La decisione sulla riapertura di bar e ristoranti (al pari di negozi, estetisti e parrucchieri) spetterà alle Regioni, sulla base di quanto è stato concordato nella conferenza Stato-Regioni di lunedì 11 maggio. Ogni amministrazione regionale avrà quindi la possibilità di dare il via libera a partire da lunedì 18 maggio.
Una decisione che appare più una presa d’atto di quanto già stava accadendo, dopo la “rottura” da parte della Calabria con conseguente ricorso del governo (accolto dal Tar) e dopo l’azione in solitaria della Provincia autonoma di Bolzano, che ha aperto tutto lunedì 11 maggio. A questo punto, i governatori che più spingevano per avere libertà di azione hanno già annunciato che il 18 riapriranno. “Il Veneto, con estrema coerenza, presenterà in settimana la ripartenza totale”, ha annunciato Luca Zaia. “Dal 18 maggio si potranno aprire le attività sotto la nostra responsabilità e in base alle esigenze del territorio”, ha ribadito dalla Liguria Giovanni Toti. Il governo avrà in ogni caso la possibilità di intervenire qualora, in base all’andamento dei dati sulla curva del contagio e dei criteri definiti dalla circolare del ministero della Salute, fosse necessario bloccare una nuova diffusione del virus.
Manca però l’aspetto cruciale: il come riaprire. Ed è l’aspetto che più irrita i ristoratori, anche perché le notizie che trapelano da Palazzo Chigi non sono rassicuranti. Le linee guida che consentiranno la riapertura alle Regioni dovrebbero arrivare tra giovedì e venerdì, il che significherebbe che i locali avrebbero tra i due e i tre giorni per riorganizzare l’attività, compresa la sanificazione degli ambienti che pare essere la conditio sine qua non per la riapertura. E poi c’è la questione del distanziamento tra i tavoli e tra le persone.
Secondo quanto anticipa il Corriere della Sera, il Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore della ristorazione elaborato dai tecnici dell’Inail in collaborazione con gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità e poi affidato al Comitato tecnico-scientifico, farà da bussola per le riaperture nel settore, con indicazioni di carattere generale che verranno poi affidate alle autorità competenti e agli enti preposti ai quali spetterà il compito di dettare le regole. Ebbene, nel Documento tecnico intercettato dal quotidiano di via Solferino comparirebbe l’indicazione dei “quattro metri quadrati per ogni cliente e due metri tra un tavolo e l’altro”. Di conseguenza, per accogliere i clienti, ogni ristoratore dovrà calcolare una capienza massima e certamente non potrà adattare i tavoli alla situazione. Inoltre, non essendo possibile mangiare con la mascherina, il Comitato tecnico-scientifico raccomanda di “privilegiare l’uso di spazi all’aperto rispetto ai locali chiusi”. La mascherina (chirurgica) sarà invece obbligatoria, assieme ai guanti in nitrile, per i cuochi, per tutto il personale di cucina e per i camerieri. I dispenser con il gel disinfettante dovranno essere disponibili in più punti e i bagni saranno “igienizzati frequentemente”. Al termine di ogni servizio al tavolo, “andranno previste tutte le consuete misure di igienizzazione rispetto alle superfici evitando il più possibile utensili e contenitori riutilizzabili se non igienizzati”.
“Con una persona ogni 4 metri quadri, i ristoranti italiani perderebbero in un sol colpo 4 milioni di posti a sedere, ovvero il 60% del totale”, ha affermato Fipe, la federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio. Che ha aggiunto, per voce del vicepresidente vicario Aldo Cursano: “Questa non è una soluzione, ma un serio ostacolo alla ripresa della nostra attività lavorativa”. La richiesta della federazione è di applicare solo la distanza tra i tavoli, senza aggiungere l’aggravante del distanziamento tra i commensali allo stesso tavolo.
“Imporre distanze eccessive tra clienti, così come procedure di sanificazione complesse e l’utilizzo di divisori in plexiglass vuol dire non voler far riaprire i ristoranti”, hanno lamentato le 29 realtà associative confluite nel progetto #FareRete. Che afferma: “Se le notizie pubblicate dalla stampa trovassero corrispondenza nelle linee guida in emanazione, avrebbero come conseguenza la chiusura permanente di oltre l’80% dei locali presenti nel nostro Paese”.