Dalla Toscana a Milano, e presto oltre i confini nazionali. Il percorso del Gruppo Giacomo Milano, realtà da 23 milioni di euro e simbolo della ristorazione milanese, segue quello delle persone che ne fanno la storia. In primis Giacomo Bulleri, fondatore della realtà meneghina nato a Collodi (Pistoia) nel 1925. Imparata la professione di cuoco a Torino, si reca a Milano per aprire, nel 1958, il suo primo ristorante in via Donizetti: Trattoria Da Giacomo. Ma è trent’anni dopo, con il trasferimento in via Sottocorno, che prende forma la realtà così come è oggi conosciuta. Sì, perché in questa stessa via fioriscono negli anni il Bistrot e le ‘botteghe’ Pasticceria, Tabaccheria, Rosticceria, creando quello che alcuni definiscono il ‘Giacomo District’. Per non farsi mancare nulla, Giacomo arriva anche in Piazza Duomo, con l’Arengario e il Caffè, e a Milano Ovest, con la Gastronomia. Nel 2018, il gruppo torna alle origini toscane, aprendo a Pietrasanta il primo ristorante fuori dal milanese. Ma la vera svolta arriva nel 2020, quando viene annunciato l’accordo tra il Gruppo Giacomo Milano e la famiglia Rovati che, attraverso il veicolo di investimento Fidim, ne acquisisce una quota di maggioranza. L’intento è chiaro: supportarne la crescita internazionale che, come raccontato a Pambianco Wine&Food da Carola Rovati, board member del gruppo, guarda a Europa e America. Nel frattempo, seguono ulteriori tappe: l’esordio nel mondo dell’hotellerie di alto livello grazie, prima, alla collaborazione con la famiglia De Santis, proprietaria del Grand Hotel Tremezzo (sul lago di Como), da cui è nato Da Giacomo al Lago, e, poi, con Da Giacomo al Salviatino, presso l’hotel Il Salviatino a Fiesole, di proprietà dei Rovati. Infine, nel 2022, arriva la seconda meta marittima con l’apertura del format Bistrot a Santa Margherita Ligure (non rinnovato per la stagione 2023), nel cuore del golfo del Tigullio, destinazione che, negli ultimi anni, si è fatta frizzante per la ristorazione di livello.

Come si è chiuso il 2022 per il Gruppo Giacomo?
Nel 2022 il gruppo ha registrato un fatturato di 23 milioni di euro, in crescita del 35% sui 17 milioni del 2021. In termini quantitativi è andata quindi molto bene, con una ripresa post Covid che è andata oltre ciò che ci aspettavamo.
E in termini qualitativi?
È stato un anno difficile perché sentiamo tanto la criticità di trovare personale. Una problematica che è comune all’intero settore in quanto è proprio cambiata la percezione del lavoro.
Questo ha inciso in qualche modo sull’operatività dei ristoranti?
La scorsa estate, complice anche dei lavori che andavano fatti al suo interno, abbiamo chiuso il Bistrot, ovvero il ristorante con la clientela più milanese che ad agosto non rimane in città. E il personale è stato riallocato così da garantire le aperture delle nostre location stagionali.
Qual è la vostra soluzione al problema?
Puntare molto sulla formazione. Per questo stiamo strutturando un’Academy interna in modo tale che i nostri lavoratori possano ulteriormente formarsi e perseguire una crescita dentro l’azienda. Abbiamo deciso di seguire questa strada perché è necessario coltivare le persone, dar loro un motivo valido per far sì che ti scelgano. Se prima il valore aggiunto era far parte di un gruppo, ora è necessario andare oltre e per farlo bisogna investire nella ricerca di talenti e sulla loro crescita. L’Academy verrà avviata nel 2023 e si svilupperà progressivamente.
State provvedendo ad altri cambiamenti, per esempio a livello di turnazione?
Stiamo cambiando l’approccio. Vorremmo passare da turni di lavoro di sei giorni su sette a un cinque su sette, sia per la sala sia per la cucina. Al momento è però difficile implementare questa soluzione proprio per la mancanza di personale. Dovremmo però riuscirci a partire dal secondo semestre dell’anno. Deve infatti cambiare il modo di fare ristorazione: alla gavetta e ai sacrifici del lavoratore, la proprietà deve rispondere potendo garantire un corretto work life balance. Non solo, a partire da aprile attiveremo un sistema di welfare aziendale, con cui ai dipendenti sarà assegnato un budget che potranno convertire in servizi di vario genere, quali rimborsi sanitari o previdenziali, viaggi, cultura e tempo libero, buoni spesa o benzina.
Questi provvedimenti rientrano in un piano più grande?
Stiamo riorganizzando tutta l’azienda che, con il nostro ingresso, è passata da una gestione famigliare a una manageriale. Ciò comporta una metodologia di lavoro differente, pur mantenendo i valori famigliari che contraddistinguono anche Fidim. Purtroppo, o per fortuna, sul mercato ci sono conglomerati enormi con altissima capacità di spesa e se non ti adatti a un sistema manageriale non sopravvivi. Siamo fiduciosi di concludere questo progetto di trasformazione entro l’anno.
Ci saranno delle evoluzioni anche dal punto di vista dell’immagine del gruppo?
Ci siamo regalati una nuova immagine coordinata del gruppo che valorizzi il brand senza stravolgerlo e che coinvolge tutto, dal logo al packaging ai menu. Il Gruppo Giacomo non ha mai comunicato, inizieremo ora.
C’è un ristorante maggiormente trainante?
Devo dire che Pietrasanta, aperto nel 2018, lo scorso anno ha fatto una stagione da record. A Milano, invece, i locali Da Giacomo e l’Arengario sono i capisaldi del gruppo, quelli che ci danno continuità.
In un momento di aumento considerevole dei costi, come si salvaguarda la marginalità?
L’incremento delle materie prime e dell’energia impatta parecchio e non ci possiamo permettere di alzare troppo i prezzi al consumatore finale. Come si fa quindi a recuperare la marginalità? Con un controllo di gestione, un ufficio acquisiti di gruppo e ottimizzando al massimo le risorse, proprio ciò che stiamo facendo.
Con i fatti degli ultimi anni, in che modo sono cambiate le richieste dei consumatori?
Abbiamo notato un certo desiderio di comfort. In un momento come questo, pieno di incertezza, non c’è voglia di sperimentare, ma si ricerca la sicurezza e una cucina come la nostra, contemporanea ma di tradizione, attira il consumatore che vuole sentirsi a casa e coccolato. C’è, in generale, un ritorno alla ristorazione elegante e di tradizione. Inoltre, con il post-pandemia, è aumentato il consumo di bottiglie di vino pregiate, e quindi di un certo valore economico, tra la clientela italiana. Storicamente, sono sempre stati gli stranieri i più inclini a spendere cifre alte per il vino.

Alle località estive, valutate di aggiungere destinazioni per la stagione invernale?
Sarebbe interessante per noi avere località anche invernali e infatti le stiamo valutando, ma sicuramente non potremmo procedere prima del secondo semestre del 2024. Noi siamo entrati in pieno Covid e prima di mettere nuova carne al fuoco dobbiamo implementare la ristrutturazione aziendale e consolidarla.
E altre destinazioni per tutto l’anno?
Stiamo valutando città estere, in Europa ma anche in America. In Italia, invece, a livello di città, vogliamo mantenere solo Milano.
Valutate la creazione di nuovi format?
No, ci riteniamo soddisfatti con quelli che abbiamo. E, infatti, l’idea è quella di esportare più format insieme, creando nelle città dei piccoli district che seguono un po’ il modello di Milano, dove lungo una sola via (vedi via Sottocorno, ndr) ci sono più locali del gruppo. Giacomo non è solo un ristorante, ma un’esperienza culinaria che va dalla colazione al drink dopo cena ed è questo modello, che è proprio uno stile di vita, che vogliamo replicare all’estero.
E un ulteriore sviluppo negli hotel?
Al momento siamo presenti in due hotel. È un modello che non ci dispiace ma lo sviluppo dipende dall’opportunità. Avendo tanti format, siamo avvantaggiati nell’assumere la gestione del food and beverage di un albergo perché riusciamo a gestire un’offerta completa, e per questo gli albergatori ci cercano.
Il gruppo offre servizio di delivery?
Lo abbiamo avuto fino alla fine del 2021. Abbiamo deciso di toglierlo per diverse ragioni che spaziano dalle condizioni lavorative dei rider di partner esterni, a nostro parere non sostenibili, alla condizione non eccellente in cui il cibo arriva a casa di chi lo ordina. Detto ciò, ci piacerebbe avere una delivery interna che abbia un posizionamento molto premium e che fornisca un’esperienza a casa come al ristorante.
A livello di comunicazione, il brand è predominante sulla singola figura dello chef. È effettivamente così? È una strategia che volete portare avanti?
Assolutamente sì ed è una cosa che vogliamo mantenere. Giacomo non vuole identificarsi in uno chef ma vuole portare avanti la propria identità con un’idea di cucina che è poi quella del fondatore Giacomo Bulleri: la tradizione in continua evoluzione.
La Famiglia Rovati ha aperto la fondazione e al suo interno c’è Andrea Aprea. Qual è la scelta strategica dietro l’inserimento di uno chef esterno e non di un vostro format?
L’idea era quella di dare spazio a un’altra figura prominente della gastronomia italiana che non fosse per forza all’interno del gruppo. Abbiamo deciso di andare su una cucina stellata perché è molto più esperienziale, riflessiva, artistica e per questo si sposa bene con la fondazione. Inoltre, noi siamo felici del nostro numero di location sulla piazza milanese e abbiamo quindi voluto dare spazio a qualcun altro.
Come Fidim, valutate nuove acquisizioni nell’ambito ristorazione e/o hotellerie?
Attualmente abbiamo il Gruppo Giacomo e il Salviatino. Ci piacerebbe espanderci nell’hotellerie, mentre per quanto riguarda la ristorazione al momento non valutiamo altre acquisizioni. Personalmente ho invece investito in due piccole realtà: una è Cafezal, che realizza specialty coffee, e l’altra è Chokkino, un espresso di puro cacao nato come alternativa al caffè.
