Dopo anni di gelo, il 2017 ha visto la ripartenza (+35%) dell’export di vino italiano. Il mercato non offre certezze ma presenta enormi potenzialità, che le imprese sono pronte a cogliere. La fascia media diventa strategica.
I russi son tornati. Tra buyer e importatori, dopo quattro anni di gelo siberiano, si è riaccesa la fiamma per il vino italiano, in linea con quanto accade in altri settori a cominciare dalla moda. Lo confermano i dati 2017, elaborati per Pambianco Wine&Food da Wine Monitor di Nomisma (v. tabelle), evidenziando un balzo del 35% dell’export italiano di vino verso Mosca. A beneficiare di questa riapertura non sono soltanto i nomi noti, che già esportavano migliaia di casse prima della crisi, ma anche nuovi protagonisti che hanno scommesso su questo grande mercato. L’impressione è che l’export verso la Russia abbia finora concretizzato una piccola parte delle sue potenzialità e che Mosca possa rappresentare uno dei pochi “nuovi” mercati in grado di entrare nel gotha delle destinazioni del vino italiano. Gli italiani devono però evitare di farsi male da soli. “Uno dei problemi maggiori in Russia era la contraffazione dei prodotti”, provoca Giorgio Valentino, che con la società Wine&Food accompagna sul mercato i produttori. “Poi però è partito il luna park e siamo al paradosso: se un paio di anni fa si poteva trovare una bottiglia di Collio al tavolo a 220 euro, oggi troviamo produttori che esportano Prosecco a prezzi imbarazzanti”.
RUGGITO ALL’ASTI
Tra i produttori italiani c’è omogeneità di vedute. Consolidato il rublo, confidando in una maggiore stabilità economica oltreché in una normalizzazione delle relazioni Putin-Europa, il richiamo del made in Italy è tornato a farsi sentire, coinvolgendo anche il wine che peraltro non è mai stato oggetto di sanzioni dirette, a differenza di altri prodotti agroalimentari. Crescono per ora la fascia media e medio/bassa, ma l’espansione sembra solida e dovrebbe riguardare tutti i posizionamenti. A confermarlo è innanzitutto un nome storico della spumantistica italiana, oggi di proprietà russa. Si tratta di Gancia, dal 2014 operativamente controllata dal gruppo Roust dell’imprenditore Roustam Tariko, il re della vodka e del credito al consumo. L’azienda fondata nel 1850 dichiara una forte crescita per l’anno appena concluso, su tutti i mercati esteri. “Nell’export verso Mosca siamo oltre il raddoppio, +105% sul 2016, con un peso del 15% sul totale esportato”, riferisce Alessandro Picchi, presidente della società. In cifre, l’8,5% della produzione nello stabilimento di Canelli (24,5 milioni di bottiglie nel 2017) viene distribuito nel territorio ex sovietico. “La Russia ha dovuto affrontare molti problemi negli ultimi anni – precisa – ma ormai credo che la ripresa sia avviata su basi stabili. Per il nostro settore è stata importante la battaglia contro i prodotti contraffatti, che ha eliminato concorrenza sleale e confusione sul mercato. È ripartita soprattutto la fascia medio bassa, i vini italiani tra i 350 e 500 rubli fanno la parte del leone. Chi può spendere oltre 1000 rubli… li comprava anche durante la crisi”. Per la zona di Asti, la Russia è sempre stata un mercato fondamentale, essendo naturalmente attratta dagli spumanti dolci. Il crollo delle importazioni dal 2014 in poi ha causato guai enormi tra le aziende della denominazione Asti docg: soltanto nel 2015, il calo fu del 50% per numero di bottiglie esportate verso il Paese degli zar. “La crisi del vino era legata alla caduta dei prezzi dell’energia e del rublo, dato che non c’era l’embargo. Ora si vede la ripresa e io credo sarà stabile”, afferma Gianfranco Toso, direttore generale e quarta generazione della famiglia tuttora al vertice della Toso di Cossano Belbo, realtà con sede nel Cuneese e attiva in tutto il territorio del sud Piemonte. Il 2017, anche per Toso, è stato un ottimo anno. “Abbiamo sempre esportato Asti e altri spumanti in Russia. Poi, tra il 2015 e il 2016, avevamo perso l’80% delle vendite, passando da oltre 300 mila bottiglie a 40 mila circa”. Il vento è cambiato nell’ultimo anno, con un rientro sulle posizioni pre-crisi. “Con gli ordini di inizio 2018, dopo il lancio dell’Asti Secco, stiamo già superando la soglia e siamo in piena crescita”. Toso esporta in Russia circa 300 mila bottiglie, poche rispetto a un totale prodotto di 25 milioni, ma il Paese è considerato strategico in prospettiva. “Nei prossimi 25 anni vedo opportunità di crescita superiori a ogni altro mercato. Oggi siamo presenti soltanto nelle grandi città, e c’è tutto un territorio da coprire. Il mercato si sta allargando, anche con l’espansione delle catene commerciali”.
FIDUCIA E OTTIMISMO
Anche per la altoatesina Hofstätter, il 2017 in Russia ha fatto registrare un raddoppio rispetto al 2016, e oggi Mosca genera il 5% dell’export. “Siamo presenti nell’intero territorio e in particolare nelle grandi città – spiega Martin Foradori Hofstätter, presidente e AD della società – e nonostante le difficoltà degli ultimi anni, la Russia conferma le potenzialità di crescita per il vino italiano top level”. Il viticultore di Tramin rileva come i volumi per l’horeca di alto livello non siano costanti, ma influenzati da burocrazia, dazi doganali e oscillazione della valuta. La vera chiave della ripartenza, secondo Hofstätter, è nella preparazione degli interlocutori commerciali scelti per entrare in Russia. E sempre nella zona di Termeno, Cantina Tramin era passata dal boom di richieste fino al 2014 ad un dimezzamento del fatturato-Paese. “Nel 2017 abbiamo registrato una sensibile ripresa con un +18%, ma siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi”, riferisce il direttore commerciale Wolfgang Klotz. “È cambiata soprattutto l’attitudine al consumo, con maggiore attenzione al prezzo. Si vendono più vini di fascia media e meno di alta gamma. Nel 2015 i ristoranti erano vuoti, oggi si riempiono ma con carte vini (e menu) meno ambiziosi”. E in prospettiva? “I nostri clienti si dicono molto fiduciosi e sono ottimisti”. ZDOROVYE A PROSECCO “La Russia è un mercato strategico che non esplode, ma cresce passo dopo passo”. Pietro Biscontin, direttore di Viticoltori Friulani La Delizia (la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia, con 20 milioni di bottiglie prodotte), conferma un incremento del 20% nel 2017, ma enfatizza la necessità di un lavoro costante. “Non è un Paese facile. Le licenze per importatori sono spesso influenzate da amicizie politiche. Anche per questo lavoriamo con più operatori”. Le sanzioni economiche occidentali, pur non colpendo il vino, hanno compromesso il business con la classe media russa. Da mezzo milione di bottiglie inviate in Russia, La Delizia è precipitata sotto le 150 mila e solo nel 2017 ha iniziato a risollevarsi raggiungendo quota 250 mila. “Ora però il mercato sembra vivere una sorta di euforia. Il Prosecco sta trainando la domanda, dato che i russi si allineano alle mode internazionali. Crediamo e investiamo in questo mercato, perché se oggi pesa l’1% della produzione, lavorando bene in tre anni si potrebbe arrivare a 2/3 milioni di bottiglie”. Da Verona, Masi Agricola non ha avvertito particolari cambiamenti in tempo di crisi, avendo lavorato a stretto contatto con l’importatore. “La nostra distribuzione è rimasta sostanzialmente stabile – sostiene Pier Giuseppe Torresani, sales manager Europa del gruppo dell’Amarone – e fino ad oggi abbiamo concentrato le vendite su ristoranti, hotellerie di lusso e fine wine shop. Con l’apertura anche ai canali della grande distribuzione organizzata, vediamo un buon potenziale di crescita nei prossimi anni”. “La stabilità della moneta ha permesso di tornare a fare volumi e il traino è soprattutto sulla fascia media, pur senza rinunciare alla nicchia di alta gamma”, conferma Alberto Marchisio, direttore generale della coop vicentina Vitevis, che in Russia esporta quasi 500mila bottiglie su una produzione totale di 7 milioni. “Per tre anni tutto si è bloccato – chiarisce – ma ora vedo abbastanza serenità, che attira più produttori stimolando l’aggressività sui prezzi, quindi per paradosso si riducono i margini. La cosa bella è però che la distribuzione copre la gamma completa di vini”. A fronte della ripresa a due cifre, Vitevis è più concentrata sull’horeca “con importatori che hanno una presenza capillare non solo nelle città. La grande distribuzione chiede molto Prosecco e costringe a giocare sul prezzo, anche se tutto dipende dal posizionamento”. C’è poi chi sul mercato russo è entrato in piena crisi. Risultato? Crescita verticale. “Dal 2015 al 2017 abbiamo visto un +82% – dichiara Simone Cecchetto di Cà di Rajo (San Polo di Piave, Treviso) – e anche se si tratta di una fetta piccola del nostro export, la Russia rappresenta un approdo già interessante per capacità di spesa e prestigio delle bottiglie vendute. Il volume degli scambi è penalizzato da una burocrazia complessa e da lunghi tempi nei pagamenti”. L’azienda veneta, che nel 2017 ha ottenuto 17 milioni di ricavi, punta sull’horeca: “I nostri autoctoni sono una delle chiavi del successo all’estero. I buyer russi adorano la bellussera ovvero il sistema che usiamo per coltivare la vite: rimangono colpiti, come davanti a un monumento naturale”.
ANCHE I VINI DIFFICILI
Talvolta si pensa al consumatore russo come un cliente finale scontato e prevedibile, ma questo è un cliché superato. Basta buttare un occhio su un paio di aziende sarde del Sulcis, che grazie alla relazione con un importatore come SimpleWine riescono a piazzare vini difficili e non così popolari all’estero come il Carignano e come qualche super-Sardinian. “Non è facile se non hai un nome forte – ammette Raffaele Cani, direttore della Cantina di Santadi nell’Oristanese – però con costanza riusciamo a comunicare la qualità del prodotto. Con la crisi del rublo non si muoveva foglia e noi abbiamo tirato sui prezzi per non uscire del tutto, poi con la ripartenza nel 2017 abbiamo piazzato circa 25mila bottiglie (+10%). Riusciamo a garantire un ottimo rapporto qualità/prezzo e oggi questo risulta interessante per il consumatore di fascia media, su cui puntiamo per crescere mettendo radici e col tempo affermare anche la gamma alta”. Un processo che può esser facilitato sul target più consapevole anche grazie alla presenza della partecipata Agricola Punica, nata da un progetto condiviso con Incisa della Rocchetta, che potrebbe posizionarsi in fascia alta. “In realtà siamo ancora agli inizi, con meno di 3 mila bottiglie vendute nel 2017”, ammette il direttore commerciale Massimo Podda. Per entrare con più efficacia, superando i limiti di competitività dati dal prezzo, AgriPunica sta concentrando le energie su eventi mirati, degustazioni specializzate, incoming.
di Giambattista Marchetto