Puntare sull’innovazione non solo per migliorare la value proposition dei propri prodotti, ma per influenzare il mondo food nel suo complesso. Parte da questa vision il programma di investimento in ricerca e sviluppo di Csm Ingredients, multinazionale attiva nella ricerca e produzione di ingredienti alimentari, con 520 milioni di euro di fatturato nel 2021 e 1.400 dipendenti, acquisita nel 2021 da Investindustrial con l’obiettivo di creare un polo ingredient-tech dedicato alla ricerca di soluzioni innovative.
Il programma, che mette sul piatto oltre 200 milioni di euro in cinque anni, ha aperto le danze a fine febbraio con l’acquisizione di Hi – Food, startup di Parma specializzata nella ricerca, sviluppo e produzione di ingredienti di origine naturale e privi di additivi chimici. Come si orienta dunque la strategia di Csm Ingredients oggi? “Quando è stata acquisita da Investindustrial – chiarisce il CEO Aldo Uva – l’idea era di far evolvere un’azienda forte nei preparati per bakery tradizionale (che rimane) verso la creazione di valore nel food attraverso la tecnologia. Puntando all’acquisizione di realtà avanzate che avessero già prodotti nel campo dell’ingredientistica funzionale, si è scelta un’eccellenza come Hi Food. Oggi la maggior parte delle aziende investe nell’innovazione solo in relazione ai propri prodotti e questo è limitante, ma se innovo anche per impattare il food business in generale si aprono prospettive diverse. È quello che abbiamo fatto con Hi – Food”.
Clean label, naturalità e plant based
Il concetto di cambiamento risulta strategico nell’impostazione di Csm. “Sono convinto che il mondo del food non possa cambiare se non partendo dall’ingredientistica”, spiega il CEO. “Oggi si parla di food tech, ma è un concetto vuoto. Bisognerebbe invece parlare di ingredient tech, perché è partendo da qui che si può dare un nuovo valore al food e fare food diverso. Quando parliamo di clean label significa creare un prodotto con meno componenti artificiali, ecco perché clean label e naturalità sono due pilastri per noi”. Poi “puntiamo a creare food che possa essere metabolizzato dall’organismo senza creare stati infiammatori o alterazioni. Infine una quarta direttrice trasversale punta a favorire diete plant based anziché animal based”.
Se per anni l’industria food ha investito soprattutto su marketing e branding, “ora tutti cercano di capire come trasformare il food in maniera net positive, cioè dando al pianeta più di quello che gli si prende”, chiosa Uva. E cita per esempio l’industria della carne, che oggi vale 1,5 trilioni di dollari su scala globale e con l’evoluzione del segmento plant-based meat si è ampliata enormemente la piattaforma per chi opera nell’ingredientistica. “Si pensi a quello che si deve fare per sostituire non solo la carne, ma anche le proteine animali all’interno di alcuni prodotti (dal dairy al bakery) – aggiunge il manager – E ancora per sostituire zucchero e grasso con ingredienti ricchi di fibre e carboidrati. Ecco, questo mondo cresce a ritmi vertiginosi e la tecnologia, fino ad oggi cenerentola nel food, giocherà un ruolo fondamentale”.
Crescita accelerata col made in Italy
Se oggi il mercato dell’ingredientistica cresce in un range tra il 2,5 e il 5%, Csm punta a superare questa soglia attraverso un’espansione geografica (espandendosi in Brasile, Cile, Nord America), nuove categorie di prodotto e vendendo l’innovazione prodotta in Hi – Food in forma di ‘building block’ che l’industria può utilizzare per linee di prodotto molto diverse. In questa prospettiva, il made in Italy conta moltissimo – ammette Uva – “perché Hi – Food, che nasce nella food valley di Parma, ha nel Dna la consapevolezza di dover creare un’ingredientistica non solo funzionale ma anche in grado di fare prodotti buonissimi. Oggi avere radici in Italia sia per la parte tradizionale sia per quella di innovazione vuol dire lavorare su nutrition e anche su taste, che è un altro dei nostri pilastri”.
Al momento, però, emerge con forza il problema dei rincari su materie prime, energia, logistica. “L’anno scorso le nostre materie prime di riferimento, dagli olii ai grassi ai cereali, hanno avuto un incremento del 50% sul 2019 – riferisce Uva – e oggi hanno un ulteriore 50%-60% di crescita. Stiamo entrando in una forte fase inflazionistica. Con la pandemia hanno chiuso alcuni stabilimenti di trasformazione e, quando il mercato è ripartito, inizialmente non c’erano abbastanza materie prime. Proprio mentre stavamo superando quella fase, è arrivata la crisi russo-ucraina che ora sta mettendo a rischio l‘approvvigionamento di energia, olio di girasole e cereali. Dobbiamo quindi capire come garantire continuità di prodotto ai nostri panificatori in Europa a costi calibrati”. Oggi “meno del 10% degli ingredienti che ci dà la natura fa quasi il 100% del food che consumiamo ovunque. Non c’è stata attenzione nel cercare ingredienti alternativi, cosa che invece dobbiamo iniziare a fare”. E sul piano etico la corsa ai profitti rischia di impoverire il mondo nel suo complesso.
Nutri-score e informazione, focus sul metabolismo
Con riferimento ai temi, molto dibattuti, del nutri-score e del nutri-inform (sotto forma di batteria o di semaforo), Uva rileva come l’informazione al consumatore e l’educazione alimentare si confronti con un problema. “Nessun sistema sarà mai perfetto – afferma – perché il nostro organismo metabolizza gli ingredienti in maniera diversa da individuo a individuo. Nel nostro corpo abbiamo 3 miliardi di cellule, ma altrettanti funghi e batteri che regolano in maniera diversa il metabolismo di ogni persona. Dare una direzione o una informazione univoca al consumatore è scientificamente errato. Ci si deve invece focalizzare su una informazione chiara, utilizzando la tecnologia; un esempio interessante sono i biosensori, che ci dicono in tempo reale di quali ingredienti il nostro corpo ha bisogno in un determinato momento, aiutandoci quindi a scegliere nel modo corretto tra i vari prodotti che abbiamo di fronte. È una tecnologia in evoluzione, ma nel frattempo non possiamo confondere i consumatori”.