Era nell’aria, dopo i tanti riconoscimenti attribuiti da pubblico gourmet e critica specializzata, tra cui il clamoroso punteggio 20/20 attribuitogli da L’Espresso. Tuttavia, da lunedì notte, Massimo Bottura non è più soltanto il miglior chef italiano, ma il numero uno al mondo.
L’incoronazione al nuovo re della cucina internazionale è avvenuta a New York, dove si è tenuta la cerimonia del The World’s 50 Best Restaurants, che in realtà premia il miglior ristorante al mondo e non lo chef, ma nel caso di Bottura le due cose si sovrappongono, essendo chef-owner de l’Osteria Francescana di via Stella a Modena. L’edizione 2016 dell’oscar degli chef (sponsorizzata da San Pellegrino e Acqua Panna, con l’aggiunta da quest’anno tra i partner di Ferrari Trento che ha lanciato l’Art of Hospitality Award) si è tenuta per la prima volta in terra americana, al Cipriani Wall Street, dove si è trasferita dalla tradizionale location di Londra.
Osteria Francescana si è imposta precedendo in classifica El Cellar de Can Roca di Girona, che aveva trionfato alla precedente edizione del premio, e Eleven Madison Square Park a New York. Clamoroso lo scivolone del Noma di Copenhagen, dove opera lo chef Renè Redzepi, che esce dal podio e si ferma al quinto posto.
La vittoria di Bottura era nell’aria non solo per le qualità indiscutibili dello chef modenese, ma anche per i valori che ha posto alla base della sua cucina, partendo dalla valorizzazione del territorio e dalla lotta agli sprechi, che finalmente sembrerebbero comparire nell’agenda etica del food la cui compilazione è avvenuta durante Expo 2015. Bottura è uno chef che sa usare la comunicazione con saggezza, senza rischiare di sovraesporsi e tenendosi ben lontano da reality e altre forme di spettacolarizzazione della gastronomia. Inoltre, dal punto di vista delle iniziative “speciali”, non ne ha sbagliata una, privilegiando quelle con finalità sociale, da Food for soul, la onlus che lavora per ridurre gli sprechi di cibo utilizzando gli “avanzi” per migliorare le condizioni delle persone svantaggiate, alle collaborazioni con il refettorio Ambrosiano di Milano e la mensa dell’Antoniano di Bologna. La prossima tappa? Ai giochi di Rio de Janeiro per Soup Kitchen, che esporterà l’esperienza del refettorio milanese nelle favelas della metropoli brasiliana.