L’Aceto balsamico di Modena igp vale 400 milioni alla produzione e 1 miliardo al consumo. La sua unicità tutelata fa gola agli investitori anche perché ci sono continenti inesplorati da conquistare, a cominciare dall’Asia
L’Aceto balsamico di Modena è un fenomeno internazionale. Si tratta, in assoluto, del più export oriented tra i prodotti eccellenti dell’agroalimentare italiano: il 92% delle vendite dipende dai mercati esteri e questo, assieme alla tipicità di un prodotto garantito igp e quindi legato al territorio di origine, spiega perché le attenzioni sull’aceto siano molto alte, anche da parte dei fondi di investimento, nonostante i numeri sia ancora abbastanza bassi. Ma il futuro è promettente.
VALE UN MILIARDO
Nel 2017, le aziende specializzate in Aceto balsamico di Modena igp hanno prodotto 97,5 milioni di litri, 3,5 in più rispetto all’anno precedente. Il valore stimato alla produzione è di circa 400 milioni di euro e, al consumo, si viaggia attorno al miliardo. L’Italia vale solo l’8% del fatturato complessivo. “Esportiamo in 120 Paesi del mondo, senza contare i grandi mercati ancora da esplorare come il sud-est asiatico”, precisa Federico Desimoni, direttore del Consorzio, fresco di trasferimento nella nuova sede nel centro della città della Ghirlandina. Se consideriamo la top ten delle specialità alimentari dop e igp italiane più richieste all’estero, l’Aceto balsamico di Modena occupa il quarto posto dietro a Grana padano, Parmigiano reggiano e Prosciutto di Parma. “Ciò vale, ovviamente, per l’igp – continua il direttore – che da solo rappresenta il 99% dei volumi certificati mentre, va da sé, assai più contenuti sono i numeri dell’Aceto tradizionale dop che, per sua stessa natura, rappresenta invece una piccola, esclusiva nicchia di mercato”. Dati alla mano, è facile rilevare l’incremento produttivo dell’Aceto balsamico di Modena igp, prodotto anche da molte aziende di Reggio Emilia. In soli due anni mezzo, le aziende hanno prodotto 5 milioni di litri in più rispetto al 2016 per salire di addirittura 11 milioni di litri nel confronto con il 2013. Questa dinamica e le prospettive di crescita nei nuovi mercati hanno spinto realtà non modenesi né emiliane ad entrare nel settore. I primi 3 player sono Acetum, Ponti e De Nigris e nessuno di essi è figlio dell’imprenditoria locale. Per trovare proprietari modenesi o reggiani occorre scendere di graduatoria e di fatturato. “Dobbiamo essere territoriali senza essere provinciali”, esorta l’attuale presidente del Consorzio, Mariangela Grosoli, la cui realtà imprenditoriale (Acetaia Del Duca, con sede a Spilamberto), ha origini antiche, essendo iscritta dal 1891 al registro della locale Camera di commercio. Negli anni ‘80, l’aceto balsamico era il business di quattro produttori strutturati: Fini, Giusti, Federzoni e Del Duca, a cui si aggiungeva la tradizionale attività dei privati nelle soffitte delle case distribuite sul territorio e legata al metodo, per l’appunto, tradizionale. “Oggi – continua la presidente – è particolarmente importante, a fronte di una crescita che ha portato a cinquanta produttori rilevanti, qualificare sempre più la produzione attraverso maggiori controlli in primo luogo sulle materie prime utilizzate”. Il leader del settore, con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro, è Acetum. La società presieduta da Cesare Mazzetti, imprenditore piemontese a capo anche della distilleria Mazzetti D’Altavilla, è stata oggetto un anno fa di un importante e per certi versi clamoroso passaggio di proprietà. Il fondo Clessidra, che era in possesso dell’80% delle quote, ha venduto alla britannica Associated British Foods (ABF), proprietaria anche del marchio del tè Twinings, che secondo alcuni rumors avrebbe valutato l’azienda sui 400 milioni di euro. Il numero due del territorio, Giacomo Ponti, esprime un giudizio positivo sul tipo di operazione, “perché da un fondo di investimento si è passati a una realtà imprenditoriale vera e propria che, come noi, intende lavorare al rafforzamento e alla tutela del marchio, tanto più che a garantire il collegamento tra ABF e la realtà locale dell’Aceto Balsamico di Modena c’è lo stesso Mazzetti”.
IL PESO DEGLI STRANIERI
Ciò detto, l’acquisizione di Acetum è stata l’ultima in termini cronologici, ma non certo l’unica. Acetificio Carandini Emilio è in mani tedesche, prima ancora ci fu l’acquisizione di Antichi Colli che, oggi, è una realtà francese rappresentata in Consorzio da Valéry Brabant. E come dimenticare che Ortalli fu inglobata, tempo addietro, dal colosso spagnolo Borges Branded Food? La perdita di italianità è un aspetto spesso denunciato da De Nigris, uscito dal Consorzio di tutela. “Non bisogna però leggere con sospetto questi dati”, afferma Claudio Stefani Giusti, CEO di Aceto Balsamico Giuseppe Giusti che, essendo stata fondata nel 1605, è la più antica società documentata del settore. “Cooperare con gruppi così forti, combattere le stesse battaglie, in nome dello stesso prodotto, ci affranca da eventuali rischi futuri”. Quali? Innanzitutto la tutela del nome, ovvero del brand più importante perché la sua importanza supera quella degli stessi brand aziendali: il fatto di chiamarsi Aceto balsamico di Modena e di avere la tutela igp. Eppure l’uso improprio non manca, a cominciare dagli Usa che rappresentano il primo mercato di destinazione del prodotto e assorbono circa un quarto della produzione. “Negli Stati Uniti – afferma Cesare Mazzetti – la locuzione Aceto balsamico può essere associata a prodotti analoghi ma di colore bianco, per dirne una. Ecco, il Consorzio si sta battendo affinché questa formula possa esser utilizzata non solo per ragioni di provenienza geografica ma anche in presenza di caratteristiche organolettiche specifiche come il colore”. Un altro aspetto su cui l’imprenditore piemontese pone l’accento è quello della regolamentazione più stretta e più pressante sui controlli, a cominciare dall’acquisto delle materie prime da paesi europei ed extraeuropei. “Come la Grecia, per esempio, dove non vigono le stesse regole in termini di produzione di aceto d’uva”, sottolinea Mazzetti. Benché, diversamente dalla dop, la igp vincoli al territorio di produzione solo per ciò che concerne il momento della produzione, le materie prime coinvolte sono tutte fortemente legate al territorio non solo per ciò che concerne i vitigni coinvolti – Albana, Ancellotta, Spergola, Montuni, Fortana, Sangiovese, Lambrusco e Trebbiano – ma anche per la scelta, abbracciata da tutti gli associati, di servirsi di solo mosto d’uva 100% italiano.
COMANDANO I PICCOLI
Tornando al Consorzio, parrebbe essere lecito chiedersi quali cambiamenti dovremmo aspettarci ora che le più grandi aziende sono state acquisite, appunto, da grandi gruppi industriali e talvolta nemmeno italiani. “Non solo nulla può cambiare – risponde Grosoli – ma la politica di voto messa a punto in anni non sospetti, durante il precedente mandato, vanta una natura intrinsecamente locale e conservativa. Ciò fu fatto proprio per scongiurare il rischio che una grande azienda o più grandi aziende, benché in minoranza, potessero cambiare l’esito delle votazioni, per questo fu ordito un sistema di voto illuminato che assegnava a ciascun voto un valore indirettamente proporzionale alla grandezza stessa dell’azienda”. In questo modo, tanto più grande è l’azienda, tanto più piccolo il valore del suo voto in consiglio. Così se anche le prime cinque aziende, in grado di generare oltre il 50% del valore prodotto in terra di aceto, si mettessero d’accordo per modificare determinate regole, non sarebbero in grado di farlo.
L’APPETITO DEGLI INVESTITORI
Come si diceva in apertura, comunque, la produzione dell’Aceto Balsamico di Modena igp sta crescendo in maniera sostanziale in ottemperanza a una domanda che, evidentemente, è in crescita a sua volta. “Oltretutto – precisa Desimoni – se partisse l’export in Asia saremmo indotti a prevedere una crescita del +10% con un incremento della produzione di due cifre. Ciò detto, non esistendo ancora un piano di business in tal senso, limitandoci ai mercati nei quali siamo già adesso prevediamo una crescita contenuta, benché costante: quella stessa che ci ha riguardato negli ultimi anni e che tratteggia il profilo di un comparto solido, certo, ma anche molto promettente”.
di Leila Salimbeni