Andrea Guolo