Unico chef tristellato italiano al di fuori dell’italia, Umberto Bombana ha avviato nel 2010 il suo ristorante a Hong Kong per poi aprire a Pechino, Shanghai e Macao. oggi è a capo di un gruppo che incassa 25 milioni
di dollari l’anno
Si dice che uno dei limiti dei produttori italiani di vino, nell’esportare in Asia, sia l’assenza di quel patto con la ristorazione tricolore che invece è stato determinante nell’assicurare la leadership negli Usa o l’affermazione su larga scala in Europa. Come per ogni regola, esiste l’eccezione e in Asia si chiama Bombana. Il suo nome per esteso è 8 ½ Otto e Mezzo Bombana, è stato inaugurato nel 2010 a HK e subito premiato con due stelle, oggi è l’unico tristellato italiano in Far East. Il suo chef, Umberto Bombana, oggi è indiscutibilmente l’ambasciatore del made in Italy in questa parte del mondo, strategica per numeri attuali e ancor più per potenziale futuro. Il suo sommelier, Marino Braccu, è intervenuto all’ultima edizione di wine2wine a Verona illustrando, tra i consensi di un pubblico composto perlopiù da produttori, come si può fare sistema nell’offerta di vino italiano in Asia e come lo sta facendo lui stesso, intrecciando le proprie esigenze con quelle dei colleghi basati nell’ex colonia britannica. Oggi però la realtà creata da Bombana non è solo un ristorante: appare piuttosto come un brand replicabile e già replicato, avendo aperto nel 2012 a Shanghai (oggi due stelle Michelin), nel 2013 a Pechino e nel 2015 a Macao (una stella Michelin). I numeri sono da piccola/media impresa: il ristorante a Hong Kong fattura circa 10 milioni di dollari e tra Shanghai, Pechino e Macao il gruppo ne raccoglie altri 15. Com’è stato possibile? Ecco la versione dello stesso chef, per il quale si aprono ulteriori prospettive di sviluppo e non soltanto in Asia, perché oggi chi è brand in Cina diventa punto di riferimento per i cinesi anche quando sono all’estero.
Qual è il segreto del vostro successo?
Siamo partiti con il primo ristorante che porta la mia firma nel cuore di Hong Kong. Dopo 15 anni di lavoro ad altissimo livello in città avevo ricevuto altre offerte ma poi, quando hanno deciso di abbattere il Ritz Carlton dove dirigevo il ristorante Toscana, un grande investitore mi ha proposto uno spazio esclusivo in un centralissimo shopping mall. Ho predisposto il progetto e trovato un gruppo di finanziatori, ma ci ho messo anche i miei risparmi perché ci credevo molto: in fin dei conti, il Toscana era a 200 metri e funzionava benissimo. Siamo all’interno di un mall di lusso, dove sono presenti tutti i brand internazionali, di fronte al Mandarin Oriental e ai palazzi della finanza. È una posizione strategica. Poi è un fatto che noi italiani siamo bravi nell’ospitalità. Siamo cresciuti imparando che quando inviti qualcuno a casa gli dai tutto quello che puoi e anche per questo l’accoglienza italiana è al massimo livello.
La clientela è locale?
Credo di poter dire che i cinesi sono circa la metà. Ci sono anche molti visitatori da Corea e Giappone, ma in generale 4 clienti su 10 sono turisti internazionali o businessmen. Poi naturalmente durante gli eventi fieristici le presenze internazionali si intensificano.
Il focus non è necessariamente sulla clientela cinese?
Con Singapore, Hong Kong è probabilmente la città più internazionale dell’Asia. Ho clienti da Londra o New York che quando passano per un appuntamento, poi si fermano da noi. E anche i cinesi che fanno business in città hanno stile e gusti internazionali, hanno studiato negli Usa o in UK e viaggiano molto.
Quanto pesano le stelle Michelin sul vostro successo?
Hanno un peso innegabile. Anche se rimango dell’idea che si debba concentrarsi sul proprio stile e metodo di lavoro. Se poi arrivano riconoscimenti dalla Guida Michelin o se siamo tra i 50 Asia’s Best Restaurants, tutto nasce dal nostro modo di essere, dalla nostra filosofia dell’eccellenza.
Come fa a conquistare stelle ad ogni nuova apertura?
L’unico segreto è non lavorare per le stelle, ma costruire una squadra in grado di divertirsi e di fare la felicità del cliente. Tutto il resto è una conseguenza. E una stella non deve cambiare il tuo modo di essere.
Ma sui bilanci un peso ce l’ha…
Abbiamo aperto l’8½ Otto e Mezzo Bombana a gennaio 2010 e già a dicembre, nella Guida 2011, avevamo 2 stelle. Questo significa che abbiamo ottenuto subito una grande riconoscibilità. Siamo partiti forte e dal primo giorno ad oggi non abbiamo mai avuto un tavolo vuoto al ristorante (i coperti sono 60 a HK, ndr). Ovviamente devi esser organizzato, in sala come in cucina.
Bombana è un’isola di eccellenza nel mare della ristorazione italiana in Asia. Perché non c’è stato un seguito?
Forse è vero che siamo gli unici a lavorare su questi livelli di eccellenza, confermata anche dai riconoscimenti. D’altronde fa parte della mia esperienza: ho lavorato in ristoranti tre stelle in Italia e all’estero, grandi location votate al lusso. Per me dunque è stata una cosa naturale costruire un progetto di questo livello, anche perché è questo che mi viene bene. In generale, la cucina italiana è apprezzata in tutto il mondo e altri chef, anche quando fanno alta cucina, rimangono su un livello più basso perché comunque hanno successo. Anche qui ci sono ottimi cuochi italiani, lavorano in hotel o in altri ristoranti, ma scelgono di stare a un livello diverso. Io ho creduto da sempre nell’eccellenza e vedo che i clienti sono felici.
Tutto calcolato?
Son stato anche fortunato nel poter fare quello che volevo, non accontentandomi di un livello medio-alto e cercando l’eccellenza. Ho anche rischiato e l’investimento era davvero importante, ma è andata bene. Non è tutto automatico e non è detto che ogni altra location possa funzionare allo stesso modo.
Vi sentite ambasciatori dell’Italia e del vino italiano in Asia?
L’italianità è un elemento fondamentale e il vino è parte del nostro stile di vita. Per me è importantissimo. Siamo partiti con il nostro progetto investendo poco più di 50mila euro in cantina e avevamo circa 200 etichette, è andata benissimo e oggi siamo oltre le duemila etichette, per un investimento di quasi un milione di euro. C’è stata una crescita graduale legata alla domanda. È un trend ormai consolidato, legato anche all’evoluzione dei vini in Italia.
Marino Braccu in tutto questo ha un merito notevole: è al tempo stesso sommelier e general manager.
Marino coordina tutto lo sviluppo della cantina, ma il team di sommellerie è composto anche da due ragazzi cinesi e uno filippino. Oggi la nuova generazione di sommelier cinesi ha allargato gli orizzonti rispetto a Borgogna e Bordeaux, apprezza molto il vino italiano così come quello californiano, australiano o argentino. Sono giovani e hanno allargato gli orizzonti, ma soprattutto sono molto preparati.
Forse la ristorazione italiana all’estero non traina tanto quanto potrebbe?
Forse la ristorazione più semplice vende molto prosecco… Da parte nostra posso dire che, lavorando su un livello alto, proponiamo grandi vini italiani. Ricerchiamo il meglio per i nostri clienti e forse risultiamo elitari, ma in fondo è una questione di stile.
Come selezionate le materie prime in cucina? Utilizzate prodotti italiani?
Siamo concentrati sui sapori italiani e mediterranei. Importiamo verdura, olio, paste artigianali dall’Italia e qualcosa a livello di carne, ad esempio la Fassona, anche se utilizzo soprattutto grandi prodotti da Australia, Nuova Zelanda o Giappone. A Hong Kong non c’è produzione e soprattutto c’è capacità di spesa, mentre a Shanghai e Pechino utilizziamo anche prodotti locali di alta qualità: non solo la verdura, oggi si trova anche una buona proteina cinese”.
Come è nata la volontà di aprire a Shanghai, Beijing e Macao?
Siamo cresciuti divertendoci, ma con ambizione. A Shanghai la scelta è caduta su un posto stupendo: siamo in un palazzo di inizio Novecento che ha forse la vista più bella sulla città e sul fiume. A Pechino invece siamo ugualmente in un mall prestigioso, nel quale ci hanno voluti proprio per attrarre una clientela di alto livello. In entrambi i casi la scommessa è stata condivisa con l’investitore che nel 2010 ha scommesso con me sull’8½ Otto e Mezzo a HK. In Cina gli chef sono molto ambiziosi, vogliono affermarsi nell’alta gastronomia, e come loro anche i manager e i sommelier. Quali sono le differenze di clientela nelle grandi città cinesi? Anche a Pechino e Shanghai abbiamo una quota importante di ospiti internazionali, visitatori e pure businessmen di Hong Kong che vanno a fare affari nelle metropoli dell’Inner China e sanno che ci siamo, quindi si fermano da noi. La clientela cinese è in forte crescita ed è sempre più consapevole; rileviamo una evoluzione della cultura dei sapori italiani.
Adottate accorgimenti specifici per la clientela cinese?
Magari nel servizio e con le lingue, ma in generale non sulla cucina. Sappiamo magari che non apprezzano molto i legumi, ma per il resto è uguale dappertutto. La cucina che faccio qui la farei a Milano, Londra o New York. L’approccio al vino è diverso? Innanzitutto a Honk Kong non ci sono le tasse sull’importazione che hanno in Cina e per questo abbiamo ottimi prezzi. A Shanghai e Pechino invece le tasse pesano molto e infatti i nostri clienti consumano meno vino, ma pur sempre italiano.
C’è ancora spazio per l’espansione di una ristorazione italiana d’eccellenza?
Lo spazio c’è senz’altro. Hong Kong è una città ricchissima, ma anche in alcune città cinesi la capacità di spesa è altrettanto importante. I cinesi amano il lusso e sono disposti a spendere 200/300 dollari per una cena italiana. La cultura gastronomica sta crescendo.
Bombana è un apripista?
Forse lo sono, ma in generale penso che la cucina italiana nel mondo sia mediamente ottima, ma spesso sceglie di posizionarsi su un livello più affordable. L’eccellenza è e sarà sempre difficile.
Quanto avete investito in questi anni?
Il progetto a Hong Kong è partito con un investimento di circa 50 milioni di dollari, mentre l’ultima operazione a Macao si attesta sui 5 milioni. Sono investimenti importanti, ma il ritorno c’è. Hong Kong ha 60 coperti e fattura circa 10 milioni, mentre Shangai, Pechino e Macao hanno 40 coperti e ciascun ristorante fattura circa la metà.
Quante persone lavorano in tutto?
A Hong Kong abbiamo 30 cuochi più 6 persone di supporto in cucina, e 30 persone che si occupano del servizio in sala, del ricevimento e del bar. In ciascuno degli altri tre ristoranti la squadra è di 15 in cucina e 15 in sala. Quanto conta la capacità di fare squadra? È fondamentale! Parliamoci chiaro: le persone sono l’asset più importante. Io posso fare walk & talk, ma non potrei far nulla se non avessi le persone che condividono un progetto d’eccellenza e che ogni giorno accolgono il cliente, gli offrono un servizio quasi amorevole”.