Quello dei fratelli Aloe era un sogno molto concreto: aprire una pizzeria che avesse solide basi manageriali. Matteo e Salvatore sono i fondatori del marchio Berberè e hanno lasciato la Calabria per inseguire questo sogno. Oggi l’insegna conta 21 pizzerie, due delle quali a Londra. È prossima l’apertura del sesto locale a Milano – in autunno – e si tratta per il terzo a Londra.
Il gruppo oggi punta ai 25 milioni di euro di fatturato nel 2024 che vuol dire un segno più sul 2023 che ha chiuso a 22 milioni, con un ebitda al 12-13 per cento. È dal Covid in poi che l’azienda ha avuto – e continua ad avere – crescite importanti sui ricavi, nell’ordine di circa il 13 per cento l’anno. Il balzo in avanti è stato notevole proprio a partire dalla crisi pandemica. Ha funzionato, da un lato, la voglia di uscire di casa, dall’altro l’attenzione al cliente, anche attraverso piccole ma intelligenti attenzioni: durante il lockdown – spiega Salvatore Aloe – per non lasciare ‘soli’ i clienti, abbiamo recapitato loro un pezzetto del nostro lievito madre. È stata una piccola cosa ma ha funzionato”.
L’ultima pizzeria è stata aperta a Bologna, dove il progetto, quattordici anni fa, ha preso forma. Si chiama Casa Madre e vuole essere un headquarter a tutto tondo: pizzeria, ma anche luogo di formazione con tanto di camere disponibili per chi deve entrare in azienda e ha bisogno di vivere l’esperienza in modo totalizzante. Casualmente – ma forse neanche troppo – la palazzina che ospita l’ultima nata è stato un luogo di somministrazione negli ultimi cinque secoli, in pratica una locanda che faceva da dogana. I coperti sono 170 divisi tra interno ed esterno e la ristrutturazione dei locali segue la filosofia del marchio: nessuna pizzeria è identica all’altra e si punta invece a valorizzare le peculiarità architettoniche presenti, secondo la regola interna replicare senza snaturare.
Lo scorso anno, inoltre, è entrato in società, con una quota di minoranza, il fondo d’investimento italiano Hyle Capital Partners, specializzato nell’agritech. Una scelta, come spiegano i fratelli Aloe, dettata dalla progettualità che prevede, come anticipato, una terza pizzeria a Londra e una nuova apertura a Milano in autunno: “È una questione di ambizione: se vuoi consolidarti e crescere i capitali esterni sono una ricchezza. L’importante è gestirli e non subirli. Hyle ha sposato appieno la nostra filosofia imprenditoriale che passa sempre più per il welfare aziendale”. In effetti sono molte le iniziative del marchio in questa direzione: dalla carta dei valori che viene consegnata alla firma del contratto, al questionario anonimo in 37 punti per comprendere la soddisfazione dei dipendenti, fino alla pratica del mistery client, gestita da una società esterna: “Si tratta – racconta Matteo Aloe – di visite anonime di ‘clienti tipo’ presso le nostre pizzerie. L’obiettivo non è sapere qual è quella che ha incassato di più, ma quella che performa meglio. Al team più bravo vengono distribuiti dei bonus. Questo aiuta ad alzare l’asticella della qualità”. Inoltre, è partita una campagna di sensibilizzazione negli spogliatoi dei locali per un più corretto uso delle parole nel rapporto tra i sessi. “D’altronde – aggiungono i due imprenditori – è sempre valido il motto che lanciammo anni fa: Persone gentili che servono pizze buonissime in posti bellissimi”.