Con Vecchio Amaro del Capo, la calabrese Caffo ha conquistato in pochi anni la leadership nella sua categoria di prodotto: in dieci anni il fatturato è decuplicato. Ora è il momento di aumentare la quota export e di effettuare nuove acquisizioni
In Italia è piuttosto difficile, se non impossibile, trovare un’azienda storica che oggi sia in grado di incassare dieci volte tanto rispetto al periodo precedente alla crisi del 2008-09. L’eccezione alla regola, in ambito food&beverage, arriva dalla Calabria e si chiama Caffo. Nel 2008, la società produttrice di Vecchio Amaro del Capo stentava ad arrivare a 8 milioni di ricavi. Nel 2018, alla voce ricavi è comparsa la cifra di 70 milioni e calcolando una media di incremento annuo di circa 10 milioni, non è difficile scommettere che il 2019 si chiuderà attorno a 80 milioni e anche oltre, visti i tassi di crescita anticipati da Nuccio Caffo a Pambianco Magazine Wine&Food… “Alla fine di marzo eravamo al +35% e ad aprile la media si è ulteriormente alzata, fino al +50 percento. Per non parlare dell’export, che nel primo trimestre è più che raddoppiato”, spiega l’AD del gruppo con sede a Limbadi, provincia di Vibo Valentia.
GHIACCIO BOLLENTE
Il successo del prodotto di punta di Caffo è alla base di questo case history degno di passare agli annali. Oggi Vecchio Amaro del Capo è leader di mercato con ampio margine. “Siamo a una quota del 30% in gdo contro il 15-16% del secondo amaro in graduatoria”, sottolinea Nuccio Caffo, precisando che il suo liquore d’erbe da degustare ghiacciato a fine pasto è anche l’unico a essere caratterizzato da una crescita a doppia cifra in un contesto generalmente flat se non addirittura ribassista. E la forza del prodotto è stata tale da superare anche la stagionalità. “Oggi – sostiene l’AD – continua a prevalere il consumo durante l’estate, ma Amaro del Capo è il più venduto anche durante le festività natalizie, quando i nostri concorrenti spingono in pubblicità per sostenere le vendite legate alla regalistica. Inoltre, le vendite finiscono per essere più o meno uguali tra horeca e grande distribuzione: siamo al 30% di fuori casa, ma nel restante 70% consideriamo anche catene come Metro e Cash&Carry che poi di fatto vendono a bar e ristoranti, pertanto siamo attorno al 50 percento”. E pensare che fino agli anni Novanta, il consumo di questo prodotto era limitato ai mesi estivi e al territorio calabrese. Fu allora che Nuccio Caffo, affiancando il padre Pippo alla guida dell’azienda, ne intuì le potenzialità anche fuori regione. “Eravamo piccoli artigiani di periferia nella terra più disagiata d’Italia. Il primo passo è stato quello di superare il confine calabrese avviando una nostra rete vendita, non senza difficoltà”. E Caffo ricorda la diffidenza dei buyer della grande distribuzione durante i primi incontri: “Quando scoprivano che arrivavamo dalla Calabria, ci chiudevano le porte in faccia, probabilmente scottati dalle esperienze precedenti con aziende poco serie. Oggi quegli stessi gruppi acquistano autotreni di Amaro del Capo. Abbiamo dimostrato che anche nella nostra regione esistono aziende serie, in grado di assicurare un prodotto di qualità”. E ora, conquistata l’Italia, ci sono praterie da esplorare all’estero. La quota export di Amaro del Capo è del 10% e come osserva Caffo, se l’Italia dovesse continuare a crescere di questo passo, sarà difficile andare oltre. “Intanto però siamo presenti in più di 40 Paesi al mondo. Gli ultimi dove ci siamo inseriti sono Israele e Iraq. I nostri primi mercati sono Stati Uniti e Germania, in Canada siamo entrati all’interno dei monopoli, in America Latina ci sono ottime prospettive perché gli amari offrono ai bartender una tavolozza di nuove possibilità nella mixology. Inoltre l’amaro identifica l’Italia, che è sempre ben vista a livello internazionale. È un ottimo momento per questa specialità e lo conferma il fatto che i grandi gruppi acquistano e rilanciano marchi legati agli amari e ai bitter”.
NUOVI ACQUISTI
Con gli introiti di Amaro del Capo, Caffo non si è limitato a investire in rete commerciale, marketing e produzione. Ha anche effettuato diverse acquisizioni. La prima è stata quella di Borsci, produttore dell’Elisir S. Marzano, di cui ha assunto nel 2013 la distribuzione e la gestione dello stabilimento produttivo di Taranto in accordo con la curatela fallimentare della società che era entrata in crisi nel 2009 ed era stata messa in liquidazione. Dall’estate del 2017 la Borsci è stata acquisita a tutti gli effetti, permettendo a Caffo di rafforzarsi nel mondo delle gelaterie e delle pasticcerie dove l’Elisir S. Marzano viene utilizzato come ingrediente o per dare un tocco finale di sapore. La seconda, all’inizio del 2017, è stata quella di S. Maria al Monte, l’amaro ligure la cui ricetta è datata 1858, che poi è anche l’ingrediente di un cocktail, ‘Coca e Maria’. L’ultima, annunciata alla vigilia di Vinitaly, è quella della distilleria friulana Mangilli, nota per la produzione di grappe e di prosecco. “Ci hanno da poco consegnato le chiavi dell’azienda – afferma Caffo – e prima di uscire con i prodotti dobbiamo rinnovare molte cose. Penso che saremo pronti per l’inizio dell’estate. Perché il prosecco? Perché è un punto di collegamento tra wine e spirits, dato l’utilizzo massiccio che se ne fa negli aperitivi. Più avanti penso che proveremo a ripescare altre specialità della Mangilli, ma ora la priorità consiste nel rilancio della grappa, essendo di fronte a uno degli ultimi brand storici originali in quest’ambito. Con la rete vendita capillare di cui disponiamo in Italia, sono certo che riusciremo a riposizionarla riportandola agli antichi fasti, perché un tempo la grappa Mangilli apparteneva ad Aperol-Barbieri ed era distribuita un po’ ovunque”. E la prossima acquisizione? È in cantiere. “Penso che annunceremo qualcosa entro fine anno. La logica che ci sta muovendo è legata alla crescita al di fuori dei confini italiani, con profonde radici italiane. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci permetta di realizzare sinergie mirate alla crescita e forse l’abbiamo trovato”, assicura l’AD.
FORMATI IN PROGRESS
Lo sviluppo impone investimenti e Caffo non si è tirata indietro, operando con mezzi propri. La scelta è stata quella di gestire tutto al proprio interno, seguendo la filiera dalle erbe all’imbottigliamento e tenendo alta la qualità. “Tante aziende pensano che un risparmio in fase produttiva sia necessario per garantire utili nell’immediato, ma poi questa scelta comporta una perdita di credibilità nel lungo periodo. Noi abbiamo optato per un percorso inverso. La stessa politica è stata applicata, ad esempio, in San Marzano: per prima cosa, una volta ottenuta la produzione, abbiamo alzato la gradazione in controtendenza rispetto al mercato. Ma il consumatore ci riconosce gli sforzi in fatto di qualità e ci sta premiando”. L’investimento in macchinari è continuo e permette a Caffo di lanciare anche diverse novità di formato, come la bottiglia da mezzo litro e la fiaschetta da un quinto di litro presentate all’ultimo Vinitaly. “E ora faremo anche la versione da 2 centilitri, pari a mezzo bicchierino, non appena le nuove macchine ce lo permetteranno”, conclude l’imprenditore di Limbadi.