Il vino italiano ha l’occasione per uscire dal tunnel della pandemia con una nuova identità. I numeri relativi al 2020 riflettono, certo, un segno negativo sul fronte delle esportazioni. Ma la curva non ha cambiato inclinazione in modo tangibile rispetto al pre-Covid. E, soprattutto, non l’ha fatto per ciò che riguarda il valore del prodotto esportato. In altre parole, la fase declinante di volumi e valore era già in atto. L’aspetto interessante è che il sistema sembra aver preso consapevolezza di questo, e aver avviato una reazione.
Ha suscitato forte attenzione l’analisi, pubblicata nelle scorse settimane, dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini, che ha messo in fila i Paesi esportatori per fascia di prezzo. Ebbene, i numeri italiani sono impietosi. Solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro (di cui il 28% sta sotto i 3 euro). Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi.
Il tema di un necessario cambio di posizionamento è stato il punto di partenza del Summit Pambianco. Uno dei messaggi chiave emersi nella giornata è che la ripresa non è uguale per tutti. La fase pandemica, infatti, ha cambiato il mercato, consolidando due nuove abitudini: l’acquisto online; e l’acquisto garantito dal marchio, principale stella polare per orientarsi nel mondo digitale e, ormai, senza confini.
Queste evoluzioni sono a loro volta alla base dell’accelerazione del processo di aggregazioni che ha caratterizzato il sistema negli ultimi mesi, e che molto probabilmente continuerà a caratterizzarlo nel prossimo futuro. Il digitale avrà un ruolo sempre maggiore, e richiederà strutture in grado di garantire efficienze e sinergie logistiche, fattori possibili solo oltre un certo livello dimensionale. Inoltre, sarà sempre più necessario adottare strategie di riconoscibilità del brand, e di valorizzazione del prodotto. Facendo proprio un principio finora estraneo alla cultura delle cantine nazionali: non serve saper vendere un vino che piace al vignaiolo; è invece necessario saper vendere un vino che piace al mercato. E farlo al meglio.
Solo così, un ‘grande’ vino potrà trasformarsi in un vino ‘da grandi’ risultati.