I piani di espansione di Eataly? Nemmeno la pandemia sarà in grado di farli saltare. Nicola Farinetti, ceo del gruppo fondato dal padre Oscar, ha anticipato a Pambianco Wine&Food, in un’intervista che sarà pubblicata sul numero di giugno, tutti i programmi in via di realizzazione. Si parte da Londra, dove l’ingresso nella sede individuata al 135 di Bishopsgate di proprietà di British Land avverrà quasi certamente entro l’anno, come da previsione. “Ma se si dovesse andare ai primi mesi del 2021, non ce ne faremo una colpa”, aggiunge l’ad.
Negli Usa, entro novembre, dovrebbe aprire Dallas, e poi sarà la volta della Silicon Valley e di Seattle. In Italia il prossimo anno aprirà Verona, in Europa entro il 2022 verrà inaugurata Bruxelles. “Nel frattempo – racconta Farinetti – ci sono tanti altri fronti aperti soprattutto in nord America, dove stiamo guardando a Washington Dc, a Orange County, a un raddoppio in città come Toronto e Los Angeles dove stiamo andando benissimo, e non escludiamo l’ipotesi di un terzo store a Manhattan. In Europa, dove l’obiettivo è sempre quello di piantare una bandierina in ogni capitale, le attenzioni sono rivolte a Berlino e a Madrid. Il lockdown ha inevitabilmente rallentato le trattative, ma entro l’estate contiamo di riuscire a mettere i puntini sulle i”.
Eataly aveva chiuso il 2019 in crescita del 7%, arrivando a 527 milioni, con un attivo di 8 milioni. Il 2020 era iniziato molto bene. “Avevamo un budget sfidante e nei primi due mesi lo avevamo superato del 4%, per una crescita complessiva del 15% anno su anno. Questo stava avvenendo anche grazie al contributo di Andrea Guerra, con il quale già a ottobre avevamo iniziato a impostare l’anno. Poi lo scenario è cambiato…”, ricorda Farinetti, precisando che Guerra, diventato nel frattempo il ceo della divisione hospitality di Lvmh (con Belmond), è comunque rimasto presidente di Eataly, senza deleghe operative. L’emergenza Covid ha inevitabilmente causato l’inversione di tendenza dei conti, perché in Eataly la ristorazione rappresenta la metà degli incassi a livello worldwide, con esposizione superiore negli store americani (Usa, Canada, Brasile). “Ma ai miei ragazzi dicevo che se stavamo andando così bene, non era un caso. E ora dico loro: tranquilli, ci ritorniamo”.
Ora la riapertura della ristorazione (la parte mercato è rimasta attiva anche in emergenza) sta avvenendo con due riflessioni alla base. “La prima è: tantissima sicurezza, ben oltre il livello stabilito dalle istituzioni. La seconda è: dobbiamo garantire un’esperienza divertente e conviviale, perché è quel che la gente si aspetta da noi. La sfida è non far pesare sul cliente di Eataly la presenza delle disposizioni per la sicurezza e quindi ci siamo inventati un po’ di cose particolari, dalle mascherine personalizzate al menù raccontato, fino alla riorganizzazione dell’accoglienza ai tavoli dei nostri ristoranti”, spiega Nicola Farinetti, che per ora non si sbilancia in previsioni sui conti a fine anno. “A oggi è impossibile determinare un budget, perché non sappiamo con certezza quando riaprirà la ristorazione in tutti i nostri Paesi di riferimento. Sicuramente andremo a chiudere l’anno con un segno ‘meno’ importante ma di entità diversa a seconda del mercato. In Italia, per esempio, le perdite saranno più contenute rispetto agli Usa, perché da noi la vendita dei prodotti conta più della ristorazione mentre negli Stati Uniti succede il contrario. E ad aprile, in Italia, con la sola vendita abbiamo incassato circa la metà del potenziale. Comunque i nostri ragazzi hanno lanciato tante cose nuove nel mondo e ogni settimana facciamo un po’ meglio della settimana precedente”.
Infine, uno sguardo alla quotazione in Borsa, che un anno fa pareva un passaggio imminente e poi è stato accantonato, ma non del tutto abbandonato. “Penso – dice Farinetti – che per un’azienda del valore di Eataly, per un Paese come Italia che ha una ricchezza enogastronomica incredibile ma che, per un motivo o per un altro, non ha mai esportato né una catena ristorativa né una catena di supermercati, avere prima o poi un’azienda veramente strutturata in tutto il mondo e averla sotto forma di public company possa essere giusto e di grande valore. Ma non è questo l’obiettivo di Eataly. Siamo ancora in fase di sviluppo, abbiamo la possibilità di crescere con i nostri mezzi e quindi, poiché l’ingresso in Borsa va fatto a seconda degli scenari e dei momenti giusti, pensiamo che oggi non rappresenti una priorità”.