Aziende, consorzi e buyer decidono le strategie per le prossime edizioni: Verona tiene bene, Parigi piace sempre più, Düsseldorf in calo di adesioni, ma c’è anche chi preferisce gli incoming dedicati.
Archiviate da qualche mese le tre più importanti fiere internazionali del vino – Wine Paris & Vinexpo Paris, Prowein e Vinitaly – è tempo – per aziende, consorzi e buyer – di decidere quali fare o non fare nel prossimo anno. Tra le conseguenze del post Covid, infatti, c’è un ripensamento sugli investimenti, complice anche un anno di vendite – il 2023 – non brillante. Secondo il sito web dedicato alle statistiche del settore I numeri del vino, il commercio internazionale ha subito nel 2023 una brusca battuta d’arresto dopo il record toccato nel 2021 (per i volumi) e nel 2022 (per il valore). Il calo stimato è pari al 5% circa del valore esportato e dell’8% del volume. L’Italia si è mantenuta quasi stabile, con una lieve contrazione dell’1%, conservando il secondo posto nella classifica dei paesi esportatori con 7,8 miliardi di euro. Tra crisi congiunturali – aumento dei costi di produzione, logistica difficoltosa, scenari geopolitici non rassicuranti – e crisi strutturali – cambiamenti climatici e stasi dei consumi – c’è da riflettere sul senso delle fiere: a cosa servono, come devono essere, valgono le risorse che serve allocare per parteciparvi?
Una sfida a colpi di cambiamenti
Le risposte variano in base al modello di business adottato da ciascun attore della filiera, e una certezza è che, dopo la pandemia, nessuno è rimasto invariato. Dal canto suo, il sistema fieristico che da molti era stato dato per spacciato, ha resistito e si organizza per affrontare i prossimi anni. Maurizio Danese, AD di Veronafiere, spiega come alcuni punti deboli siano diventati punti di forza. “La città di Verona, che sembrava limitare la fiera, è diventata il ritrovo degli appassionati di vino grazie al format Vinitaly and City. Il ‘solo’ vino italiano in fiera è diventato il focus più importante al mondo sulla nostra viticoltura ed enologia”. Inoltre, “la separazione tra grande pubblico e operatori ha fatto sì che l’ultima edizione sia stata visitata da 1.200 top buyer (l’anno scorso erano stati mille) provenienti da 65 Paesi diversi con in testa la rappresentanza Usa. La direzione che abbiamo scelto, anche per i prossimi anni, è promozione del vino italiano al cento per cento”. In più, il polo fieristico veronese potrà contare sull’ampliamento dell’alta velocità, che si fermerà in fiera con un’uscita dedicata (fine lavori previsti per il 2028) e sull’incremento dei posti letto grazie a nuovi alberghi che nasceranno nell’area dell’ex tabacchificio.
L’ex Vinexpo di Bordeaux, oggi Wine Paris & Vinexpo Paris, è la grande sorpresa degli ultimi tempi. Trent’anni fa era ‘la’ fiera internazionale del vino, primato che ha perso a favore del polo fieristico tedesco. Ora si parla di rimonta. Il vino francese continua a essere il grande protagonista, ma Italia e Spagna hanno visto aumentare gli spazi a loro disposizione (mentre a Düsseldorf si riducono i metri quadrati e la presenza italiana). Rodolphe Lameyse, CEO di Vinexposium, a cui fa capo la fiera di Parigi, parla di “continentalizzazione”, ovvero la tendenza da parte dei produttori a scegliere le fiere in base al mercato che intendono servire: “Osserviamo – spiega Lameyse – uno spostamento nella partecipazione agli eventi commerciali internazionali, in cui i visitatori sono più propensi a frequentare a fiere all’interno della loro regione”. Per l’edizione 2025 il numero uno dell’organizzazione francese promette un focus sui valori della comunità del vino: essenza, responsabilità e unicità, una scelta dettata dalla volontà di contrastare “l’aumento delle normative sugli alcolici, le barriere commerciali, ma anche la pressione della lobby anti-alcol”.
Al termine della fiera, il comunicato post-evento di Prowein segnala una buona tenuta ma una flessione di visitatori c’è rispetto all’anno precedente: poco più di 45mila presenze in Germania contro le oltre 41mila di Parigi. Peter Schmitz, direttore ProWein Messe Düsseldorf non si sofferma tanto sulla guerra dei numeri, quanto sulla Usp (unique selling point) della fiera che dirige: “La nostra argomentazione esclusiva è l’internazionalità, ecco perché rimane l’appuntamento di riferimento sia per il canale del food retail che per quello Horeca, senza dimenticare il settore alberghiero. I prossimi anni ci vedranno sempre più impegnati in un’organizzazione su misura che vorrà dire ridurre gli spazi occupati. Nell’interesse di espositori e visitatori organizzeremo la ProWein in una struttura decisamente più compatta, come prima della pandemia”. Inoltre, “sempre in una visione più tailor made, continuiamo con l’individuazione e le promozione di tendenze emergenti”. Spazio quindi agli spirits con il format ProSpirits, che nell’edizione scorsa ha riempito l’intero padiglione 5 e ProWein Zero, dedicato al no-and-low alcol, “un segmento che non aveva praticamente alcun ruolo nel settore a cui la ProWein ha dato un importante slancio”. Cambia anche la collocazione delle diverse nazioni vitivinicole, dove l’Italia rimane in testa con due padiglioni.
Chi sale e chi scende per i buyer
Sull’asse Francia-Germania-Italia, Verona viene data come stabile, Parigi è in crescita, Düsseldorf ha creato qualche malumore. Raffaella Federzoni è un export manager di lungo corso, lavora per l’azienda ilcinese Fattoria dei Barbi e di fiere ne ha fatte tante. Per ciascuna delle tre principali ha una parola dedicata: “Per il Vinitaly scelgo il termine ‘adrenalina’ perché gli affari si fanno anche nel dopo fiera, tra piazze, enoteche, ristoranti. Ci si diverte, si tira fino a tardi ma si fanno anche accordi interessanti”. Per ProWein “scelgo ‘business’, anche se è vero meno che in passato. L’ultima edizione non è stata così fruttuosa e stiamo considerando l’ipotesi di saltarla, peccato perché in Germania c’è davvero tutto il mondo”. Infine, per Wine Paris & Vinexpo Paris “scelgo ‘potere’ perché nella fascia alta e altissima del vino sono ancora i dominatori incontrastati e anche in quella bassa hanno etichette pregevoli”. Discorso non dissimile lo fa Federico Zanella, presidente e CEO di Vias Imports, tra le principali realtà di importazione di vino in Usa, italiano in particolare, con un giro di affari di 40 milioni di dollari l’anno (circa 37 milioni di euro). Prima della pandemia la società portava a Verona oltre 50 persone tra buyer e distributori e aveva uno stand: “Ci siamo resi conto – spiega Zanella – che il ritorno degli investimenti non era rilevante e abbiamo usato quelle quote per organizzare incoming dei nostri produttori negli Usa. Oggi a Verona siamo in quattro o cinque e giriamo tra gli stand dei clienti. Trovo comunque il Vinitaly una fiera molto più matura che in passato dal punto di vista commerciale, mentre la ProWein può essere utile per potenziare il nostro portfolio con nuove realtà straniere”.
Gioca in casa, se si tratta di Veneto, Luca Cuzziol, amministratore della Cuzziol Grandi Vini, realtà che distribuisce circa due milioni di bottiglie – 43 aziende italiane, 90 estere – a quasi settemila clienti in Italia. L’imprenditore trevigiano però plaude all’evento parigino: “Parigi non ha bisogno del vino per monetizzare, quindi trovi alberghi, trasporti, ristoranti, parcheggi, tutto a cifre non gonfiate. I voli sono tantissimi e puoi andare e tornare in giornata. L’alta ristorazione partecipa in modo importante e per realtà come Cuzziol, che ha sempre puntato tanto sul pairing, è una carta vincente”. Inoltre, “è indovinato il periodo, quello di febbraio, perché, va ricordato, le fiere non vengono più fatte per assaggiare i vini, ma per stringere mani, coltivare rapporti, per scambi culturali. Ne è prova la meravigliosa cena di gala che viene organizzata a Versailles per ottocento persone”. Meno entusiasta sulla ProWein, l’imprenditore evidenzia come la fiera tedesca paghi lo scotto della leadership in crisi della Germania e che in gran parte stia in piedi proprio grazie alla presenza degli italiani che rappresentano la metà degli espositori, oltre alla presenza dei vini del Nuovo Mondo. Venendo a ‘casa sua’, Cuzziol si dice soddisfatto dell’ultima edizione del Vinitaly: “È ritornata la grande ristorazione, con gli stellati e i locali alla moda. Se dovessi immaginare le prossime edizioni vorrei più americani e buyer dal Far East”.
Il punto di vista di aziende e consorzi
Secondo il vecchio adagio ‘chi fa per sé fa per tre’, il Consorzio Barolo Barbaresco Langhe Alba e Dogliani, insieme al Consorzio di Tutela del Roero, sta investendo molto a casa propria, come spiega Sergio Germano, neopresidente della prima realtà consortile. “Con Piemonte Land of Wine (il ‘consorzio dei consorzi’ che unisce tutte le 14 sigle del vino piemontese) abbiamo partecipato a tutte e tre le fiere, ma il progetto a cui teniamo molto è Grandi Langhe, una due giorni presso le Ogr (Officine Grandi Riparazioni) di Torino dove è possibile incontrare 250 cantine. Nell’edizione 2023 si è unito anche il Consorzio Nebbioli Alto Piemonte e abbiamo registrato 3.300 operatori da oltre 30 Paesi nel mondo. Per un territorio come il nostro è fondamentale far capire la cultura del prodotto e ci riesci solo se porti le persone nei posti”. La prossima edizione sarà a fine gennaio 2025 e le richieste di partecipazione è cresciuta: “Si aggiungeranno altre 150 cantine e stiamo pensando a una serie di attività collaterali in città e in Langa per animare l’evento”.
Chi invece ha mandato letteralmente al macero lo stand del Vinitaly è stata la Banfi. La storica azienda di Montalcino aveva riprodotto in scala il noto castello montato in fiera nel 2017. Con il Covid, il maniero ha abbandonato Verona. Un cambio di strategia, come dice il direttore Rodolfo Maralli, che all’epoca fece discutere: “Nel 2010 aprivamo mille bottiglie di vino in fiera. Siamo arrivati a 400 nell’ultima edizione a cui abbiamo partecipato, ma con costi raddoppiati. Il format fieristico non ci convince più in generale. Preferiamo investire quei soldi in esperienze reali dove far toccare con mano Banfi”. L’azienda ilcinese – che ha chiuso il 2023 con un fatturato di 60,7 milioni di euro e che esporta oltre il 47% dei suoi vini – andrà a Parigi e a Düsseldorf con il consorzio Italia del Vino, ma non senza qualche dubbio. Piuttosto aumentano le wine experience al castello – quello vero in Toscana – dedicate agli importatori stranieri: “Arrivano a essere una cinquantina e rimangono con noi tre giorni per una full immersion completa non solo nei vini, ma anche nel territorio”. Convinto sostenitore di Vinitaly, ma in generale delle fiere è Carlo De Biasi, direttore dell’azienda toscana San Felice, con un fatturato di 13,7 milioni di euro e una quota export del 60%. In Francia e Germania la cantina è andata con uno stand collettivo. “Verona – sottolinea il direttore De Biasi – è un momento chiave perché il mercato italiano per noi è strategico ed in continuo sviluppo. Di Parigi ci piace il grande interesse da parte degli operatori stranieri più importanti, richiamati dalla città. In generale le fiere perché funzionino vanno preparate con cura mesi prima organizzando bene gli appuntamenti e dando poi il giusto riscontro. A Wine Paris questo ha fatto la differenza”
Più che scegliere c’è una denominazione che viene ‘corteggiata’ per esserci ed è quella del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, la bollicina più famosa al mondo. Dalla sua ha anche i numeri che accontentano Italia ed estero, 90 milioni di bottiglie che sono equamente divise. “Quindi alle fiere diamo pari importanza – dice Diego Tomasi, direttore del consorzio – Wine Paris & Vinexpo ci ha omaggiato addirittura di uno spazio aggiuntivo. Un regalo che attesta la popolarità del Prosecco Docg in Francia, dove le nostre esportazioni nel 2023 sono raddoppiate. L’anno prossimo andremo anche con uno spazio istituzionale”. Con grande concretezza Tomasi snocciola anche i numeri su Düsseldorf, fiera che non ha soddisfatto il 50% delle aziende di Prosecco volate in Germania: “La nostra presenza per il prossimo anno è confermata ma con uno stand più piccolo. Di tutt’altro tono invece il Vinitaly, un successo enorme per numeri e riscontro. Siamo rimasti colpiti soprattutto dalla grande partecipazione dei giovani, mai così tanti e così preparati”, conclude Tomasi.