Tre stelle, due partner, un territorio. Sono questi i numeri fortunati del sodalizio che da più di vent’anni unisce la famiglia Ceretto ed Enrico Crippa. Da un lato una celebre famiglia del vino piemontese, dall’altro uno chef brianzolo le cui esperienze lavorative spaziano da Gualtiero Marchesi a Ferran Adria. Era il 2003 quando i due si sono incontrati e hanno deciso di avviare due ristoranti in Piazza Risorgimento ad Alba (Cuneo): La Piola, che propone una cucina tipica langarola, e Piazza Duomo, punto di unione delle esperienze di Crippa. Quest’ultimo diventa un fiore all’occhiello e conquista la prima stella Michelin nel 2006, la seconda nel 2009 e la terza nel 2012. Nel 2022 i due ristoranti, che fanno capo alla società Arco controllata al 90% dai Ceretto e al 10% da Crippa, archiviano ricavi totali intorno ai sei milioni di euro, di cui 4,4 milioni realizzati da Piazza Duomo che “ha messo a segno il suo anno migliore di sempre”, spiega a Pambianco Wine&Food Magazine Roberta Ceretto. Nel frattempo, le parti aprono anche un ristorante a Doha e i progetti – e i sogni – in cantiere non mancano, come ci racconta lo chef Enrico Crippa, al timone di Piazza Duomo.

Negli scorsi mesi avete aperto il ristorante Alba by Enrico Crippa a Doha. Come sta andando?
L’esperienza sta andando molto bene. L’exploit del campionato del mondo di calcio ha portato un sacco di persone in Qatar e soprattutto a Doha. Ora il ritmo è un po’ rallentato, ma rimane lo zoccolo di expat e local che hanno la voglia di scoprire gusti italiani diversi da ciò a cui erano abituati. Inoltre, l’edificio all’interno del quale è collocato il ristorante è già diventato un luogo iconico e stimola molta curiosità, attirando tante persone.
Doha ha già fatto da catalizzatore per attrarre nuovi clienti ad Alba?
Per il momento no, ma il contrario è successo spesso.
L’apertura in Qatar potrebbe rappresentare il primo step di un’espansione estera?
Noi lo speriamo, sicuramente sarebbe bello fare qualcosa in Europa. Va ricordato però che ciò che facciamo ad Alba lo possiamo fare solo qui – per esempio grazie al nostro orto situato a pochi chilometri dalla città (400 metri quadrati di coltivazione in serra e tremila di appezzamento che seguono le pratiche dell’agricoltura biologica e biodinamica, ndr) e ai fornitori di fiducia – quindi qualsiasi tipo di espansione sarà con un format diverso.
E un’altra apertura in Italia, fuori dalle Langhe?
Roberta Ceretto: Fuori dalle Langhe no. Ci sono però dei progetti che parlano al territorio, per esempio quello che vorremmo sviluppare vicino al vigneto di Brunate che, se tutto va bene a livello burocratico, vedrà la luce nel 2025. Qui c’è l’idea di aprire un locale totalmente diverso da Piazza Duomo e La Piola. Siamo infatti vicini alla Cappella del Barolo che attira tantissimi visitatori dalle otto del mattino fino a sera e quindi va sviluppata un’offerta che sia in grado di rispondere a tutte le esigenze, che possono spaziare dalla richiesta di cibo a un semplice bicchiere di vino. Sicuramente, visto che siamo nel cuore del Barolo, nei piatti ci sarà tanto territorio.
Qui ad Alba come procede il business?
Le Langhe sono sempre piene di gente, sono un territorio magico. Da marzo a dicembre ci sono sempre tantissime persone e quest’anno persino a febbraio, tanto che abbiamo fatto un +25% di fatturato rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il 2023 è quindi partito molto bene in entrambi i ristoranti, anche meglio rispetto ai budget che ci siamo dati.
Post Covid siete passati a un’apertura settimanale di quattro giorni anziché cinque. è risultata una scelta vincente?
Dopo il Covid abbiamo fatto la scelta di chiudere per tre giorni anziché due come facevamo in precedenza e il riscontro è stato molto positivo. Siamo aperti sia a pranzo che a cena e l’affluenza è molto equilibrata, con una media tra i 40 e i 50 coperti al giorno.
Si parla tanto di crisi del fine dining, cosa ne pensa?
Per il momento è una situazione che non ci tocca, anche in ragione del fatto che le Langhe sono un territorio importante.
Neanche in termini di reperimento del personale?
Sicuramente la situazione è più complessa rispetto al passato. Ma riuscire a rendere i dipendenti complici nella realizzazione di un risultato comune aiuta, così come avere tre giorni liberi a settimana.

Ogni quanto cambia il team?
Noi abbiamo sempre lavorato con team molto longevi. Dopo il Covid c’è stata una spaccatura: alcuni sono andati a Doha, alcuni hanno voluto fare esperienze all’estero, altri hanno preso la loro strada altrove. Certo, se prima assumevi tre ragazzi, questi restavano 4-5 anni. Ora magari due se ne vanno e uno rimane. Il tema è che, in un ristorante di questa tipologia, durante il primo anno capisci cosa stai facendo e solitamente solo al terzo anno puoi davvero dare del tuo. Attualmente qui a Piazza Duomo, tra stagisti e assunti, siamo circa 16-20 in cucina, in base al periodo, a cui si aggiungono i 10-12 in sala. Si sale a 35 con La Piola.
Le richieste dei clienti sono cambiate?
Noi abbiamo una clientela molto variegata: dall’appassionato di una certa età ed esperienza al giovane che si fa un viaggio per sedersi a una tavola importante. Abbiamo sempre avuto un buon successo perché da sempre lavoriamo con prodotti locali cucinati anche in modo diverso rispetto alle canoniche ricette delle Langhe. E vediamo che questa tipologia di approccio legato al territorio, alle verdure, all’orto, piace molto ai nostri ospiti perché ne riconoscono l’unicità che consiste in sapori, freschezza, consistenza, profumi – frutto di una raccolta quotidiana – a cui non sono abituati.
E in termini di scelta del vino?
È cambiata l’attenzione alla cantina. Adesso chi esce vuole aprire buone bottiglie con prezzi importanti e anche questo ha aiutato a far crescere il fatturato. Certamente, gli stranieri sono quelli che tendenzialmente spendono di più, soprattutto perché in Italia trovano dei prezzi notevolmente inferiori rispetto all’estero. Qui nelle Langhe vengono consumati soprattutto i vini autoctoni, quindi Barolo e Barbaresco, ma anche altri rossi importanti sia italiani sia francesi, a cui si aggiunge lo Champagne.
Qual è il vostro rapporto con la mixology?
Io sono partner di una famiglia che produce vino e siamo in un territorio dove c’è vino ovunque. Detto ciò, la mixology si fa – sul menu Barolo abbiamo un cocktail che vuole omaggiare l’aperitivo di Torino che veniva fatto una volta con i Vermouth – ma non è sicuramente il nostro focus. Credo che la mixology non sia un qualcosa che si viene a cercare in questo territorio e soprattutto in un ristorante che è un punto di riferimento per il cibo di quest’area.
Collegate a Piazza Duomo ci sono anche tre camere e una suite…
Mi piacerebbe utilizzarle per fare altro, le idee sono molte ma vanno ancora ben riordinate. Per esempio, sarebbe interessante fare una cantina per degustazioni private, affiancando una cucina ‘live’. Sarebbe bello anche utilizzare quello spazio, più rilassato e intimo rispetto al ristorante, per organizzare cene private con super bottiglie non presenti nella nostra carta vini e io potrei cucinare in esclusiva.
Ci sono altri progetti o desideri?
A me personalmente piacerebbe avere un locale aperto solo al pranzo. Questo perché durante il pranzo, a differenza della cena, c’è più luce, le sensazioni sono migliori ed è un momento a cui si può dedicare anche un’intera giornata. Certo, questa tipologia di progetto sarebbe più fattibile in città che in provincia e sicuramente non sarebbe possibile farlo qui a Piazza Duomo. Vedremo.