Laurent-Perrier vola sui listini (+30,5%) seguita da Masi Agricola (+17,6%) e Lanson (+14,7 per cento). Male gli americani, ma Constellation brands si conferma regina delle capitalizzazioni con oltre 38 miliardi di euro.
La qualità paga sempre e non solo al tavolo di un ristorante o sugli scaffali di un supermercato. A confermarlo è quanto successo negli ultimi dodici mesi alle società vinicole quotate sui listini di tutto il mondo. Un microcosmo internazionale così piccolo da essere composto di sole ventuno realtà. Almeno considerando quelle specializzate ed escludendo i grandi gruppi come Lvmh che sì, possiede un comparto dedicato al wine & spirits ricco di ventisei marchi, da Krug a Dom Perignon, passando, ovviamente, da Moët & Chandon e Hennessy, ma il cui peso specifico in termini di fatturato, nonostante l’ordine di grandezza si misura in miliardi di euro, incide per meno del 10% sul totale, diventando quindi marginale nell’influenzare le oscillazioni del titolo.

Detto questo, e tornando alle performance dei mercati azionari, il miglior risultato ottenuto nel 2023 è stato, e con margine, della francese Laurent-Perrier. La maison di champagne negoziata sul listino di Parigi e che oltre all’omonima etichetta controlla anche Salon, Delamotte e Castellane, ha segnato nel corso dell’anno un +30,5% passando da 102,66 a 134 euro. Valori che hanno massimizzato la pubblicazione di una prima semestrale da +24% di fatturato e +58% di utile netto. A seguire, pur con un dimensionamento diverso, c’è l’italiana Masi Agricola, che a Piazza Affari ha raccolto un +17,6% passando da 3,75 a 4,41 euro, giovando tra gli altri, di una prima metà d’esercizio a +29% di ricavi, con utili quasi raddoppiati. Al terzo posto di un ipotetico podio, arriva un’altra francese, Lanson-Bcc, realtà che controlla otto etichette di champagne tra le quali Philipponnat e De Venoge, e che nel corso del 2022 ha maturato un +14,7% passando da 27,72 a 31,80 euro per azione. Un terzetto questo, al quale, almeno in termini di crescita a doppia cifra, ha risposto solamente l’australiana Treasury Wine Estate, gruppo che ha in portfolio oltre una quarantina di etichette, tra le quali Pendfolds, 19 Crimes, Blossom Hille e Cavaliere d’Oro, e che sulla piazza di Sidney ha ottenuto un +12,8%, passando da 12,7 a 13,61 dollari australiani. A chiudere il sestetto di società che sono riuscite a creare valore sono state la sudafricana Distell Group, proprietaria di oltre una settantina di marchi, che a Johannesburg ha registrato una crescita del +4,4% per un valore di 17.645 rand (erano 16.900), e la francese AdVini, forte di venti cantine in patria, tra le quali Cazes en Roussillon, Ogier, Maison Champy e Vignobles Jeanjean, che è riuscita a salvarsi dal rosso con un risicato +0,6%, cioè facendo crescere il valore del proprio titolo di soli 12 centesimi a 18,80 euro.
Ma tanto basta per quest’anno. Per Alessio Candi, responsabile delle divisioni Consulting e M&A di Pambianco, questa è una situazione che: “Racconta come nel 2022 il settore vitivinicolo, nonostante un periodo problematico per chiunque, in realtà ha tenuto meglio di altri; questo grazie al numero ridotto di aziende quotate e perché gli investitori sono attratti dalle potenziali attività di merger and acquisition che potrebbero verificarsi nel futuro prosismo”. Dinamiche “alle quali si aggiungono anche i dati di un anno che ha avuto risvolti economici discreti”. Resta però l’evidenza che ben quindici società su ventuno hanno chiuso i dodici mesi riducendo il patrimonio dei propri azionisti. Chi lo ha fatto meno di tutti è stata un’altra produttrice francese di champagne: Vranken Pommery, che ha lasciato per strada il 2,2% del proprio valore fermandosi a 16,8 euro.
Chi lo ha fatto peggio di tutti, invece, è stato il rivenditore online britannico Naked Wines, crollato di oltre ottanta punti percentuali e vedendo la propria quotazione sul listino di Londra ridursi da 6,51 a 1,27 sterline. Poco meglio, se così si vuol dire, ha fatto l’americana Vintage Wine Estate, quotata a New York e proprietaria di una ventina di marchi tra i quali Bar Dog, Firesteed e Clos Pegase. Per lei le oscillazioni hanno decretato uno scivolo del 72,4% portando gli iniziali 11,82 dollari ai 3,26 di fine dicembre. Poco performante è stata anche l’altra italiana presente alle negoziazioni, Iwb-Italian Wine Brand che a Milano ha chiuso l’anno a -33,6% per 27,4 euro. Una performance che però nell’ultimo trimestre, grazie alle acquisizioni di Barbanera e Fossalto e unitamente a una semestrale da +80,5% sui ricavi, ha prodotto un recupero di oltre 30 punti percentuali partendo dalla quotazione da 21,4 euro dello scorso 14 ottobre.
“Nonostante le grandi operazioni di M&A, Iwb a inizio anno non ha avuto un buon impatto in termini finanziari”, ha precisato Candi: “La società non è stata inizialmente premiata dai mercati un po’ perché è cresciuta molto nell’anno precedente, un po’ perché ha sofferto lo storno dei listini”. Ragioni che hanno di fatto influenzato un po’ tutto il settore, considerando come le negoziazioni medie registrate tra tutte le quotate non è andata oltre un poco gratificante -16,9%. Per contro, il podio firmato da Champagne e Amarone, ha confermato come l’alto di gamma, anche nel mondo del vino, è stato impermeabile, o quasi, alla guerra in Ucraina e si sia ripreso dagli effetti della pandemia.
Diversa invece è stata la risposta dei segmenti più bassi e dei grandi gruppi americani, con quest’ultimi che hanno sofferto le debolezze di un mercato disabituato alle difficoltà causate dall’inflazione. Un contesto che non ha risparmiato nemmeno Constellation Brands che, grazie ai suoi oltre cento marchi (da Robert Mondavi a Ruffino passando da Corona) e nonostante un anno da -6,4%, si è comunque confermata, e di gran lunga, la società con il più alto valore di capitalizzazione a quasi 38,2 miliardi di euro. Dietro di lei, pur in crescita, le già citate Treasury wine estate, a oltre 6,3 miliardi di euro, e Distell group, che con i suoi 2,3 miliardi, ha superato la cinese Yantai Changyu, -3,5%, scesa a poco meno di 2,2 miliardi. A chiudere il club dei miliardari c’è l’americana The Duckhorn Portfolio, capitolata a -29% e limitandosi a 1,7 miliardi di euro. Per una top-10 della grandezza che vede Laurent-Perrier issarsi al settimo posto con una capitalizzazione da 720 milioni di euro e Iwb al decimo con circa 265 milioni. Segno che l’Italia, il più grande produttore mondiale di vino, è finalmente presente, pur con timidezza. In conclusione e guardando a quel che potrebbe esprimere l’anno appena cominciato, “è ancora incerto nelle previsioni”, ha spiegato Candi. Certo è che i primi segnali, fissati a venerdì 20 gennaio, vedevano, un po’ sorprendentemente Laurent-Perrier a -4,7%, Lanson Bcc invariata, Masi a 7,9% e Iwb a +8,9%. Va da sé, ha chiuso Candi, che: “Fino a quando la situazione economica e geopolitica sarà questa, le uniche certezze parlano di un settore che si sta polarizzando, che guarda alla fascia alta e che è ancora limitato nel numero di attori, aspetti potenzialmente interessanti per un investitore, dall’altra parte, però, almeno sul medio periodo si dovrà scontare l’assenza di condizioni favorevoli”.