La sfida social del vino italiano si gioca principalmente a livello d’immagine, per ottenere un seguito che si dovrà trasformare in consumo. E la strategia commerciale è perlopiù direct to consumer, come già avviene negli Stati Uniti.
di Leila Salimbeni
Su Instagram l’hashtag #winelovers conta 3,1 milioni di post. L’italiano #vino, invece, copre 8,7 milioni di contenuti che volano a 46,3 milioni nella versione inglese #wine. È quindi sempre più chiaro che chi opera nel settore vitivinicolo, non può più prescindere dal servirsi di una buona comunicazione social e media che, sempre su Instagram, dal 2014 ha visto impennarsi il numero di “enofollowers” da una media di 700 a oltre 63mila, con un incremento del +8354 percento. Occorre quindi investire per essere più visibili e ottenere seguito. E Pasqua Vigneti e Cantine lo ha fatto. L’azienda veronese, che ha all’attivo una produzione di 15 milioni di bottiglie per 54,7 milioni di fatturato è, secondo l’AD Riccardo Pasqua, “leader di settore su Instagram Italia grazie a una comunicazione digitale innovativa e non convenzionale che i social ci consentono di esprimere”. I follower, a metà marzo, superavano quota 75mila. Per imporsi, Pasqua ha dovuto lottare a lungo con Giovanni Ederle, piccolo vitivinicoltore dell’agriturismo San Mattia, a pochi km da Verona, che oggi viaggia oltre 66mila. “Ho accanto Simone Roveda, di Winerylover, al terzo posto al mondo per followers a tema vino”, racconta Giovanni, puntualizzando: “è grazie a lui se sono tra i vignaioli italiani più seguiti al mondo”.
INVESTIRE IN INFLUENCER
A proposito di influencer, la fruttifera collaborazione tra Ederle e Roveda è però un caso isolato. Più capillare e distribuita è difatti la posizione circa gli investimenti sugli influencer fatti da Pasqua, che l’AD descrive come “una campagna globale, con collaborazioni continuative su vari mercati”. Ed è simile a quella di Dievole, cuore vitivinicolo dell’impero del magnate argentino Alejandro Bulgheroni, 74 anni e un patrimonio stimato da Forbes 2018 di 2,9 miliardi di dollari, la cui responsabile marketing Giulia Preziosi spiega come “il pubblico sia aumentato e si sia diversificato, spingendoci a collaborare con influencer e blogger. Ciò non toglie, tuttavia, che già pensiamo di allargare lo spettro rivolgendoci ai comunicatori del lusso in generale”, confermando la vulgata che vuole che il successo del vino, su Instagram, dipenda proprio da uno storytelling spiccatamente visivo che risulta essere molto coerente con la connotazione dell’oggetto vino come leisure di alta gamma. Circa l’annosa questione della monetizzazione dell’investimento fatto sui social, Preziosi ammette che “in Dievole la comunicazione digitale si è spesso convertita in prenotazioni presso le nostre strutture ricettive sia al Dievole Wine Resort che alla Foresteria di Podere Brizio, così come in acquisti di vino attraverso il nostro Wineclub.” Differenti, invece, i presupposti di Riccardo Pasqua, secondo cui “la comunicazione digitale ha per noi due obiettivi: il posizionamento distintivo del brand e l’e-commerce: benché il rate di conversione sia ancora basso, in Italia noi guardiamo al risultato di medio periodo consapevoli che le performance dell’e-commerce sono collegate al livello di digitalizzazione del Paese”. Tra le due versioni, che partono da premesse ed esigenze in un certo senso antipodiche, appare intermedia quella di Giovanni Ederle, che insiste sulla capacità dei social di “creare rapporti commerciali, anche internazionali, con realtà in linea con le esigenze dell’azienda. La vetrina social, infatti, funziona come grande catalizzatore di enoturisti che, da followers, si trasformano in customers e raggiungono la nostra cantina, anche dall’estero, per degustazioni e vacanze in agriturismo.” Non è un caso che proprio una delle conseguenze della comunicazione digital sia, stando alle ultime ricerche in tal senso, un mercato basato sul modello DtC (Direct-to-Consumer).
DRITTI AL CONSUMATORE
Del resto, proprio i social sarebbero alla base della cosiddetta disintermediazione, ossia la vendita diretta che consente al consumatore di arrivare direttamente all’azienda e, all’azienda, direttamente al consumatore. Ma c’è di più: app e piattaforme web consentono non solo di acquistare, ma anche di scegliere il vino secondo parametri personali e variabili determinate dall’occasione, tanto che negli Stati Uniti il mercato DtC del vino ha aumentato il proprio valore del 22%, un incremento che riguarda le piccole e medie cantine vinicole – ossia la maggioranza delle aziende vitivinicole italiane – che rappresentano circa il 60% del volume di questo modello di mercato. Ciò premesso, non è un caso che la posizione di Pasqua sia agli opposti rispetto a quella di Ederle. “Social e digital sono sì leve strategiche – afferma Riccardo Pasqua – ma agiscono in modo efficace solo all’interno di un marketing mix centrato sia sull’esperienza virtuale che reale. I social isolati non possono raggiungere i nostri obiettivi di business plan: sono un veicolo importante, ma non l’unico.” Per contro Giovanni Ederle, che ha dimensioni ben diverse rispetto ai 55 milioni di Pasqua, ritiene che una forte presenza sui social sia stata essenziale nello sviluppo del suo modello DtC “perché, oltre a rafforzare la nostra immagine, ha innescato una escalation virtuosa, tale che i risultati ottenuti con la comunicazione digitale sono stati non solo proporzionali, ma addirittura esponenziali, per noi, se confrontati agli investimenti fatti.”
LA PROFILAZIONE DELL’UTENTE
A tale proposito, gli investimenti riguarderanno sempre più quei canali che permetteranno l’interazione con gli utenti e prevederanno, pertanto, un certo dinamismo nei contenuti. “Continueremo a puntare su Instagram e svilupperemo Youtube”, dichiara Ederle, mentre realtà più strutturate al loro interno, come Dievole, considerano essenziale l’attività di SEO, perseguita con costanza dal 2014 per una sempre migliore indicizzazione su Google. A questo proposito gli investimenti possono essere canalizzati addirittura “a monte”, secondo la visione di Letizia Sebregondi, fondatrice di Gr@pes che vanta, tra le sue consulenze, il prestigioso trittico di Terre Moretti (Contadi Castaldi, Bellavista e Petra). “Mi occupo di posizionamento strategico, analisi e, successivamente, della creazione di una strategia digital coerente con le esigenze del committente”, precisa Sebregondi, aggiungendo: “A proposito di DtC e, va da sé, nel rispetto delle leggi sulla privacy, posso mappare l’identità degli acquirenti sugli e-commerce, in modo da indirizzare gli investimenti delle aziende che seguo. In poche parole, offro loro la possibilità di capire dove ha più senso indirizzare i propri investimenti, quali regioni sono più ricettive, quale fascia demografica”. L’obiettivo è di aiutare le aziende a sviluppare il proprio posizionamento, potenziarne la visibilità e, indirettamente, offrire più opportunità al consumatore di trovare un prodotto che sia in linea con la propria identità di mercato. “In un certo senso, è un modello BtC che sviluppo mantenendo vivo il rapporto tra la cantina e il suo visitatore ideale”.
COMUNICARE AI MILLENNIALS
Tornando alla comunicazione social, i responsabili della escalation virtuosa di cui parlava Giovanni Ederle sono, per lo più, uno spaccato di consumatori molto particolare, ovvero i millenials che, nati negli anni ‘90, ammontano in Italia a circa 13 milioni di soggetti, ovvero 13 milioni di consumatori che, postando sui social informazioni circa il proprio stile di vita, influenzano i costumi e, di conseguenza, i consumi. In prospettiva si guarda anche alla iGen, i nativi del nuovo millennio, ma per il consumo di vino sono ancora troppo giovani e la sfida si giocherà tra qualche anno. Attualmente sono dunque i millennials a costituire il target digitale del mercato del vino e, pertanto, diventa cruciale per le aziende conoscerne la consumer identity, come riconosce Riccardo Pasqua, che dice: “I millenials riconoscono in Pasqua i valori di internazionalità, innovazione e tradizione che sempre più vanno cercando nel vino” ed è forse anche per questa ragione che la grande azienda veronese si è fatta promotrice di alcune importanti iniziative di ricerca in tal senso. Come quella commissionata a Wine Monitor, l’Osservatorio Signorvino-Nomisma, dove è emerso che il 20% degli italiani – il campione, di circa 1.000 consumatori italiani di vino tra i 18 e i 73 anni, è stato interpellato col metodo CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) – percepisce la salvaguardia dell’ecosistema come uno dei temi di maggior rilievo. Per questo motivo, e soprattutto la fascia demografica tra i 18 e i 38 anni, appare orientata verso acquisti che, sotto il termine bio, siano in linea coi principi di ecosostenibilità, filiera corta e km zero. Sono questi i valori su cui si misurerà la comunicazione e la produzione del vino del futuro, e non è un caso che proprio Pasqua abbia da poco presentato, alla stampa, la sua nuova etichetta di vino naturale Brasa Coèrta; ma questa è un’altra storia.