Il gruppo veneto dell’alta ristorazione ha concluso dopo otto anni la partnership col fondo Palladio, si è ricomprato le quote e poi ha aperto il capitale ai sudafricani di Leeu Collection. L’ad Raffaele Alajmo racconta le ragioni e gli obiettivi della scelta.
Le tre stelle di Massimiliano Alajmo e del ristorante Le Calandre splendono ben oltre l’orizzonte di Padova, terra da cui ha preso il via l’avventura del più giovane chef mondiale ad aver ottenuto il massimo riconoscimento concesso dalla “guida rossa”. Oggi Alajmo ha conquistato Parigi, si prepara ad aprire a Milano e soprattutto è protagonista di un accordo concluso con un partner sudafricano dell’hotellerie, Leeu Collection, dal quale potrebbe derivare una spinta ulteriore per il business internazionale del gruppo capitanato dai fratelli Raffaele e Massimiliano Alajmo, rispettivamente amministratore delegato e direttore “creativo”, per usare un termine di utilizzo comune nel fashion, in quanto chef e “firma” dei menù di tutti i ristoranti del gruppo. Un accordo, peraltro, definito a seguito della riacquisizione delle quote precedentemente cedute al fondo di private equity Venice, controllato da Palladio Finanziaria, che aveva rilevato il 25% delle azioni partecipando per otto anni all’andamento della società. Con risultati più che soddisfacenti, osservando la crescita del gruppo Alajmo sotto l’era Palladio. Oggi vi appartengono il ristorante 3 stelle Michelin Le Calandre, il bistrot Il Calandrino e il negozio di alimentari In.Gredienti a Sarmeola di Rubano (Padova), il ristorante La Montecchia e il bistrot Abc Montecchia a Selvazzano (nei Colli Euganei), i locali di Venezia (ristorante Quadri, bistrot Abc Quadri e il Gran Caffè Quadri, oltre al ristorante bistrot Amo presso il Fondaco dei Tedeschi), più il Caffè Stern a Parigi, in attesa dell’apertura a Milano presso il civico 10 di corso Como. Dieci locali in tutto, per un’occupazione di circa 200 dipendenti, con un fatturato complessivo di 15 milioni di euro nel 2017. Al termine di quest’operazione, la quota di controllo della famiglia in Alajmo spa si è anche rafforzata, perché alla riacquisizione del 25% di Palladio ha fatto seguito la cessione del 10% a Leeu Collection, di proprietà dell’indiano Analjit “Bas” Singh. E ora, come spiega Raffaele Alajmo in questa intervista, si apre una nuova fase.
Come è nata la partnership con Leeu Collection?
Tutto è iniziato da una conoscenza e una simpatia reciproca, dalla quale siamo passati a parlare di lavoro. Io e Bas alloggiavamo al Four Seasons di Milano e ci siamo incontrati mentre aspettavamo un taxi per andare al ristorante Cittamani della chef indiana Ritu Dalmia, nel quale ha investito proprio Leeu Collection. Nel corso di quella cena è nata l’idea di lavorare insieme, successivamente Bas mi ha scritto e sono andato in Sudafrica a trovarlo, infine abbiamo raggiunto l’accordo. Bas ha investito in Alajmo Spa con l’obiettivo di entrare nel nostro business, mentre io sono entrato nel consiglio d’amministrazione di Leeu Collection.
Che tipo di ristoranti volete aprire insieme?
E dove? Insieme abbiamo in programma la realizzazione di un progetto a Firenze e l’apertura di un nuovo concept, che vedrà la luce con il primo locale a Milano.
Al 10 di Corso Como si parla già da tempo del vostro arrivo con l’archistar Philippe Starck…
Per l’apertura di Milano abbiamo creato una nuova apposita società, di cui Starck è socio. Ma non abbiamo rilevato gli spazi di Carla Sozzani, abbiamo invece preso tre vetrine affacciate sul corso allo stesso indirizzo. Ci piacerebbe riuscire ad aprire entro fine anno.
Tornando alla vostra strategia, puntate all’espansione nel mondo dell’hotellerie?
In questo settore abbiamo già firmato il contratto per una nuova apertura, il primo dicembre, a Marrakech insieme alla catena Royal Mansour, di proprietà del re del Marocco. Si tratta della nostra prima attività completamente esterna, in brand licence, senza rischio imprenditoriale. Con Leeu Collection invece ragioniamo su un modello diverso.
Quale?
Abbiamo preferito evitare i colossi alberghieri, dove spesso i referenti non sono dei chiari interlocutori. Per garantire continuità a un progetto nel mondo dell’hotellerie serve infatti un proprietario che sia davvero un interlocutore, che si assuma in prima persona le responsabilità per quanto riguarda investimenti e rischi. Noi lo abbiamo trovato in Leeu Collection, mentre Alajmo Spa gestirà totalmente la ristorazione delle nuove strutture.
Avete un modello da seguire, per esempio lo chef francese Alain Ducasse?
Quello che facciamo risponde abbastanza all’idea che ha anche Ducasse: nessun ristorante è uguale a un altro, ogni locale ha la propria identità oltre a livelli diversi, dal caffè al ristorante stellato. Ma questo modello fa parte da sempre del dna di Alajmo spa. La nostra mission è sempre stata quella di creare un gruppo giovane e dinamico che si occupi di ristorazione italiana di qualità in maniera trasversale. Con Bas condividiamo questa filosofia: il risultato economico è la conseguenza delle attività svolte nel migliore dei modi, ma i numeri non devono essere l’unico obiettivo altrimenti vanno a discapito della soddisfazione del cliente, che per noi resta la priorità.
Quali rischi comporta questa operazione?
Parliamo di temi come gestione, contratto d’affitto, personale, investimenti… ma questi rischi fanno parte del nostro lavoro di imprenditori.
Perché avete deciso di ricomprare le quote da Palladio?
Palladio aveva investito su di noi attraverso il fondo Venice e si trattava di un investimento a scadenza, del quale e avevamo già concordato l’exit. Palladio avrebbe anche voluto continuare la partnership, ma a condizioni diverse rispetto al nostro piano industriale che richiedeva un certo investimento. Così, quando si è presentata la possibilità di ricomprare le quote, lo abbiamo fatto. Ad ogni modo siamo rimasti in ottimi rapporti col fondo, che negli anni si è dimostrato molto paziente e collaborativo.
Chi sono gli altri soci attivi?
Ligabue, gruppo veneziano attivo nel catering, ha una quota del 2% in Alajmo spa. Per quanto riguarda la società francese, abbiamo ricomprato le quote del socio di Parigi che erano pari al 25%.
Oggi “Alajmo” è un brand: il marchio e la reputazione, beni intangibili, sono più importanti dei dati economici?
Noi non abbiamo mai evidenziato troppo questi beni intangibili, ma è proprio un obiettivo dei prossimi anni il consolidamento e la valorizzazione del brand Alajmo, da azienda familiare a impresa vera e propria, con uno staff di direzione in grado di gestire in modo trasversale qualsiasi opportunità di ristorazione.
Oltre ai ristoranti, la vostra società si occupa di altre attività collaterali. Quanto è importante la diversificazione del business?
Ci occupiamo di editoria, design, catering per eventi e vendita di prodotti alimentari con il negozio In.Gredienti. Sono attività collaterali nate grazie al know-how maturato con l’esperienza nei nostri ristoranti, che ci hanno fatto capire come la diversificazione sia molto importante, anche in termini percentuali sul nostro giro d’affari.
Qual è la differenza tra il “fare ristorazione” in provincia e nelle grandi città?
C’è una grande differenza, cambia tutto. In provincia, come accaduto per Le Calandre, si tratta di un destination restaurant, per cui serve un grande impegno per farsi vedere e conoscere. Invece un ristorante in una destination town, come Venezia, ha un bacino di utenza più ampio e in un certo senso risulta più facile attirare clienti.
di Gabriele Perrone