C’è fermento nella mixology. Dal bitter classico per il Negroni all’aperitivo innovativo per lo spritz, le aziende italiane investono nella differenziazione, creando prodotti di nicchia per intercettare un mercato in crescita internazionale.
di Leila Salimbeni
Il 2019 non è un anno come gli altri per la mixology e soprattutto non lo è per quella italiana, poiché ricorre il centenario di uno short drink nato a Firenze e conosciuto in tutto il globo. Cent’anni fa, leggenda vuole che il conte Camillo Negroni iniziò a chiedere al bartender – all’epoca certamente non veniva definito così – Fosco Scarselli di irrobustire l’Americano con il gin. Ebbe così origine il Negroni: un terzo gin, un terzo vermouth e un terzo bitter. Un secolo dopo, la formula del Negroni, corretto o “sbagliato” che sia, mantiene intatto il suo fascino, ma la vera novità è la ricerca in atto negli ingredienti. Dopo la riscoperta del vermouth, con la nascita di nuovi brand artigianali e il rilancio dei marchi heritage, e dopo l’avvio di una produzione di gin made in Italy, oggi è la volta del bitter, dove la leadership è saldamente in mano al colosso Campari, con il brand omonimo e con l’alternativa Aperol, cresciuto grazie alla spritz-mania. Accanto a questi prodotti, però, si fanno avanti soluzioni alternative che certamente daranno impulso alla mixologia, la quale non aspetta altro che novità.
NUMERI DA LEADER
Non è facile contrastare il leader di mercato, che proprio grazie agli aperitivi sta rafforzando le posizioni. Nel 2018 il gruppo Campari ha incassato 1,71 miliardi di euro, con una crescita organica del 5,3%, e i due marchi che sono stati in grado di muovere i conti sono proprio Aperol, diventato il primo brand per importanza con un balzo annuo superiore al 28%, e Campari, in progressione di oltre il 5 percento. In particolare, la società con sede a Milano ha evidenziato per Aperol “una crescita a doppia cifra in tutti i mercati ad alto potenziale e quelli dove il brand è in fase di sviluppo, come negli Stati Uniti, ora terzo mercato a valore per Aperol”. Quanto a Campari, la crescita è solida in Italia, mercato principale per il bitter che dà il nome al gruppo, ed è double digit negli Stati Uniti (secondo mercato a valore per il brand), in Germania, in Regno Unito, in Russia, in Nigeria, in Canada e in Giamaica. Da Sesto San Giovanni, quartier generale della società, specificano che la crescita organica del bitter Campari sarebbe stata pari a +11,7% escludendo il mercato argentino, dove il brand ha subito flessione a doppia cifra nei volumi di vendita. A livello di major, Select (gruppo Montenegro) sarebbe potenzialmente in grado di impensierire i due protagonisti, forte della sua tradizione – a Venezia lo spritz è tradizionalmente servito con il Select – e dei piani di rilancio del gruppo Montenegro, che vuole intercettare la crescita in atto nel mondo degli aperitivi.
BITTER SENZA LIMITI
Al numero 162 di via di Ripetta, a Roma, c’è l’Amaro bar, primo indirizzo specializzato che, con oltre 500 etichette, tutte italiane, ospita tutto lo scibile in termini di Bitter e Amari: dall’agrumato al floreale, dal tonico al mentolato e, passando per il fruttato, arriva fino al medicinale a testimonianza di una funzione che la liquoristica nazionale mutua dalla farmacologia settecentesca e che, secondo Baldo Badinini, profumiere e liquorista già famoso nel mondo per i suoi particolarissimi vermouth DiBaldo, “sopravvive nel doppio utilizzo che se ne fa ancora oggi, sia eupeptico che digestivo. E non è un caso – continua Baldinini – che l’amaro stia conquistando anche il mondo della mixology, dove si ritrova come attore sia protagonista che comprimario, dall’aperitivo al dopocena: non metto limiti alle destinazioni d’uso del Bitter, men che meno del mio che, dalla sua, ha un’altra peculiarità: al posto dell’acqua utilizzo il vino, in modo da ottenere un’intelaiatura gustativa più strutturata e profonda.” Facciamo un po’ di chiarezza. Da un punto di vista merceologico, amaro e bitter sono la stessa cosa. Eppure, tra i piccoli produttori soprattutto sopravvive l’esigenza di una distinzione. “Benché facciano parte della stessa famiglia, un Bitter implica una tacita impronta, stile Campari. Noi lo otteniamo con l’ausilio della genziana” ci spiegano Piero Nuvoloni-Bonnet ed Enrico Giordana di Argalà, un discorso, il loro, che riguarda anche Badinini che, più filosoficamente, focalizza la questione da un punto di vista fenomenologico: “in entrambi i casi si tratta di una macerazione in soluzione idro-alcolica. Ma siccome non sono un esegeta sostengo che quando si parla di Bitter si pensa necessariamente al Campari”, mentre l’Amaro farebbe riferimento a un mondo meno codificato: più domestico, più territoriale e, in un certo senso, più di nicchia.
LEGAME TERRITORIALE
“Il nostro amaro – proseguono i due fautori di Argalà, liquorificio artigianale famoso per l’uso delle erbe delle valli cuneesi, come la già citata genziana – è un Amaro alpino e, pertanto, non solo è integrato col territorio ma vuole essere identificato col territorio stesso, che interpretiamo con l’utilizzo di aghi di pino mugo, sambuco e lavanda. In alternativa o insieme alla genziana utilizziamo il karkadé, che acquistiamo tramite una cooperativa centro africana che, col prezzo di vendita di questo fiore, riesce a pagare uno stipendio annuo a coloro che lo raccolgono”. È molto simile la posizione di Edoardo Strano, giovane imprenditore siciliano, che della tradizione di famiglia ha fatto il suo business. “Abbiamo creato l’azienda Rossa Agricola per valorizzare l’arancia rossa di Sicilia igp e, successivamente, siamo arrivati ad immaginare un amaro utilizzando proprio le arance come ingrediente: è stato un percorso naturale che, nel tempo, ci ha portati a creare un prodotto la cui caratteristica principale è la naturalezza, perché fatto senza coloranti, additivi o prodotti chimici.” Approccio simile è quello di Matteo Laugero che, nel comune di Macra, nell’alta Val Maria, dell’Amaro è considerato l’eremita e, difatti, i suoi Palent sono tanto difficili da trovare quanto da realizzare: vengono da un’infusione a freddo di 18 erbe, radici e piccoli frutti spontanei, o coltivati in biodinamica, come il genepy, ingrediente che condivide coi ragazzi di Argalà. Infine, impossibile non segnalare la fucina romanesca di Armando Bomba che, per realizzare il suo Amaro Formidabile, utilizza china rossa, rabarbaro cinese, rosa moscata, anice stellato e bardana e, come il bitter di Baldinini, riporta l’annata in etichetta.
NEO-NEGRONI
“È un Amaro Formidabile di nome e di fatto, perché ha vinto la doppia medaglia d’oro al Concours Mondial de Bruxelles, dove è svettato su oltre 1300 prodotti degustati alla cieca”. Un entusiasmo condivisibile quello di Gabriele Rondani, di Rinaldi Importatori, che insiste sulla versatilità che caratterizza gli amari di ultima generazione “al punto che i bartender hanno cominciato ad apprezzarne l’impiego nei loro long, soft e short drink; da questo ricavano il Negroni Formidabile, che lo prevede appunto al posto del Campari.” Per avere una prospettiva più profonda sul fenomeno abbiamo chiesto a Salvatore Castiglione, erudito bartender torinese officiante, oggi, nel salotto bolognese di Dolce & Salato, in piazza Santo Stefano, di descriverci la mixology contemporanea da un punto di vista bitter. Grazie a lui abbiamo scoperto che, benché si tratti di timide scosse, non possiamo ignorare che proprio Campari “sia uscita, nel 2016, con una limited edition label” che, in etichetta, riportava proprio il monito there’s no Negroni without Campari. “Ed è stata seguita a ruota da Martini con la sua Bitter Martini Riserva Speciale. Un tempo tutte le piccole aziende avevano il proprio bitter e, dopo averle ignorate per anni, adesso stiamo tornando lì”. b“Prendi gli Stati Uniti, lì sono molto ricettivi ai nostri amari”, gli fa eco Rondani di Rinaldi Importatori. E difatti si tratta di un movimento globale, quello del Bitter italiano che, come sosteneva Baldinini “è perfettamente trasversale: non ha un’unica collocazione in mixology – chiosa Castiglione – quello fu un limite auto-imposto dal marketing dei grosso produttori che si è trasformato, a poco a poco, in un limite mentale del barman.”
NEO-SPRITZ
Ma la nouvelle vague artigianale investe anche lo Spritz: sul fronte agrumi s’era infatti accennato ad Amara, ottenuto dall’infusione delle scorze di arancia rossa di Sicilia, alcol idrato, zucchero ed erbe aromatiche. “Quando l’abbiamo realizzato – confessa Edoardo Strano – non sapevamo ancora che sarebbe diventato l’ingrediente prediletto del cosiddetto Etna Spritz, che oltre ad esser già molto diffuso è l’unico drink italiano inserito nella classifica dei migliori cocktail stilata da Condè Nast Traveler Usa”. Qualcosa di simile sta accadendo nel Veneto, a partire da Padova e dal suo “caffè senza porte”, il mitico Pedrocchi, da cui Fedegroup ha lanciato P31, brand tratto dalla P di Pedrocchi e da 31 come l’anno (1831) in cui fu inaugurato, ma anche come il numero di ingredienti tutti italiani utilizzati per ottenere un colore molto particolare: nasce così l’aperitivo verde, P31 Green Spritz. A proposito di mixology, bisogna precisare che questi sono tutti prodotti ambivalenti, da bere sia lisci che miscelati e lasciare alla libera interpretazione del bartender “a cui consigliamo comunque di servirsi di una buona tonica, che è la compagna ideale di qualunque Bitter che si rispetti”, sostiene il duo di Argalà. Una posizione perfettamente condivisa da Baldinini che, quanto al suo Bitter, ammette di averlo fatto anni fa perché voleva un Amaro da abbinare ai salumi: “come tale, avevo bisogno di note pepate molto intense.” Un proposito condiviso, questo, con l’elisir Gino Aperitivo Trentino che, invece, consta di un’infusione di erbe alpine e spezie, tra cui lo zenzero, molto indicato come base cocktail e oppure, come si utilizzava in passato, in combo col vino bianco.