Riduzione dei costi, dark kitchen, delivery, cambio di mansioni per il personale. L’alta cucina interviene sul suo modello di business, diventato economicamente insostenibile. E al ristorante cambia il tipo di esperienza, sviluppata in modalità smart
di Simone Zeni
I ristoranti di alta cucina voltano pagina. La ripartenza tale e quale a prima non sarebbe stata sostenibile per tutti, in assenza del turismo internazionale e con la clientela italiana condizionata da un limitato potere di spesa. È quindi cambiato il modello di business, con una diversificazione dell’offerta e con il taglio necessario dei costi, dal personale alle materie prime. Una nuova via che potrebbe perfino migliorare, a lungo termine, il conto economico, aumentando i margini di profitto per un settore dove la chiusura in perdita non costituiva affatto l’eccezione alla regola.
ABBATTERE IL FOOD COST
Viviana Varese prevede un cambio di rotta drastico per il suo Viva, 1 stella Michelin all’interno di Eataly Smeraldo. “L’aspetto ecologico – afferma – è diventato un’esigenza primaria, innanzitutto etica, ma incide anche sul food cost. Eliminerò le cotture a bassa temperatura, quindi il gran quantitativo di plastica di cui la tecnica necessitava. Prediligerò inoltre ingredienti essenziali, diminuendo tutto ciò che è molto costoso. Un’operazione che andrà incontro anche alle esigenze del cliente, che potrà provare un’esperienza stellata con i prezzi ridotti di circa il 40%”. Sulla stessa linea è Stefano Cerveni, al Gud di Milano e soprattutto allo stellato Due Colombe a Borgonato in Franciacorta. “Per ripartire occorreva snellire la proposta del ristorante. Ho reso la cena un’esperienza più divertente, abbandonando i canoni classici dello stellato pur mantenendo gli standard di servizio. Credo sia una scelta coerente con l’unica vera possibilità da cogliere con l’emergenza: l’utilizzo imperativo del prodotto italiano come sostegno alla microeconomia locale, fondamentale per far poi rivivere la macroeconomia italiana”. Un approccio positivo che in qualche modo toccherà anche Terrazza Triennale, di cui Cerveni è executive chef all’interno dell’omonimo museo milanese. Una semplificazione a cui non aderiscono i ristoranti firmati Enrico Bartolini, almeno non quelli in città: “Enrico Bartolini al Mudec, 3 stelle Michelin a Milano, e il Casual di Bergamo, 1 stella, hanno già le caratteristiche e la disposizione dei tavoli previste dal necessario distanziamento – precisa lo chef – e lo erano anche prima di questa emergenza sanitaria. Per chi si siederà a tavola nulla cambierà dal punto di vista dell’esperienza gastronomica”. Bartolini si fa più cauto su altre realtà “stagionali” come La Trattoria a Castiglione della Pescaia (presso l’Andana) e la Locanda del Sant’Uffizio nel Monferrato: “Per questi ristoranti stiamo effettuando una valutazione attenta che riguarda anzitutto l’opportunità o meno di riaprire”. Eppure, nell’ottica di arginare perdite che quest’anno toccheranno tutti, sono altri i grandi nomi della ristorazione che hanno pensato ad un’offerta più easy, magari da affiancare a quella fine dining e non in sostituzione. L’esempio forse più eclatante è quello del tristellato Da Vittorio, che sfrutterà l’area piscina della Cantalupa a Brusaporto per allestire un popup restaurant dedicato a pizza e barbecue. Spiegano i fratelli Enrico e Roberto Cerea: “Se per Da Vittorio St. Moritz l’apertura è sempre da dicembre a marzo e a Shanghai, vista la situazione relativamente tranquilla, le autorità non hanno imposto lockdown, abbiamo pensato di concentrarci sulla ‘casa madre’ con una proposta snella e di qualità che possa attrarre un pubblico ampio”.
DELIVERY E DARK KITCHEN
A Milano, Carlo Cracco spinge sul delivery e sull’e-commerce, e al tempo stesso al ristorante stellato in Galleria lo chef opterà per scelte sempre più sostenibili, decisione che probabilmente influenzerà anche i menu di Carlo e Camilla in Segheria e Carlo e Camilla in Duomo, mentre il progetto di Portofino con la riapertura dello storico Pitosforo è destinato al rinvio. Il delivery è stato un buon ammortizzatore anche per altri nomi del firmamento italiano della ristorazione. Antonino Cannavacciuolo l’ha attivato per i Cannavacciuolo Bistrot di Torino e Novara, 1 stella Michelin ciascuno, e ha mantenuto questo servizio anche dopo aver riaperto Villa Crespi con il ristorante 2 stelle, Laqua Charme & Boutique e Il Banco di Cannavacciuolo a Vicolungo. Si tratta di una svolta importante anche per Niko Romito, 3 stelle Michelin a Castel di Sangro: “La tecnologia ha giocato un ruolo fondamentale, ma la vera rivoluzione in cucina risiede nel modo di utilizzarla. L’impiego di una comunicazione digitale è e sempre più diventerà imprescindibile, non solo come strumento di informazione e circolazione delle notizie, ma come accesso per la fruizione dei servizi b2c”, spiega lo chef del Reale, che sta sviluppando una app per il suo format Alt (ristorazione su strada) legata alle ordinazioni di un lunch box e ha attivato dal 16 aprile il delivery a Spazio Bar e Cucina a Roma. “Già prima dell’emergenza – aggiunge – stavo studiando la ristorazione in delivery, ero affascinato dalle dark kitchen, dai laboratori che nascono solo per vendere prodotti per la consegna a domicilio, con costi di gestione molto più bassi. Il pane, le bombe e il pollo fritto sono tre prodotti ideali in questo senso”. Una valutazione fatta sulla base della conservazione del prodotto destinato al cliente a casa propria (grazie anche ad un resistente packaging) e del puro food cost della materia prima. Spostare il personale di sala su questi nuovi business diventa quindi un modo non solo per guadagnare, ma anche per mantenere posti di lavoro durante l’emergenza e a lungo termine.
RIDISTRIBUIRE IL PERSONALE
Giancarlo Perbellini, con lo stop di tre mesi nei suoi ristoranti, sconta oltre due milioni di euro di mancati incassi, ma in sei su otto ha deciso di avviare il delivery e il take away. “Il servizio viene seguito in parte dalle piattaforme specializzate e in parte internamente, così da impiegare, anche solo parzialmente, il nostro staff”, afferma lo chef, tornando sulla necessità di riorganizzare il personale destinandolo ad altre mansioni. È avvenuto anche all’Antica Corona Reale di Cervere, 2 stelle Michelin, che si è trasformata temporaneamente in una gastronomia. “Antica Corona Reale ha già vissuto due guerre – afferma lo chef Gian Piero Vivalda – e non potevamo lasciarci piegare da questa avversità. È nata l’idea di Gastronomia Reale. Abbiamo sanificato cucine e laboratori, condiviso le partite di cucina: spiedo, postazione garde-manger, antipasti, primi e secondi, pasticceria. Inoltre con l’asporto, per chi è in zona, e con il dovuto distanziamento sono pronto a ripartire con la mia squadra, senza lasciare indietro qualcuno”. Intanto in casa Alajmo ci si prepara alla novità dell’anno: l’avvio di una dark kitchen. “Ci permetterà di coprire meglio e con tempi ridotti il territorio nazionale. Abbiamo trovato un accordo con la proprietà che ci permetta di rischiare quanto di crescere da ambo le parti”, racconta Raffaele Alajmo, che con il fratello, lo chef Massimiliano Alajmo, gestisce diversi indirizzi tra Veneto, Milano e persino all’estero e che durante il lockdown ha puntato sull’e-commerce di prodotti dal sito aziendale. Quanto ai ristoranti, Alajmo precisa: “Spingeremo su quelli, come il tristellato Le Calandre, a più alta marginalità e che meglio si prestano all’attuazione delle norme sanitarie attuali; mentre quelli con marginalità minore subiranno cambiamenti, dopo aver fatto una precisa analisi di ogni reparto, in cui evidenzieremo punti deboli ed eventuali strategie alternative. In questo senso il delivery ci ha anche permesso, pur usufruendo del fondo di integrazione salariale, di tenere a bordo tutti i dipendenti e vedere assieme come va fino a fine anno”. A Milano, il patron di Iyo (1 stella Michelin) Claudio Liu possiede anche Aji, dedicato al sushi d’asporto di qualità, ma con l’impennata di richieste durante il lockdown ha pensato di accelerare i tempi su un progetto a cui lavorava da tempo e che gli ha permesso di impiegare i dipendenti dei ristoranti fermi. “Aji, situato in zona Sempione come Iyo, non era in grado di servire la parte est della città, per noi un bacino di clientela certamente allettante. Stiamo pertanto ultimando una dark kitchen per sopperire a questa necessità. Un modo per far lavorare tutti i nostri i dipendenti, che hanno dimostrato grande spirito di adattamento nello spostarsi dalla sala su mansioni differenti, come la prenotazione e la consegna diretta”.