Percorsi guidati in cantina, ristoranti in giro per il mondo, agriturismi pronti a ospitare i visitatori. l’azienda vinicola toscana apre la strada nel campo dell’enoturismo. che serve non solo a far crescere i ricavi, ma anche a conoscere più da vicino i propri clienti.
Per un’azienda media italiana, 25 milioni sono i ricavi complessivi. Per Marchesi Antinori, rappresentano il valore di una sola divisione, diversa dal core business ma perfettamente compatibile: ospitalità e, soprattutto, ristorazione. Il gruppo toscano che si dedica alla produzione vinicola da più di seicento anni e che da oltre cinquanta si è organizzata per accogliere all’interno della propria sede (oltre che in svariati altri punti nel mondo) visitatori e appassionati è una di quelle (poche) aziende che hanno saputo interpretare in maniera intelligente il fenomeno della wine experience, complice anche il turismo internazionale. Il valore è duplice: da un lato sostenere le vendite – i ricavi provenienti da questa divisione sono arrivati a incidere il 13% sul turnover -, dall’altro conoscere più da vicino il consumatore e, di conseguenza, fidelizzarlo. A raccontare a Pambianco Wine&Food questo percorso è Allegra Antinori, che in qualità di vicepresidente dell’azienda segue da vicino le attività legate alla ristorazione come la Cantinetta Antinori a Firenze, Zurigo, Vienna, Mosca e Baku, nonché Osteria Passignano e Rinuccio1180, ristorante situato all’interno della cantina Antinori nel Chianti Classico, a Bargino. L’imprenditrice, alla guida dell’azienda insieme alle sorelle Albiera e Alessia, supervisiona inoltre i negozi Procacci di Firenze, Milano e Vienna e le attività di pr e ospitalità per la cantina del Chianti e Fattoria Le Mortelle, in Maremma. Un vero e proprio impero, che nei prossimi anni dovrebbe crescere ancora. Complici gli investimenti, che soltanto il prossimo anno ammonteranno a 4 milioni.
Partiamo dall’inizio: quando avete cominciato a strutturare la parte di ristorazione e hospitality?
La Cantinetta Antinori, il primo progetto di questo tipo, è stato aperto ormai più di mezzo secolo fa, nel 1957. Nasceva da un’idea di mio nonno, che voleva che in città si potessero trovare i prodotti della campagna. All’epoca era una specie di finestrella: si passava davanti e si prendevano il fiasco, il pecorino, del buon prosciutto. Poi è diventato un piccolo ristorante e adesso si evolverà ancora in un wine bar. Con questa insegna, l’anno scorso, abbiamo aperto persino a Montecarlo.
Nel vostro portafoglio c’è anche Procacci…
Correva il 1998. Abbiamo rilevato l’insegna dalla famiglia proprietaria, che ci aveva dimostrato il proprio interesse a cedere il business. Da subito ci è sembrata una proposta interessante e con una buona prospettiva di crescita. Adesso, infatti, questo wine bar famoso per i panini al tartufo e altre specialità toscane, ha trovato casa anche a Milano e a Vienna.
Il cuore pulsante, comunque, rimane nella vostra San Casciano in val di Pesa…
È naturale, questa è la nostra casa. Abbiamo fatto un lavoro immenso, creando di fatto una cantina, il ristorante, e anche l’agriturismo Fonte de’Medici, in cui i nostri ospiti possono soggiornare: i posti letto sono un centinaio tra camere e appartamenti con angolo cottura. Non solo: all’interno dell’agriturismo c’è un altro ristorante, la Trattoria della Fonte, e poco distante dalla cantina la stellata Osteria di Passignano. Il fiore all’occhiello è costituito dalle visite guidate, un percorso che scelgono circa 45mila persone all’anno. Si tratta di tour pensati per trasmettere cultura gastronomica, ma non solo. Si parla anche di arte e architettura. E potrei continuare: ci sono anche Le Mortelle, Fattoria La Braccesca con i suoi cooking show e cooking class e in lavorazione abbiamo la nuova parte di ospitalità di tenuta Guado al Tasso. Uscendo dalla Toscana, si trovano poi la nuova cantina di Bussia e Tenuta Bocca di Lupo in Puglia.
Che tipo di ritorno avete da questo tipo di offerta?
È molto utile, troviamo che sia un modo per imparare a nostra volta, una sorta di banco di prova: questo tipo di esperienza è fondamentale per creare un legame con il consumatore.
Quanto vale oggi il segmento di hospitality e ristorazione in termini economici?
Siamo sui 25,5 milioni di euro, dei quali 23 arrivano dalla ristorazione e 2,5 dall’hospitality.
Cosa significano questi dati tradotti in incidenza sul fatturato?
Considerato che abbiamo chiuso il bilancio 2017 con ricavi per 202 milioni (escluse le attività di hospitality, ndr), la percentuale è attorno al 13 per cento. Si tratta di un’incidenza che chiaramente è andata ad aumentare negli anni.
Per raggiungere questi risultati, anche in termini finanziari, qual è stata la portata dei vostri investimenti?
Negli ultimi tre anni abbiamo messo sul piatto circa 1 milione di euro. Ma già tra il 2018 e il 2019 il nostro impegno salirà a 3,5 milioni con l’apertura di due nuove strutture, tra cui una nuova Cantinetta a Firenze. Cosa implica, in termini pratici, investire nell’hospitality? Diverse cose. Sicuramente impone di programmare, stare al passo con le novità, promuovere i propri progetti e soprattutto assumere e formare un personale specializzato. Investire in risorse umane è il primo passo per fare un buon lavoro: noi, per esempio, abbiamo puntato su 4 nuove figure per strutturare l’unità di business dedicata. E poi, all’estero, è fondamentale scegliere dei partner davvero forti: i nostri soci a Montecarlo, per esempio, sono davvero bravi. In prospettiva, man mano che cresciamo oltre confine, vogliamo creare sempre più sinergie con chi il settore lo padroneggia, e con chi sa riconoscere i migliori manager e le location più adatte. In Italia, invece, abbiamo preferito fare da soli.
Marchesi Antinori è stato un precursore sul tema dell’enoturismo. In Italia, però, l’impressione è che nel complesso si vada a rilento. Cosa ne pensa?
Il potenziale è in effetti ancora molto vasto. In tanti paragonano il ritardo italiano con il successo fulmineo di altre realtà, per esempio la Napa Valley. Ma spesso ci si scorda che in quel caso le cantine sono state pensate fin dall’inizio in funzione del turismo. Nel nostro Paese, invece, nasciamo come produttori di vino, per cui il ritardo è comprensibile. Senza contare il fatto che per un imprenditore si tratta di un impegno notevole. Ma il settore sta crescendo, e di questo siamo contenti. Più siamo, più siamo in grado di attirare un numero cospicuo di utenti. L’importante, dopotutto, è che il vino sia sempre di qualità. Sul resto ci si può attrezzare.
di Caterina Zanzi