Nel 2018 le aziende specializzate hanno sofferto la concorrenza dei produttori generalisti, attratti da una crescita double digit del comparto e pronti a politiche di prezzo più aggressive. Dietro il leader Rigoni di Asiago si piazzano Alce Nero e Brio
I consumi bio crescono a doppia cifra (+14% nei primi sette mesi 2018 nella sola gdo, secondo le ultime rilevazioni di Osservatorio Sana), ma il beneficio derivante da questo boom, per le aziende specializzate nella trasformazione dei prodotti da agricoltura biologica, è limitato. Ad affermarlo è il primo studio di Pambianco Strategie di Impresa sui fatturati delle dieci aziende italiane leader del comparto, che messe assieme hanno incassato lo scorso anno oltre 400 milioni di euro, ottenendo una progressione leggermente superiore all’1 percento. Un piccolo passo in avanti, a fronte di un grande passo per il comparto green, che certamente non soddisfa i diretti interessati, come del resto non li accontenta il risultato legato alla redditività in generale e ancor più se confrontato con quella dell’esercizio precedente: la percentuale di ebitda su fatturato nel 2018 è stata pari al 6% contro il 7% del 2017. La spiegazione, secondo quanto affermano le aziende specializzate nell’ambito bio, va ricercata nella competizione messa in atto dai produttori generalisti, alcuni dei quali hanno fatto breccia in un mercato sempre più promettente, aprendo una parte di trasformazione bio (pur senza abbandonare il convenzionale) proprio per assecondare le richieste del mercato. In questo contesto, al di là dei singoli casi, la lieve crescita complessiva è stata ottenuta dagli specialisti proprio sacrificando i margini, scelta necessaria per poter competere con le aziende che operano anche nel convenzionale e che, per dimensioni, possono far leva sul prezzo.
PODIO A CORRENTE ALTERNATA
Il leader italiano del biologico è Rigoni di Asiago, con 112,5 milioni di ricavi realizzati al termine di un anno caratterizzato da un lieve calo di vendite, ma durante il quale l’azienda vicentina amministrata da Andrea Rigoni ha posto le basi per la propria crescita futura, inserendo il nuovo socio Kharis Capital (con quota di minoranza rafforzata) in sostituzione del Fondo Italiano di Investimento per poi ottenere, a marzo 2019, un finanziamento di 50 milioni di euro da un pool di banche che verrà utilizzato per potenziare l’export, che vale attualmente quasi il 40% del fatturato complessivo. In particolare, precisano in azienda, il brand Nocciolata rappresenta già oggi il secondo player delle creme spalmabili in Francia. “In Italia, Fiordifrutta è leader di mercato a valore, Nocciolata il secondo player”, affermano in Rigoni. “Noi manteniamo il nostro cammino di azienda votata alla sostenibilità, biologica da sempre, che non fa compromessi sulla qualità, e questo ci sta facendo conquistare la fiducia dei consumatori sia in Italia sia nei paesi export. Sicuramente sono tanti i player, sia marca sia private label, che sono entrati nel bio, talvolta creando un po’ di confusione, ma il consumatore ha dimostrato che il brand deve essere credibile e il prodotto buono, per ottenere la sua preferenza”. Al secondo e terzo posto della classifica, divisi da meno di un milione di euro, troviamo Alce Nero e Brio. La prima, nome storico del biologico made in Italy, ha incassato 74,3 milioni di euro con un incremento di circa il 2% che dopo due esercizi con il turbo, conclusi rispettivamente al +25% nel 2017 e +45% nel 2016, può essere interpretato come un ottimo consolidamento. Massimo Monti, amministratore delegato di Alce Nero, si attende però un passo indietro per il 2019 di almeno il 3% e afferma: “Ci sono due elementi negativamente impattanti in questo momento di mercato. Il primo è l’ingresso dei generalisti, il secondo è il rallentamento della crescita della domanda. Nel primo semestre si parla di +3% contro il +18% dell’anno precedente. Credo che, di fronte a una simile inversione di tendenza, molti operatori torneranno indietro o almeno questa è la nostra speranza. Per quanto riguarda Alce Nero, dovremo essere ancora più estremi nel comunicare che siamo biologici da sempre e soltanto biologici. A nostro favore c’è il brand, perché operiamo per il 90% soltanto con marchio proprio ed è quel che ci permette di tracciare un solco rispetto ai competitor”. Assolutamente significativo è il risultato di Brio, terzo player italiano del bio, che ha chiuso a 73,5 milioni di ricavi con un balzo dell’11,5% anno su anno, ottenendo però la crescita in assenza di marginalità. Andrea Bertoldi, amministratore delegato dell’azienda veronese, ci spiega: “Siamo in fase di ristrutturazione complessiva e abbiamo affrontato alcune spese straordinarie con relativo impatto sull’ebitda. Arrivando da un’aggregazione con Agrointesa, siamo tra i pochi operatori del mondo ortofrutticolo ad aver messo in atto quel che tutti auspicano ovvero il fare squadra per affrontare le sfide future. E il futuro del biologico non è affatto semplice, perché si è aperta una fase di riflessione in parte fisiologica e in parte indotta dalla reazione degli operatori del convenzionale. Nell’ortofrutta, in particolare, aumentano le conversioni all’agricoltura biologica e si prevede uno sviluppo interessante del comparto, con possibili riduzioni dei prezzi per momentaneo eccesso di offerta”.
PROGRESSIO CONQUISTA DAMIANO
Al quarto posto della classifica si posiziona l’azienda protagonista del “colpo” più importante dell’anno ovvero la siciliana Damiano, specializzata nella trasformazione della frutta secca bio, forte di un giro d’affari di oltre 45 milioni di euro. A fine luglio, Damiano è stata acquisita da Progressio Investimenti III, fondo gestito da Progressio sgr, e rappresenta in qualche modo l’eccezione alla regola non solo per capacità di attrazione verso gli investitori, ma anche perché, in un anno complesso, ha ottenuto un incremento del 16,5% di fatturato con una marginalità prossima al 10% dei ricavi. La ragione ce la spiega Alessandro Petraccia, partner e investment director di Progressio: “L’azienda ha una doppia anima, diversa da quella dei competitor, essendo in parte b2b come partner industriale e fornitore di ingredienti a grandi società del food che poi effettuano la trasformazione anche di prodotti da agricoltura biologica, in parte b2c con prodotti di consumo di fascia premium. La concorrenza dei generalisti c’è, ma ha colpito perlopiù il mass market, mentre Damiano per la sua parte b2c se la gioca principalmente nell’ambito specialistico e nella distribuzione premium. Inoltre, ci sono catene retail nazionali e internazionali che hanno puntato fortemente su Damiano come partner commerciale, apprezzandone il livello di qualità e servizio, e questo è un mondo dove se sbagli sei fuori. È un soggetto con una cultura industriale vera. E i clienti di Damiano in fascia alta e specializzata stanno crescendo tutti”. L’azienda di Torrenova (Messina) è sostanzialmente estranea alla gdo, dove ha un unico cliente (Esselunga) in un solo Paese (Italia). Inoltre, il mercato nazionale rappresenta soltanto il 20% del business e non prevede la presenza nel canale altamente concorrenziale (con conseguente contrazione dei margini) della ristorazione commerciale. Un Paese fortemente strategico per la crescita sono gli Stati Uniti, seconda destinazione dei suoi prodotti, dove è anche presente con uno stabilimento produttivo in California. Dal 2012, la crescita media annua del fatturato è stata del 15% e si punta a mantenere questo ritmo. “Il piano industriale su cui si è basato l’investimento, in coerenza con il passato e con la conferma di Riccardo Damiano al comando dell’azienda, prevede la continuazione del percorso intrapreso”, conclude Petraccia.
RISPETTO DELLE REGOLE
Al quinto posto si inserisce Probios, realtà ormai consolidata nella distribuzione degli alimenti biologici vegetariani, presente anche in Germania con la consociata Probios Deutschland. Ha chiuso l’esercizio con poco più di 25 milioni di ricavi e Fernando Favilli, presidente dell’azienda con sede a Calenzano (Firenze), non nasconde l’impatto negativo della concorrenza. “Nel 2018, l’offerta è aumentata più della domanda e noi, come molti altri, siamo andati in sofferenza. In prospettiva, se le regole saranno rispettate e tutti gli operatori del settore proporranno il ‘vero bio’, sono certo che le cose miglioreranno. Ma è necessario rispettare le regole e ottenere più chiarezza nella tracciabilità dei prodotti. Come Probios, stiamo spingendo l’export e il numero di referenze a marchio proprio per essere sempre più competitivi”. A seguire, la classifica è completata da Natura Nuova, Sarchio, Scaldasole, Germinal Italia e Poggio del Farro. Tra queste aziende si distingue per risultato Poggio del Farro, realtà di Firenzuola (Firenze) specializzata negli alimenti bio a base di farro, che è stata in grado di realizzare una crescita di quasi il 20% ottenendo al tempo stesso il più importante ebitda percentuale del comparto (18% sul fatturato).