Nascono nuovi brand, nell’ottica di una competizione nazionale (Cibus vs Tuttofood) e internazionale (Flavor vs Sirha). E si rafforza l’asse Parma/Verona come competitor di Milano. I piani dei cinque player seduti al tavolo del risiko,
di Emanuele Scarci
Il risiko delle fiere italiane. La competizione tra quartieri passa anche dal food&beverage, con cinque giocatori che non mollano mai: si tratta di Milano, Verona, Parma, Bologna e Rimini. Il gioco di sfilarsi le mostre tra fiere ha raggiunto un equilibrio (in bilico tra Milano e Verona solo Simei, il salone delle macchine per l’enologia) anche perché è molto dispendioso. La partita ora si gioca, in Italia e all’estero, su cloni e doppioni di manifestazioni tematiche esistenti. L’equilibrio però si romperà quando la strategia regionale delle società emiliane prenderà il largo: dopo il bruciante stop alla quotazione della fiera di Rimini-Vicenza (Ieg), il progetto del maxi polo emiliano-romagnolo ha perso slancio, ma l’idea di unire Bologna, Rimini e Parma tornerà subito dopo che Ieg entrerà nel salotto di Piazza Affari. E allora i giochi si riapriranno.
MILANO PRONTA ALLO SHOPPING
Il nuovo management di Fiera Milano ha rimesso in piedi il colosso delle fiere tricolori. Ma deve ora difendere alcuni dei suoi gioielli, in primis Tuttofood e Host, dalle mire dei concorrenti. Negli ultimi anni Milano ha puntato molte carte sullo shopping, sfilando Made Expo, Lineapelle e Lamiera a Bologna e convincendo gli editori a lasciare il Salone del Libro di Torino per proporre a Milano Tempo di Libri che però nel 2019 ha subìto uno stop. Se ne riparla nel 2020 con un cambio di formula. Anche Fruit & Veg Innovation, nata in partnership con Verona, ha subito sbattuto contro il muro eretto da Rimini che con Macfrut ha anticipato la manifestazione sovrapponendola a quella milanese di Tuttofood, ma il polo romagnolo rimane ben distante da Fruit Logistica Berlino, evento leader mondiale dell’ortofrutta con 3.200 espositori provenienti da 90 Paesi. Sul fronte internazionale, Fiera Milano ha acquisito, in partnership con Deutsche Messe (Hannover), due nuove fiere professionali in Cina (Laserfair e Let China – Logistics Equipment & Technology) e ha rilevato l’altro 50% della Tubotech, biennale internazionale brasiliana sulla lavorazione dei tubi. La crescita internazionale deve continuare, anche perché i ricavi esteri rappresentano a stento il 3% di quelli totali (ma oltre il 10% dell’ebitda). Infatti il management punta a sviluppare geo-cloni di eventi di proprietà in Cina e Usa. L’idea è tutt’altro che nuova e la competizione rimane elevata. Recentemente il polo lombardo si è aggiudicato CPhI Worldwide, il più grande evento mondiale dedicato all’industria farmaceutica. Fabrizio Curci, ceo di Fiera Milano, dichiara: “Eventi internazionali di portata globale come CPhI Worldwide trovano in Milano e nel suo quartiere fieristico una piattaforma unica, ma è la prima delle nuove mostre di Fiera Milano: per le altre vedremo più avanti. Tutto però s’inquadra nella realizzazione del piano strategico”. Nei fatti l’organizzatore di Cphl Worldwide è il colosso britannico Ubm mentre al polo fieristico milanese spetterà, nell’ottobre del 2020, ospitare 2.600 espositori e 46 mila professionisti su 250mila mq. Con l’arrivo dell’ultimo evento i target medi di Fiera Milano dovrebbero migliorare anche considerando il supercalendario 2021 (Emo, Innovation Alliance e le biennali) che dovrebbe produrre un Ebitda monstre di 60-70 milioni, come conferma anche Banca Imi, specialist di Fiera Milano. Sul fronte interno, si punta al rafforzamento delle manifestazioni direttamente organizzate, ma Homi perde superficie espositiva, Tuttofood e Host sono sotto attacco da parte di Parma, Pitti e Rimini. Simei (tecnologie del vino, di proprietà di Unione Italiana Vini) è nel mirino di Verona. “A noi queste beghe non interessano – taglia corto Curci – siamo concentratissimi sulla qualità delle nostre manifestazioni e sull’indice di soddisfazione. Tuttofood sta evolvendo da fiera dell’offerta a fiera della domanda ed è un hub fondamentale che aiuta le imprese in una visione di ecosistema globale”. Poi però Curci si ferma un attimo: “Host? Facciano pure. Ma vi rendete conto che è un gigante mondiale?”. Infatti nel 2017 la fiera del foodservice ha occupato 137mila mq netti espositivi e registrato 2.060 espositori. Sul fronte della gestione aziendale, Curci ha limitato il calo dei ricavi degli anni pari soprattutto grazie alla mostra Innovation Alliance, ha tagliato i costi operativi di circa il 10%, ha ridotto le svalutazioni e ha beneficiato dei maggiori proventi delle controllate estere. Alla fine il conto economico 2018 registra un ebitda di circa 32 milioni, risultato che non si vedeva dal 2015, anno record per la concomitanza di Expo, un calendario carico di mostre biennali e la pluriennale Emo, la mondiale delle macchine utensili. Nel piano strategico 2018/2022, se le cose andranno per il verso giusto, i ricavi medi annui dovranno stabilizzarsi nella fascia 260-280 milioni, l’Ebitda medio annuo a 28-30 milioni mentre la Posizione finanziaria netta nel 2022 dovrebbe risultare positiva per 70-90 milioni. Infine, Fondazione Fiera Milano si è impegnata a investire 70 milioni per il MiCo e l’ammodernamento del quartiere fieristico.
VERONA GUARDA A CINA E USA
Verona è impegnata a dare uno sbocco internazionale ai propri gioielli: vino e marmo-lapidei. Ha varato, in partnership, una piattaforma per Vinitaly in Cina e una arriverà negli Stati Uniti. Qualche mese fa ha realizzato il primo VinBrazil a Bento Gonçalves, business che si affianca a quello della filiera del marmo. “Sulla nuova piattaforma cinese lavoravamo da tempo con un primario operatore asiatico”, sottolinea Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere. “Si tratta di una fiera classica, contornata da educational e tour. Tutto sommato la crescita del vino italiano in Cina non è rapida ma c’è: il made in Italy sta guadagnando consensi e noi ci inseriamo in questa scia. Abbiamo posto molta cura nella scelta del periodo, evitando che confliggesse con Vinexpo Hong Kong (a maggio 2020, ndr). L’anno prossimo faremo un’edizione zero”. Poi nel 2021 c’è lo sbarco negli Stati Uniti.”Non sarà in stile europeo – osserva Mantovani – perché gli americani non premiano le fiere ma preferiscono gli eventi dove c’è comunicazione e coinvolgimento. E noi in quel Paese con la nostra Academy abbiamo formato 300 tra ambassador ed esperti del vino italiano”. Quanto a Vinitaly 2019, Mantovani evidenzia che sarà un’edizione record per espositori ed estensione. La verità è che a Vinitaly il quartiere veronese va stretto: infatti dal 2020 Enolitech (tecnologie del vino) sarà accorpata a Fieragricola e il Salone del vino avrà nuovi spazi. E per quella data Veronafiere spera di raggiungere un’intesa con la mostra gemella Simei . “Il dialogo è in corso – sottolinea Mantovani – e spero si arrivi a un’intesa. I problemi sono più tecnici che reali. E non credo che Fiera Milano vorrà fare una battaglia per sviluppare il business del vino”. Veronafiere ha destinato importanti investimenti al suo quartiere fieristico. “Rispetto ai 94 milioni decisi nel Piano industriale – sottolinea il top manager – abbiamo buona parte degli investimenti in corso nei parcheggi, nel nuovo ingresso della logistica e soprattutto nel primo stralcio per la copertura integrale del quartiere: senza rifarne uno nuovo, con 80/90 milioni allestiremo uno dei poli espositivi più moderni d’Europa”. Quanto alla performance del 2018, Mantovani sottolinea l’ottimo andamento di Fieragricola, di Marmomac e ovviamente di Vinitaly.
LA FAME DI PARMA
Nel mirino di Parma entrano Tuttofood e Host. Per il polo espositivo della food valley italiana si tratta di una scelta in qualche modo naturale, ma che la porta a rivaleggiare inevitabilmente con Milano. Fiere di Parma ha rotto gli indugi e ha deciso di annualizzare Cibus, con la manifestazione light Cibus Connect che si tiene solo 24 giorni prima di quella milanese. Ma c’è un’altra novità in vista. “A partire dal 2020, in autunno – ufficializza Antonio Cellie, ceo di Fiere di Parma – terremo a Firenze l’evento Flavor, dedicato al mondo dell’horeca. Negli anni pari non ci sono manifestazioni di questo tipo e la faremo in partnership con Fiere Colonia e il supporto di Pitti Immagine che a Firenze organizza a marzo Taste”. L’evento dovrebbe coinvolgere Firenze e Kpe, la società paritetica tra Parma e Koelnmesse. La fiera dovrebbe svolgersi dal 4 al 6 ottobre. Sarà ispirata alla milanese Host? “Certamente no – risponde Cellie – e stiamo invece ragionando sul modello Sirha di Lione”. L’ultima edizione della rassegna biennale francese si è svolta lo scorso gennaio ma Flavor è stata volutamente posizionata nell’anno di assenza di Anuga: la fiera di Colonia si tiene infatti nell’autunno degli anni dispari. In questo modo, la stessa Koelnmesse tenterà di fare il gioco dell’alleato emiliano. Tornando alla sua principale manifestazione, per Cellie l’annualizzazione di Cibus non crea sovrapposizione con Tuttofood. “Facciamo due mestieri completamente diversi. Il nostro obiettivo, insieme al partner Federalimentare, è valorizzare unicamente il made in Italy. Siamo la vetrina dei grandi brand e, insieme, delle Pmi che spesso aiutiamo e alfabetizziamo sul piano fieristico. Per questo Cibus è la piattaforma di riferimento per gli operatori nazionali e internazionali che vogliano fare sourcing di Authentic Italian. Un bisogno che non può non avere una risposta annuale come accade per altri grandi saloni e settori, da Vinitaly al Sigep fino al Salone del Mobile”. Negli ultimi dieci anni il polo espositivo emiliano è evoluto a tal punto che nel conto economico 2018 l’incidenza dell’ebitda di Cibus è passata dall’80% dell’anno di arrivo di Cellie (il 2008) al 35% del 2018. L’anno scorso i ricavi sono stati di 41 milioni e l’ebitda di 10. “Nel bilancio 2019, grazie all’evoluzione di Cibus Tec ormai grande quanto Cibus, di Mercante in Fiera e del Salone del Camper nonché allo sviluppo di Mecspe ed Sps – puntualizza Cellie – l’ebitda manterrà pressappoco lo stesso livello del 2018. Ma la nostra più grande soddisfazione è avere creato, negli anni, una nuova generazione di giovani manager che rappresentano una garanzia per il futuro non solo di Parma ma anche di altri operatori che hanno attinto al nostro vivaio“. La costituzione di un maxi polo emiliano-romagnolo è definitivamente accantonata dopo l’alleanza Verona-Parma? Il ceo della fiera ducale risponde così: “Direi di no. Ci sarebbero diverse opportunità da sviluppare congiuntamente su precisi progetti industriali, e ce ne sarebbero altre nell’ambito padano: per esempio penso a una grande fiera “distribuita” dell’agricoltura e della zootecnia nel quadrilatero Lodi/Milano sud, Parma, Verona e Bologna/Forli. Un grande evento che, con l’accordo delle fiere di Cremona e Forlì, potrebbe valorizzare il modello policentrico che abbiamo strenuamente difeso proprio partendo da Parma. D’altro canto l’esempio Cersaie&Tecnargilla è una best practice”. Eppoi? “Vedo spazi nel settore enotecnico – conclude Cellie – dove da una collaborazione di Parma-Verona e Simei potrebbe nascere una valida alternativa al percorso verso Monaco di un settore importantissimo per il made in Italy”.