Le denominazioni del vino italiano certificate da Valoritalia* – 218 in tutto, di cui 47 Docg 134 Doc e 37 Igt – crescono sia a valore che a volume nel 2021, trainate in primis dal Prosecco, vincitore in entrambe le categorie. Secondo i dati di Valoritalia, società che certifica i vini a denominazione d’origine, indicazione geografica e dei vini con indicazioni del vitigno e/o dell’annata, nel 2021, in termini di volumi, gli imbottigliamenti sono cresciuti mediamente dell’11% (+12% sul 2019).
Nello specifico, nel biennio 2020-21, le denominazioni che utilizzano una menzione Igt hanno registrato un arretramento medio del 5%, mentre le Doc sono cresciute del 17% e le Docg del 16 per cento. Ciò significa, spiega Francesco Liantonio, presidente Valoritalia, che “durante il periodo pandemico il mercato ha premiato il vertice della piramide qualitativa”.
A livello di singola denominazione, la crescita più consistente l’ha ottenuta il Prosecco, comprensivo della Doc Prosecco, della Docg del Conegliano Valdobbiadene e dell’Asolo. Nel biennio le tre denominazioni hanno messo a segno una crescita del 27,2% sul 2019 a quota 752,7 milioni di bottiglie vendute nel 2021. Risultati consistenti sono stati ottenuti anche da Barolo (+27%), Brunello di Montalcino (+40%), Gavi (+23%), Venezia Doc (23%), Orvieto (+17%), Franciacorta (+12%), Chianti Classico (+11%), Delle Venezie (+11%), Nobile di Montepulciano (+10 per cento).
In termini di valore complessivo dell’imbottigliato certificato, nel 2021 sono stati oltrepassati i 9,43 miliardi di euro, cifra superiore di oltre 1,34 miliardi al dato del 2019. La graduatoria del valore è guidata dal Prosecco Doc, con circa 2,7 miliardi, seguita dal Delle Venezie Doc con 1,06 miliardi e dal Conegliano Valdobbiadene con 623 milioni. Seguono poi Franciacorta, Asti, Chianti Classico, Brunello, i cui valori sono compresi tra i 350 e i 200 milioni di euro.
Su 218 denominazioni certificate, le prime 20 concentrano ben l’82% del valore e le prime 50 superano il 95%, mentre le ultime 100 ottengono uno 0,46 per cento. “Ciò significa – spiega Liantonio – che l’ossatura produttiva ed economica della viticultura italiana è rappresentata da poche decine di denominazioni ben strutturate e organizzate, mentre molte altre decine, se non centinaia, giocano un ruolo marginale se non di pura testimonianza”.
*Notizia modificata alle 11.00 del 30/06/2022