Chiudono i negozi, aprono bar e ristoranti. Il cambiamento della realtà commerciale italiana è stato al centro del rapporto “Demografia d’impresa nei centri storici italiani”, presentato da Confcommercio, che ha analizzato i dati relativi agli ultimi 10 anni nelle città italiane, anni nei quali sono stati chiusi circa 62 mila negozi per un calo complessivo del 10,9 percento. Non tutti i settori però sono uguali. Alberghi, ristoranti e bar sono infatti aumentati del +17% con un saldo netto in attivo di 39 mila unità. E ancor più alta è la percentuale di crescita legata a imprese commerciali registrate da titolari stranieri, che crescono del 26,2 percento.
Le sofferenze maggiori riguardano invece le librerie, i negozi di giocattoli, quelli di abbigliamento e scarpe, in molti casi dirottati sui grandi centri commerciali, mentre le cose vanno bene in particolare per computer e telefonia e farmacie. La scelta di abbandonare i centri storici è determinata soprattutto dagli alti canoni di locazione che inducono i commercianti a spostarsi verso le periferie.
“Meno tasse e più incentivi per le imprese che hanno una attività commerciale o vogliono crearne una nelle città”, ha auspicato il presidente nazionale di Confcommercio, Carlo Sangalli, indicando due possibili soluzioni: “Una cedolare secca sulle locazioni commerciali e una local tax che comprenda Imu, Tasi e Tari, totalmente deducibile”.