Un fenomeno che richiama produttori da tutta Italia, una rinascita che in dieci anni ha visto registrare un +70% delle superfici vitate e quasi quadruplicato l’imbottigliato. E ora si punta alla Docg.
Il Rinascimento dell’Etna inizia circa 25 anni fa: una denominazione giovane, considerando i tempi del vino, in espansione. La storia viticola risale a 28 secoli fa raggiungendo l’apice nell’800 per poi gradualmente perdere terreno. L’Osservatorio Uiv-Vinitaly asserisce che una bottiglia di vino prodotta e consumata in loco genera un impatto di 82 euro, una distribuzione di ricchezza che in un anno corrisponde a 123 milioni di euro. Il reddito pro-capite medio si è attestato a +12,6% nel decennio, contro una media siciliana del +9,9 per cento. “La Doc – spiega Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna – si estende su 1550 ettari, per una produzione di circa 5,5 milioni di bottiglie e con 180 produttori di filiera. L’annata 2023 è stata molto difficile sull’Etna, abbiamo perso il 42% delle uve, ed è stato anche l’anno dell’effettiva chiusura dei blocchi d’impianto. Elementi che hanno comportato una frenata sull’imbottigliato, che è cresciuto di un +1,5% rispetto al 2022, che era a +28 per cento”. I valori fondiari cinque volte superiori alla media regionale hanno incoraggiato il ritorno delle giovani generazioni nelle terre di famiglia, nonostante le difficoltà di una viticoltura eroica. “Il valore a ettaro – sottolinea Cambria – parte da 130mila fino a circa 240mila euro”. Cambria continua spiegando che le medie e grandi aziende coprono il 65% dell’imbottigliato (le aziende grandi arrivano a malapena a 500mila bottiglie). L’export è intorno al 65%, in prevalenza Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Svizzera. Il mercato è suddiviso per il 70% in Horeca, 20% in Gdo e 10% in e-commerce. “È una denominazione solida, con un giro d’affari sui 65 milioni di euro cresciamo bene e in modo bilanciato. Nel futuro puntiamo a crescere a valore e non a volume; infatti vorremmo mantenere il blocco per i nuovi impianti”.
La futura Docg
Nel 2011 la Doc viene modificata inserendo 133 contrade-Mga (Menzioni Geografiche Aggiuntive). Il consorzio si è attivato per il riconoscimento della Docg, ora è in attesa dell’iter burocratico. La scelta della Docg ha comportato delle modifiche al disciplinare, aggiungendo altre contrade-Uga (Unioni Geografiche Aggiuntive) e la possibilità di indicare come Uga uno dei 20 comuni, se le uve provengono interamente da quel comune. Inoltre la resa dell’Etna Rosso da Uga verrà diminuita e sarà aggiunta nella tipologia spumante la possibilità di usare Carricante e anche la versione Pas Dosé. “La Docg – continua Cambria – è il progetto più ambizioso intrapreso, unanimemente condiviso. Speriamo che diventi realtà entro un paio d’anni”.
Dagli etnei…
Tra i produttori con una storia antica sull’Etna c’è Nicosia, presente dal 1898 e fra le prime cantine a imbottigliare. “L’Etna è un fenomeno nuovo e si deve assestare”, racconta il CEO Graziano Nicosia. “Gli stili sono differenti e penso che sia un valore aggiunto, ma potrebbero creare confusione. La qualità è comunque molto alta e questo è un tratto comune”. L’azienda produce su 45 ettari 350mila bottiglie, con una crescita a volume dell’8% e a valore del 15%, distribuite in 30 Paesi, con un’esportazione pari al 35 per cento. Nel mercato domestico, l’Horeca è al 65%, la Gdo al 25% e l’online al 10 per cento. “ Per il futuro ci focalizzeremo ancor più sulla spumantistica, ci abbiamo sempre creduto, e a breve pianteremo 40 ettari”.
Altra storica azienda etnea, nel 2022 rilevata al 40% dalla Brave Wine (l’operazione era stata inizialmente annunciata tramite la Red Circle Investments)* di Renzo Rosso, è Benanti. Dai 30 ettari vitati si producono 250mila bottiglie, in crescita dell’1% a volume e del 25% a valore. L’esportazione riguarda 32 Paesi e pesa per il 75 per cento. Il canale privilegiato è l’Horeca (99%), seguito dall’e-commerce. “Abbiamo scelto un partner – commenta Agatino Failla, responsabile vendite e marketing – che ci consente di fare investimenti per un futuro più prospero: tra quattro anni ultimeremo la nuova cantina, acquisiremo altri vigneti. L’Etna sta diventando un ‘big game’, ma sono i successi pluriennali che consolidano il valore. Non ci può più essere improvvisazione e questo riguarda in generale tutto il territorio, non solo il mondo del vino”.
“Noi Tornatore – dice Giuseppe Tornatore, titolare con il padre Francesco – siamo etnei e abbiamo mantenuto nei secoli le vigne, oltre ad acquistarne altre, per arrivare a 80 ettari. Siamo in un terroir unico al mondo, tra i primi territori di grandi vini non solo in Italia. L’Etna però è ancora una nicchia e manca la consapevolezza nel grande pubblico”. L’azienda produce circa 400mila bottiglie, con un fatturato di quattro milioni (+10 per ento). L’export è del 55% su 30 Paesi con gli Usa come mercato primario. In Italia i canali distributivi sono 95% Horeca e 5% online. “Futuro? Abbiamo quasi ultimato la nuova cantina a impatto zero e produrremo due nuovi vini”.
…ai forestieri
Firriato unisce 7 tenute, tra cui Cavanera Etnea, su 480 ettari vitati e una produzione di 4,5 milioni di bottiglie. Sull’Etna gli ettari vitati sono 88, con una produzione di 490mila bottiglie (aumentate dell’8%). Il fatturato totale è di 25 milioni, di cui sull’Etna 5 milioni, con un aumento del 16% nel 2023. L’export vale il 45%, mentre il mercato domestico vede un 85% in Horeca, 10% Gdo e 5% e-commerce. “Mio padre – afferma la presidente Irene Di Gaetano – nel 1994 aveva intuito le potenzialità di questo luogo unico, che è diventato un brand internazionale. Siamo una squadra di produttori uniti, decisi a eccellere. Nel futuro punteremo sempre più sul metodo classico”.
Donnafugata esce con la sua prima etichetta etnea nel 2016 (da vigne acquistate e in affitto), dopo uno studio durato tre anni. “A oggi – spiega l’ amministratore delegato Antonio Rallo – abbiamo 35 ettari vitati, con una produzione di 200mila bottiglie che equivalgono al 6% del totale aziendale”. Donnafugata, che raggruppa in tutto cinque tenute, ha un fatturato globale di circa 36 milioni di euro, cresciuto del 3,9% nel 2023. L’export del gruppo è circa del 25% in 70 Paesi. “Con l’Università di Catania e il consorzio Etna – continua Rallo – stiamo studiando i migliori biotipi per le varietà antiche: credo che sarà un ulteriore upgrade per il nostro già roseo futuro”.
Enoturismo qualificato in crescita
Il fascino del vulcano incanta i visitatori, al 75% stranieri, la maggior parte americani. L’unicità del luogo, unita all’interesse per i vini, sta facendo crescere tutti i segmenti dell’ospitalità. “Dall’apertura di Monaci delle Terre Nere nel 2012 – dice il titolare Guido Coffa – il turismo di lusso da noi è più che triplicato, ed è per 2/3 straniero”. Cinque stelle, Relais & Châteaux, la struttura è un hotel diffuso, eco-bio certificato con due ristoranti, cocktail bar, centro benessere. Coffa, radici etnee, produce anche vino nei suoi sei ettari vitati, con 15mila bottiglie destinate all’Horeca. “Restaureremo i casolari dell’800 per dedicarli all’ospitalità. Costruiremo anche la nostra cantina entro un paio d’anni”.
I Neri sono di casa sull’Etna da oltre un secolo. “Nel 2000 – spiega Santo Neri, figlio e nipote dei fondatori Salvo e Fabio – s’inizia con Casa Arrigo, una farm house di fascia alta. Nel 2012 ecco Villa Neri, un 5 stelle in bioarchitettura con Spa, ristorante e piscina”. Un investimento avanguardistico, con la missione di offrire ospitalità di lusso. “Abbiamo inaugurato con 14 camere, oggi ne abbiamo 27 e il prezzo medio dal 2012 è quadruplicato. La presenza straniera è dell’82%, in primis Usa”. Dal 2018 la famiglia Neri è anche produttrice con 40mila bottiglie.
Record dei vigneti biologici
La Doc Etna detiene la maggiore superficie in biologico, con il 60% degli ettari totali. “Credo che il biologico sia una filosofia di vita”, dice Sonia Spadaro, titolare di Santa Maria La Nave. “È un nostro dovere preservare l’ecosistema e lasciare un’eredità sana ai posteri”. L’azienda si estende su 3,5 ettari con due vigne eroiche in posizioni opposte del vulcano. Spadaro sta terminando la cantina interrata a impatto zero, usa le cisterne ecologiche per la raccolta piovana per evitare sprechi e i pannelli solari. “Il 2023 è stato il peggior anno per chi fa bio. Ho prodotto cinquemila bottiglie, nel 2022 erano 13mila. Ma non ho mai messo in dubbio la mia scelta”.
“Nel 2023 in alcuni vigneti si è perso il 90% delle uve”, afferma Mario Paoluzi de I Custodi delle vigne dell’Etna. “Siamo certificati bio dal 2012, seppur fin dal 2007 abbiamo lavorato così. Un’annata così devastante fa riflettere: non abbandonerei mai il bio perché desidero vini sani per chi li beve e per chi li produce, oltre alla protezione dell’ambiente, ma m’interrogo”. Paoluzi ha 15 ettari vitati e produce 100mila bottiglie, con un fatturato di 910mila euro, un export al 55% e una distribuzione 100% nell’Horeca. “Novità? Ho piantato da poco cinque ettari a Mascali, zona vocata”.
Il sorpasso del bianco (carricante) sul rosso avverrà presto
I dati al 2023 forniti dal presidente consortile danno le bottiglie di bianco comprensive del Superiore a 2,4 milioni e i rossi a 2,7 milioni. “Produciamo vino dal 1727 – dice Marco Nicolosi di Barone di Villagrande -, le prime bottiglie sono degli anni ‘40. La vocazione del carricante a Milo ci è ben chiara: i suoli diversi, la vicinanza al mare, la ventilazione e le piogge che sappiamo gestire anche in bio. Da sempre crediamo nei bianchi e nel loro longevo futuro”. Il 65% delle 120mila bottiglie (+10% a valore) sono di Etna bianco e superiore. Con un fatturato di 1,1 milioni a +18% e una canalizzazione al 90% in Horeca, il resto vendita diretta, l’azienda ha un export del 55% e nuovi progetti (due vini e un innovativo piano di accoglienza).
Da più di 30 anni Salvo Foti, enologo e poi fondatore de I Vigneri a Milo, porta avanti con caparbietà un lavoro di valorizzazione dei bianchi etnei. “Il carricante è un vitigno unico, che esalta l’ambiente pedoclimatico, con delle caratteristiche peculiari: ph basso, bassa gradazione alcolica, una presenza di acido malico che consente la conservazione, un’acidità totale che sui mosti può arrivare a 12 e un precursore aromatico che nell’evoluzione riconduce alle note del riesling invecchiato”. L’azienda ha un fatturato di 890mila euro con una produzione di 40mila bottiglie (65% bianchi) su cinque ettari.
*Notizia modificata il 9-07-2024 alle 09.45