I valori immateriali della grappa, a partire dalla sostenibilità endogena di un distillato che nasce dal recupero di un sottoprodotto della vinificazione come la vinaccia, altrimenti destinato in discarica, saranno al centro della dodicesima edizione di Grapperie Aperte. Alla principale giornata di promozione del più diffuso superalcolico made in Italy, che si tiene domenica 4 ottobre, aderiscono 31 distillerie, con il Piemonte prima regione aderente con 10 aziende aperte al pubblico. Tra le iniziative previste spicca il contest fotografico “Lo spirito della grappa secondo me”, lanciato dall’Istituto Nazionale Grappa attraverso Facebook e Instagram con hashtag #grapperieaperte2015. La foto vincente diventerà immagine ufficiale per la campagna di comunicazione sul prodotto che, assicura Elvio Bonollo, presidente dell’Istituto, sta affrontando il calo ormai strutturale dei consumi con un posizionamento qualitativo sempre più elevato. “Il consumatore – dichiara Bonollo a Pambianco Wine – oggi è ancor più in grado di comprendere la complessità di un capolavoro sensoriale come il nostro”.
Quali sono i numeri del settore?
Il giro d’affari è di circa 300 milioni di euro, con mille addetti diretti e 20mila circa nell’indotto. La produzione si aggira sugli 85.000 ettanidri, in ripresa rispetto agli anni precedenti, con un’immissione complessiva al consumo di 75.000 ettanidri di cui circa 25% esitati sui mercati esteri. Le vendite 2014 in Italia sono state caratterizzate da una contrazione di circa il 2% e rispetto ad altri superalcolici nel nostro Paese, che hanno chiuso con cali a due cifre, ci siamo difesi piuttosto bene. Esportiamo ancora poco e la quota dominante del mercato domestico sicuramente non aiuta.
Perché l’Italia consuma sempre meno grappa?
La parabola discendente, che considero progressiva e fisiologica, è iniziata negli anni 70. La crisi si è aggravata a partire dal 2009 per una combinazione di fattori: alla crisi economica si somma il graduale inasprimento dell’accisa sull’alcool, fino al +30% in due anni, che ha ulteriormente penalizzato i consumi. La risposta dei produttori è stata importante in termini di innovazione e capacità di proporre grappe in linea con le richieste del mercato e di un consumatore sempre più esigente. Siamo ottimisti perché si sta consolidando un modello edonistico di consumo.
Quali sono i mercati chiave per l’export?
Storicamente la grappa italiana è orientata ai Paesi di lingua tedesca che, grazie anche alla tradizione nella distillazione della frutta, possiedono una cultura della degustazione che facilita la comprensione dei nostri prodotti. Seguono il nord America e, più di recente, abbiamo vissuto momenti di sviluppo in Russia e Asia. Parliamo comunque di nicchie all’interno di una nicchia: teniamo presente che il mondo grappa, nel suo insieme, vale poco più di una monoreferenza di un rhum Bacardi.
Avete in cantiere specifiche attività promozionali sui mercati esteri?
In questo momento siamo concentrati sull’Italia. Nel momento in cui avremo risorse da destinare ai mercati internazionali, ci penseremo. Le attività promozionali si limitano per il momento alla presenza nelle maggiori fiere del vino, a cui si è aggiunto quest’anno il Salone della Grappa a Expo 2015, realizzato all’interno del padiglione “Vino A taste of Italy”. Il settore, composto di realtà perlopiù di piccole dimensioni, avrebbe certamente bisogno di maggior sostegno pubblico.