La provincia di Trento, tra quelle italiane, è forse quella più sui generis. Lo è perché nei suoi 10.200 ettari vitati, che rappresentano circa l’1,5% del totale tricolore e che si estendono dalle sponde del lago di Garda fino alle pendici delle Dolomiti, sono coltivati una ventina di vitigni che alimentano un parterre di 164 aziende, suddivise in 119 imprese vinificatrici, trenta società operanti nei settori del commercio e dell’industria e quindici tra grandi cantine sociale e cooperative. Una superficie che di per sé è addirittura inferiore a quella del 1970, come indicato dal Consorzio vini del Trentino.
Una realtà che ha in seno 83 soci, ha spiegato a Pambianco Wine&Food il direttore generale Graziano Molon, per un “tessuto variegato e diversificato di produttori che si identificano nelle produzioni cooperative, nei loro conferitori, nelle cantine di media dimensione e nei vignaioli di dimensioni più contenute e produzioni di nicchia”. Questo sistema, ha aggiunto il manager, “in questo momento di grande crisi, proprio per la sua diversificazione e la sua presenza nei vari canali distributivi dalla gdo all’horeca, pur nella difficoltà complessiva, ha garantito una miglior tenuta rispetto ad altre realtà”.
E questo a fronte di un’offerta che, se da una parte non comprende nessuna Docg, dall’altra garantisce cinque Doc (Trentino, Trento, Teroldego Rotaliano, Valdadige e Casteller) e due Igt (Vigneti delle Dolomiti e Vallagarina). Il tutto per una produzione complessiva di circa 990mila ettolitri dei quali circa 728mila Dop e circa 212mila Igp, o ancora, ma guardando al prodotto finito, 287mila ettolitri di vini rossi e rosati e 703mila ettolitri di vini bianchi. La superficie vitata al 2019 è dominata da Pinot Grigio (28,9%), Chardonnay (26,8%) e Müller-Thurgau (9,3%), lasciando alle bacche rosse di Teroldego (6,3%) e Merlot (5,4%) il compito di chiudere la classifica dei cinque vitigni più diffusi nella provincia.
E se la Top5 delle uve è schiacciante per composizione, altrettanto lo è quella dei fatturati, che vede saldamente in prima posizione Cavit, consorzio che comprende undici cantine di primo grado (Cantina Sociale Roveré della Luna, Cantina Rotaliana, Cantina La-Vis e Valle di Cembra, Cantina Toblino, Cantina Sociale di Trento, Cantina Aldeno, Cantina Vivallis, Agraria Riva del Garda, Cantina D’Isera, Cantina Mori Colli Zugna, Cantina Sociale Viticoltori in Avio) e la tedesca Kessler (spumanti). Realtà che ha chiuso il ultimo esercizio con ricavi per quasi 210 milioni di euro, +9,6% sui dodici mesi precedenti, tenuto conto dell’acquisizione di Casa Girelli, Cesarini Sforza e Glv da Cantina di Lavis e Valle di Cembra. Per Enrico Zanoni, direttore generale: “È stato un anno straordinario nonostante un primo impatto negativo e penalizzante che ci ha costretti riorganizzare la produzione per rispettare le norme anti-covid”.
Il secondo gradino del podio invece appartiene a Mezzacorona, 193,6 milioni di euro e +3,7%, che oltre all’etichetta ammiraglia controlla altre cinque cantine comprese le trentine Castel Firmian e Rotari, la distilleria Nota e l’azienda agricola Valentina (mele). “Dopo 15 mesi di pandemia ne stiamo uscendo abbastanza bene, considerando che il 60/65% del nostro business arriva dalla Gdo”, è il commento di Francesco Giovannini, direttore generale del gruppo. Al terzo posto, un po’ a sorpresa, c’è invece Provinco di Italian Wine Brand, 96,8 milioni di euro (+16,7%), che però, pur avendo sede a Rovereto, ha presenze più evidenti in altre regioni, come Puglia e Piemonte.
Chi è sceso dal podio, e proprio a causa della pandemia, è il gruppo Lunelli, che tra le realtà più grandi del Trentino è quello che più di ogni altro ha nell’horeca il suo sbocco principale. La società, che controlla Cantine Ferrari, Tenute Lunelli, Bisol 1542, Segnana, Surgiva, Cedral Tassoni si è fermata a 85 milioni di euro, 21milioni in meno rispetto all’esercizio precedente. Anche La-Vis, quinta con poco più di 23,9 milioni di euro, ha visto un significativo calo del fatturato, ma anche a causa dell’uscita dal perimetro di Cesarini Sforza, Girelli e dell’80% della Glv cedute a Cavit.
Dunque i big del trentino hanno vissuto diversamente un anno dai due volti. Esercizio che alla fine ha premiato chi guarda come primo approdo alla grande distribuzione e penalizzato chi poggia le proprie strategie nel mondo dell’horeca. A pagare di più sono stati i produttori di Trento doc partendo naturalmente dal gruppo Lunelli, che con le oltre 5milioni di bottiglie commercializzate ogni anno da Ferrari, copre da solo più del 50% delle nove milioni di pezzi prodotti dall’intera denominazione.
Per Camilla Lunelli, direttore comunicazione e rapporti esterni del gruppo: “Tutto il mondo delle bollicine ha sofferto, questo perché nel corso dell’anno sono saltate le celebrazioni e anche la convivialità è stata fortemente ridotta, detto questo, per noi è stato interessante osservare come a tenere mercato sono stati gli estremi della nostra offerta, cioè il Ferrari Brut e Giulio Ferrari”. Scavallato il passato, ora tocca a un presente e un futuro che sembrano aver cambiato il passo; nel mondo come nel Trentino. A darne conferma è per primo Enrico Zanoni di Cavit: “In questi primi mesi abbiamo visto una crescita significativa e anche gli spumanti stanno ben funzionando”. Non diverso è il percepito di Francesco Giovannini che ha sottolineato come per Mezzacorona ci sono già: “Dati molto interessanti per il prossimo bilancio e, guardando al futuro, ci aspettiamo risultati ancora migliori considerato che abbiamo approfittato della pandemia per focalizzarci su nuovi progetti, con nuovi brand e prodotti in linea con quelli che sono le aspettative dei mercati”.
Chi più di ogni altro sta vivendo un 2021 a tutta velocità è proprio il gruppo Lunelli che, nonostante tutte le prudenze del caso, “abbiamo iniziato con una performance addirittura superiore a quella del 2019 che per noi è stato un anno record”, ha sottolineato la stessa Camilla Lunelli: “Questo anche in virtù dell’accordo di partnership triennale con la Formula Uno che sta iniziando a dare i suoi frutti”. Il tutto in attesa dell’ingresso in perimetro della recente acquisizione Cedral Tassoni.
Dunque le prospettive per il vino trentino sono promettenti e potrebbero anche diventare brillanti considerati i margini di crescita sia in termini di qualità che di quantità. Naturalmente ci sono ancora delle cose da fare e pianificare. Il primo passo per Graziano Molon: “È quello di proseguire con il percorso virtuoso di sostenibilità ambientale, iniziato nel 2016 e che vede il Trentino quale unica realtà regionale italiana che certifica l’uva di quasi 6mila viticoltori, in buona sostanza tutto il territorio vitato”. A questo si aggiunge l’invito di Enrico Zanoni, “di lavorare con più forza sulla distribuzione, sulla promozione storica e sull’enoturismo”, aggiungendo che, “per i vini fermi c’è bisogno di un miglioramento a prescindere, tenuto conto che già oggi godono di ottima immagine e di un eccellente rapporto qualità/prezzo, ma forse andrebbero evidenziate meglio alcune specifiche eccellenza”.
Osservazioni condivise da Francesco Giovannini, soprattutto sui vini rossi: “Dove si può fare ancora tanto, soprattutto focalizzandoci su Teroldego Rotaliano e Marzemino, magari cercando di replicare il lavoro fatto da Trento doc, oggi riconosciuto in tutto il mondo”. Denominazione quest’ultima che per Camilla Lunelli, “porta già in dote la soddisfazione per la qualità offerta da tutte e 57 le cantine che lo producono, ma non è ancora sufficiente, perché si può fare ancora molto sulla forza del marchio all’estero, occorre lavorare di più sulla cultura, a partire dal nome Trento doc, e, infine, sfruttare ancora di più il potenziale di produzione, noi a esempio stiamo impiantando vigneti sempre più in quota, anche per prevenire i cambiamenti climatici”.
L’articolo è tratto dal numero di settembre/ottobre di Pambianco Wine&Food Magazine