Nel 1994 a Provins – si chiamava così all’epoca della prima edizione l’attuale ProWein – esposero 321 aziende in un unico padiglione, attraendo 1.517 visitatori. Domenica a Düsseldorf, la ministra tedesca dell’agricoltura, Julia Klöckner, ha inaugurato la venticinquesima edizione di una fiera dai numeri colossali: 6.900 espositori, di cui 1.700 italiani, con l’aspettativa di oltre 60 mila ingressi da parte di operatori professionali. In generale, ProWein ha confermato il suo appeal di fiera internazionale a tutti i livelli, dalle aziende presenti con i loro stand in rappresentanza dell’intero panorama vitivinicolo mondiale fino ai visitatori, provenienti da ogni angolo del mondo.
Le sensazioni dei primi due giorni di fiera sono abbastanza positive. Gli espositori concordano sul fatto che rispetto agli ultimi anni, soprattutto nella seconda giornata, il numero di presenze è in apparente calo, tuttavia le aziende si sono dette soddisfatte non solo del livello degli incontri avuti in fiera, ma anche delle trattative avviate con i distributori innanzitutto nordeuropei e anche con alcuni big statunitensi e asiatici. Per gli italiani, ProWein è più una presenza dovuta che voluta, anche perché i compratori durante l’appuntamento tedesco si concentrano su produttori di altre nazionalità per poi rinviare le attenzioni verso il vino italiano durante Vinitaly. Inoltre, con l’affollamento registrato nelle ultime edizioni, il quartiere fieristico di Düsseldorf ha evidenziato limiti simili a quelli storicamente attribuiti al Vinitaly, dalla difficoltà delle comunicazioni telefoniche e di connessione ai ritardi nei tempi di trasporto. E anche questo aspetto influisce sul giudizio verso un evento comunque irrinunciabile, nonostante i limiti.
Il vino italiano intanto continua a crescere solo grazie al comparto spumanti e bollicine. Ad evidenziarlo, oltre ai dati di export, ci sono le impressioni raccolte da Pambianco Wine&Food tra i maggiori operatori del settore, dalle quali si evidenzia una progressione a doppia cifra degli specialisti dello sparkling, a cui si contrappone la staticità dei produttori di vini fermi. Tra i mercati di destinazione viene confermata la maggiore difficoltà a esportare negli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna dopo il blocco della prima parte del 2018 si è rimessa in cammino, nonostante le incertezze relative alla Brexit. Una bella notizia, per molti produttori, riguarda invece il mercato italiano, tornato a crescere dopo un lungo periodo di flessione.
“Il 2018 – afferma Sabrina Tedeschi, contitolare dell’azienda veronese Tedeschi – è stato un anno a corrente alternata, nel quale l’Italia ha performato meglio di altri mercati a livello di ristorazione; questa situazione favorevole ci ha convinto ad aprire nuovi rapporti di agenzia e stiamo facendo un buon lavoro nel mercato interno, che assicura il 20% del nostro fatturato”. Cuzziol Grandi Vini, specialista della distribuzione, evidenzia il predominio dei vini bianchi, che rappresentano il 60% delle vendite contro il 40% dei rossi e a esclusione delle bollicine. “C’è una ricerca del vino alternativo, non necessariamente certificato bio. E ci sono zone in evidente difficoltà, compresa la Toscana ad eccezione di Montalcino, compreso l’Alto Adige perché costa troppo. In ripresa osserviamo il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte, la costa adriatica tra Marche e Abruzzo. Il bianco più venduto tra i fermi per noi è stato il Verdicchio. Nel Prosecco, l’horeca è sempre più orientato al docg Conegliano Valdobbiadene e sta riducendo l’acquisto del doc perché considerato prodotto generico”, afferma Luca Cuzziol. “Il mercato – precisa Paolo Contri, titolare di Contri Spumanti – è molto cauto, perché i buyer non hanno capito se il fondo sia stato o meno toccato in termini di prezzo, data anche l’abbondante vendemmia 2018. Così comprano all’occorrenza. E molte aziende hanno forti stock di vino da smaltire nelle loro cantine”.