Acquisire marchi è asset diffuso tra le realtà distributive. Le ragioni principali di questa scelta: aumentare i volumi e i margini, evitare di perdere la licenza, ma anche proporre prodotti ad hoc per la clientela.
Il mondo della distribuzione sa bene che le regole del gioco prevedono il turnover: alcuni brand entrano in portafoglio, altri escono. È un fenomeno ciclico, naturale e dettato dal mercato. La fedeltà del e al marchio non è assoluta, ma spesso pecca di volatilità. Questa situazione spinge distributori e importatori a calibrare attentamente la loro strategia che prevede, a ragion veduta, l’acquisizione o, addirittura, la creazione di un brand per gestirlo e svilupparlo in prima persona.
Coprire molteplici posizionamenti
Stock Spirits Italia ha scelto di strutturare il suo portafoglio in due segmenti: da un lato prodotti premium di aziende terze, dall’altro marchi di proprietà appartenenti a categorie merceologiche diverse tra loro, per incanalarli in una strategia di value for money. “Il modello di offerta che abbiamo adottato è un mix nel quale i nostri brand garantiscono alti volumi, mentre quelli che distribuiamo per conto dei clienti coprono l’offerta di alto di gamma”, spiega Evelina Teruzzi, managing director della filiale italiana del gruppo da 93,5 milioni di euro di fatturato, con la previsione, per il 2024 in corso, di eguagliare tale livello. Una politica che, dunque, rende variegata e versatile la proposta in un mercato beverage che non sta attraversando un momento brillante, in particolare sul fronte distillati e liquori. “Con un’inflazione non ancora domata e con una previsione di consumo spirits che, in Italia, nel breve periodo tenderà a ridursi del 10% (fonte: Trade Lab), riteniamo vitale e necessario proporre al consumatore prodotti di valore a un prezzo ragionevole”. Pertanto “puntiamo a offrire marche di proprietà pensate proprio per centrare questo obiettivo”. Parole confermate dalle recenti manovre di mercato che hanno permesso a Stock Spirits di mettere le mani su numerosi brand alcolici come il whisky scozzese Clan Campbell, Serra Tequila, il London dry gin Finsbury, a cui si aggiunge il neonato marchio Bitterissimo, creato dal gruppo per festeggiare i 140 anni di attività. “Oggi queste marche di proprietà contano per il 60% del nostro giro di affari, ma intendiamo incrementare tale quota portandola al 70% entro il 2027”.
Protezione dal rischio
Disporre di prodotti di proprietà consente non solo di coprire quei segmenti di mercato lasciati scoperti dai brand in licenza, ma tutela dal rischio che questi ultimi cambino licenziatario. Onesti Group nel 2013 ha acquisito lo storico marchio torinese Alpestre. “La scelta di averlo comprato una decina di anni fa – asserisce Andrea Onesti, patron della società di distribuzione emiliana che nel 2023 ha fatturato 91 milioni – ci ha permesso di poterlo gestire liberamente, senza rischi di vedere vanificati i nostri sforzi e risorse economiche, come a volte succede con altri brand che distribuiamo e che poi passano nelle mani di un concorrente”. La società si tiene ben stretto Alpestre, facendolo crescere anche a livello di offerta con nuove referenze, tra cui un vermouth (bianco e rosso), un duplice gin, un bitter e un amaro. Complessivamente la gamma Alpestre vende circa 40mila bottiglie all’anno, è un progetto in continuo divenire e potrebbe prossimamente ampliare la propria offerta. “Una marca ‘di casa’ – conferma Corrado Mapelli, direttore generale di Meregalli – ci mette al riparo da eventuali ripensamenti da parte di un produttore che, da un momento all’altro, può decidere di interrompere la partnership distributiva e affidare la licenza di distribuzione a un competitor”. Un rischio da evitare che ha quindi messo in moto una strategia che genera oggi una piccola quota del giro di affari del gruppo monzese da circa 100 milioni di euro di fatturato, ma che appare destinata a contare sempre più in futuro. “Oggi i nostri brand generano il 2% dei ricavi globali del gruppo, ma l’obiettivo è portare questa market share, entro i prossimi due anni, al 5%, fino a salire al 10% nel 2029”. Circa due anni fa, infatti, il gruppo distributivo lombardo, complice la proprietà diretta della tenuta vitivinicola Fertuna, ha creato un vermouth con lo stesso nome e, poco più tardi, ha lanciato Vol Zero, marchio composto da liquori e spirits, ovvero bitter, gin e vermouth, tutti rigorosamente analcolici e ai quali, entro la fine di quest’anno, si aggiungerà un amaro e un aperitivo. E non solo, il management di Meregalli non esclude in futuro l’ingresso di un distillato di agave.
Controllo della filiera e realizzazioni ad hoc
Proprietà fa inoltre rima con controllo. Ed ecco quindi che Partesa ha creato una sua private label e considera questo asset ‘parallelo’ una vera e propria nuova forma di business. “Ogni aspetto di questa gamma è curato da noi, compreso la selezione degli ingredienti”, specifica il direttore commerciale Giovanni Marco Esposito, direttore commerciale di Partesa. “I vantaggi legati ad avere brand di proprietà sono molteplici”. Intanto, “c’è la possibilità di rispondere in modo puntuale ai nostri clienti del fuoricasa attraverso prodotti realizzati ad hoc sulla base delle loro esigenze”. Inoltre, “possiamo contribuire in prima persona al design del pack, modulare i quantitativi in base ai trend di vendita e, non per ultimo, definire l’esatta marginalità”. Alla luce di queste considerazioni, a fine 2021, la società di distribuzione di proprietà di Gruppo Heineken Italia ha dunque creato Liq.ID, linea di spirits a marchio privato composta da otto referenze. Un primo progetto a cui ne sono seguiti altri, ovvero la creazione di B-Simple, composta da cinque referenze di spumanti pensati anche per la mixology. Realizzare prodotti su misura è ciò che ha spinto Luca Gargano, storico deus ex machina di Velier, società da 144 milioni di euro, di creare la Maison & Velier, joint venture paritetica con il distributore francese la Maison du Whisky. Una realtà che opera essenzialmente sul segmento rum e che in portafoglio vanta alcuni brand tra cui Clairin The Spirit of Haiti, Caroni e Habitation Velier, oltre ai co-bottling realizzato con le distillerie Hampden Estate e Foursquare. E non solo, se l’imprenditore ligure guarda prevalentemente in direzione dei Caraibi, da sempre suo luogo prediletto, al tempo stesso non disdegna l’importanza di prodotti italiani, come dimostra il recente lancio sul mercato di Contrattino, neonato brand di ready to drink e revival di un aperitivo prodotto fin dagli anni ’30 dalla piemontese Contratto.
Se il brand si svaluta
Acquisire brand non è però a priori una manovra vincente. L’instabilità dei mercati può infatti compromettere l’andamento di un marchio. È successo per esempio a Compagnia dei Caraibi con Elephant Gin, marchio tedesco sul quale il gruppo piemontese stava finalizzando l’acquisto per un valore di 15 milioni di euro, interrotto poi a causa di uno stato di insolvenza economica della distilleria con sede a Wittenburg colpita nel 2023, appunto, da un forte calo dei ricavi e un aumento dei costi di gestione. L’eventuale operazione di mettere in atto un piano di ristrutturazione dell’azienda è stata poi accantonata dal management di Compagnia dei Caraibi che ha deciso di non procedere al pagamento della terza tranche. Il bilancio ha in parte risentito di questo accaduto e l’esercizio 2023 si è chiuso con un fatturato di 52,8 milioni di euro (+6,2%), con una perdita netta di 15,2 milioni, contro un utile di 2 milioni nel 2022. La svalutazione di Elephant Gin è stata, a sua volta, equivalente a un valore di 7,5 milioni di euro. “Consapevoli che i prossimi mesi richiederanno un ulteriore sforzo – ha affermato in una nota l’AD Edelberto Baracco – restiamo concentrati sugli obiettivi di medio termine in linea con la nostra strategia aziendale”, tra cui, appunto, “lo sviluppo dei brand di proprietà”.