La candidatura a patrimonio Unesco del Brda sloveno e del Collio italiano è in progetto da qualche anno, ma non è ancora stato presentato il dossier ufficiale. La collaborazione transfrontaliera sarebbe solo l’inizio di un percorso di lavoro che trasformerebbe tutta la zona del Collio-Brda in laboratorio europeo sui temi della sostenibilità ambientale, della tutela delle tradizioni e delle minoranze. Si potrebbero impostare nuovi standard di collaborazione transfrontaliera utili per altri territori di confine europei.
Alcuni produttori friulani hanno già avviato per conto loro dei sodalizi con vignaioli sloveni. È il caso di Robert Princic di Gradis’ciutta che insieme a Matjaz Cetrtic crea un Metodo Classico da uve di ribolla in parte provenienti dal Collio, in parte dal Brda, chiamandolo Sinefinis.
Il nome, d’ispirazione latina, esprime il concetto di senza confini e fine. Un’iniziativa che cresce di anno in anno, sia in Italia sia in Slovenia. “Lo presentammo nel 2011 – racconta Princic – alla presenza degli allora capi di stato Napolitano e Türk. Poi ho deciso di realizzare un vino che mi riconducesse alle origini della mia famiglia, nel ricordo di mio nonno che coltivava i suoi vigneti nell’allora Jugoslavia. Nasce così Sveti Nikolaj, Rebula (ribolla in sloveno), con uve provenienti da Zali Breg, nel Brda”. Altri produttori del Collio hanno rapporti con il Brda. Kristian Keber, titolare dell’azienda Edi Keber, fonda la Kristian Keber nel 2012 in Slovenia producendo un unico vino (come fa del resto anche in Collio) dal vigneto di neppure due ettari del nonno materno. “Il vino, che si chiama Brda (ribolla, friulano, malvasia), a denominazione Kakovostno Vino Zgp – spiega Keber – è prodotto e imbottigliato in Slovenia. È un tributo alla storia della mia famiglia, che ha origini slovene”.
“Il mio bisnonno Anton – racconta Silvio Jermann – nacque a Biljana, nel Brda, poi si trasferì a Villanova dove intraprese l’attività vitivinicola. Le radici della mia famiglia sono quindi slovene”. Nel 2007 Silvio Jermann produce un vino, Vecchia Contea, a base di ribolla e Pinot bianco, da uve provenienti sia dal Collio sia dal Brda. Era etichettato come vino da tavola della Comunità europea e fu un precursore del vino attualmente in commercio, Visvik, da ribolla in purezza. “Višnjevik, nel Brda – spiega Jermann – è il paese di riferimento per la ribolla gialla in Slovenia ed è vicino a Biljana, da dove veniva il mio bisnonno. È per questo che abbiamo acquistato lì dei vigneti, inizialmente circa 4 ettari, con vigne già esistenti, dalle quali nel 2016 nacque la prima annata di Visvik, vino bianco ottenuto in Italia da uve vendemmiate in Slovenia. Il 2017 non fu prodotto e per il 2018, l’annata attualmente in commercio, decisi di farne un’edizione speciale, in occasione della ricorrenza del centenario dalla fine della prima guerra mondiale”. A quei tempi il Collio era ancora un’unica zona viticola, fu la seconda guerra mondiale che lo divise in due, il Brda sloveno e il Collio italiano. “Visvik nel ‘18 è un Brda Rebula, perché nasce da uve ribolla slovene, vinificate nella cantina di Castel Dobra in Brda e poi imbottigliate a Ruttars nel Collio. Un vero e proprio vino transfrontaliero. Resterà unico, perché la prossima annata in commercio, la 2020, riprenderà lo status di vino bianco ottenuto in Italia da uve vendemmiate in Slovenia. Quest’idea non è un’operazione di marketing, ma un ritorno alle mie origini, un ripercorrere a ritroso la storia della mia famiglia”.
RETE D’IMPRESA PINOT BIANCO DEL COLLIO
In Italia non esiste una denominazione interamente dedicata al Pinot bianco, sebbene entri in varie Doc provinciali e regionali.
A fare rete intorno al Pinot bianco, si sono impegnati sette produttori del Collio: Castello di Spessa, Livon, Pascolo, Russiz Superiore, Schiopetto, Toros, Venica&Venica, che su questo vitigno hanno puntato da tempo, generazione dopo generazione. L’unione fa la forza e queste cantine hanno deciso di mettere assieme competenze ed esperienze nella valorizzazione e nella promozione di questo vitigno che esiste nel Collio da oltre centocinquanta anni. L’arrivo delle prime barbatelle di Pinot bianco nel Collio goriziano si deve infatti al conte La Tour di Capriva, alla fine del XIX secolo.
Le aziende della Rete del Pinot bianco nel Collio hanno scelto di unire gli intenti ed ergersi a protezione del proprio territorio, preservandolo per le generazioni future. Creano un progetto comune per innalzare il valore del Pinot bianco, che qui trova un terreno vocato con la celebre ponca (ovvero il nome del flysh in Friuli, un impasto di marna e arenaria stratificatesi nei millenni) a generare vini sapidi, longevi e unici. “Ci stavamo pensando da qualche anno – commenta Franco Toros – spinti dall’intuizione di Marco Felluga. È stata una sua idea, non a caso alla presentazione ufficiale nel giugno del 2021 fu lui, che da tanto tempo auspicava questo sodalizio, a consacrare l’accordo di collaborazione fra noi sette. Stiamo comunicando l’importanza di questo vino e anche la sua longevità, come possiamo testimoniare con le nostre storie. Ci siamo prefissati di far conoscere il Pinot bianco del Collio, ad oggi coltivato al 3% sulle nostre colline e anche di trovare nuovi mercati. Noi sette produciamo 76.000 bottiglie di Pinot bianco. Il sodalizio è aperto, altri possono aggiungersi a noi, purché in sintonia con gli obiettivi comuni”. La rete è autofinanziata dai produttori e si prefigge di portare economia al territorio, usando il volano del turismo, però restando custode di questa terra, attraverso le buone pratiche di rispetto per l’ambiente. “Ci stiamo adoperando – racconta Ornella Venica – per attivare un protocollo di sostenibilità interno, di trasparenza e tracciabilità, aiutati da un ente certificatore”. Molte le iniziative promozionali: ad Ein Prosit hanno organizzato sia una cena con Antonia Klugmann animata dalle nuove generazioni delle sette cantine sia una degustazione con un racconto dei vini longevi alla presenza dei titolari; a “10 ore di bellezza per Gorizia” al Teatro Verdi hanno finanziato una mostra con opere inedite di Kandinskij, Van Gogh e Matisse, seguita dal “Convivio” serale dedicato alla bellezza, all’arte e al vino, dove hanno anche presentato una loro creazione d’arte in legno, unione delle sette anime aziendali. A marzo hanno incontrato, accompagnati dalla loro opera artistica, prima i ristoratori e i sommelier e poi i gestori di enoteche in due ristoranti di Milano.
L’ASSOCIAZIONE PRODUTTORI DI OSLAVIA E LA RIBOLLA
Oslavia, patria della ribolla macerata. Due furono i padri fondatori di questo stile, internazionalmente riconosciuto come orange wine: Joško Gravner e Stanko Radikon. E se l’origine dei macerati va ricercata in Georgia, va sottolineato che quei vini difficilmente escono dai confini nazionali, mentre la marcia dei ‘vini arancio’ promossa da Radikon e Gravner ha contagiato il mondo.
Nel 2010 ad Oslavia nasce l’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia (Apro), presieduta da Martin Figelj, dell’azienda Fiegl. “Sette produttori – spiega Figelj – Dario Prinčič, Stefano Bensa de La Castellada, Marko Primosic, Martin, Robert e Matej Figelj di Fiegl, Saša Radikon, Franco Sosol de Il Carpino, Joško e Mateja Gravner si sono uniti per tutelare la storia dei vini macerati da ribolla in purezza e far conoscere al mondo il colle di Oslavia attraverso il vitigno che meglio lo rappresenta. Il nostro simbolo, che appare sui tappi o sull’imballaggio o sull’etichetta, è un acino arancione”. Nel 2018 stilano un disciplinare per far diventare la Ribolla di Oslavia la prima Docg orange, per evidenziare la connessione di questo vitigno autoctono con il terroir e con le antiche pratiche. Non se ne farà nulla, ma i produttori adottano questo disciplinare dalle maglie più strette internamente. Attraverso Ribolliamo, un evento annuale organizzato da Apro che richiama una quindicina di ospiti italiani e stranieri alla scoperta di Oslavia e dei suoi produttori, richiamano l’attenzione sul territorio, per valorizzare la sua produzione vinicola e il suo paesaggio.
“Nel 2021 – prosegue Figelj – abbiamo inaugurato ufficialmente sette panchine arancioni (una per azienda) nei nostri vigneti o in punti storici o paesaggistici strategici, per promuovere turisticamente Oslavia”. Il percorso che le collega è tracciato su Google, così i turisti potranno muoversi nel ‘colle dei sette produttori’ in sicurezza e autonomia. Ad ogni panchina, inquadrando il QrCode, i viandanti scopriranno i messaggi che i vignaioli hanno dedicato loro.