Serve un protocollo di sicurezza sanitaria stringente ed è prioritario anche incrementare il più possibile gli spazi all’aperto di bar e ristoranti italiani. Perché le aree esterne sono un lusso in Italia: il 46,6% dei locali ne è addirittura totalmente sprovvisto. Per questo Fipe – Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi si è posta come obiettivo lavorare in sinergia con i comuni per agevolare quanto meno gli spazi esterni e le concessioni per i dehors.
La ripartenza anche per il settore ristorazione è prevista per il prossimo lunedì 26 aprile. Ma secondo la federazione saranno oltre 116 mila le realtà a non godere della boccata d’ossigeno annunciata dal governo, che prevede appunto una parziale riapertura delle attività di somministrazione di alimenti e bevande a partire da lunedì. Apertura che riguarderà soltanto i ‘fortunati’ che risiedono nelle zone gialle e detentori di spazi all’aperto, in quanto la ristorazione, consentita anche a cena nel rispetto dei limiti imposti dal coprifuoco, potrà essere effettuata solo, appunto, all’esterno. Bisognerà aspettare infatti solo l’1 giugno per consumare al chiuso, attività che sarà consentita, tra l’altro, solo per il servizio pranzo.
“Questo è un colpo di grazia per la ristorazione”, ha detto a Pambianco Wine&Food Aldo Cursano, vice presidente di Fipe. “È da ottobre che viene impedita l’apertura serale, creando così una profonda crisi nel settore. E imponendo ora la discriminante degli spazi all’aperto, si condannano a morte tutte quelle attività che ne sono sprovviste”. Ciò “fa particolarmente male, soprattutto alla luce di tutti gli investimenti fatti per rendere i locali sicuri che, nonostante tutto, continuano a essere considerati fuorilegge”. Inoltre, “anziché migliorare, i provvedimenti sono diventati ancora più restrittivi. Se prima infatti in zona gialla si poteva mangiare al chiuso, ora bisognerà attendere giugno. Siamo quindi profondamente preoccupati per la tenuta di ciò che è rimasto”. Una situazione ulteriormente aggravata dal fatto che “i costi continuano a esserci. Se fossero state sospese tanto le entrate quanto le uscite, avremmo fatto certo un sacrificio ma almeno le imprese si sarebbero salvate. Così no”.
In questo contesto, “noi avremmo semplicemente preferito che venisse applicato il criterio della sicurezza”. Nello specifico, “l’ideale sarebbe legare le riaperture alla campagna vaccinale. Se, come dice il governo, entro il 15 maggio tutti gli over 80 e 70 saranno vaccinati, si dovrebbe anticipare a quella data quanto previsto invece per l’1 giugno”. Poi, “con l’aggiunta degli over 60 vaccinati a fine maggio, ampliare ulteriormente il raggio d’azione, con quindi anche il servizio cena negli spazi chiusi”.
Proprio la questione spazi è uno degli elementi su cui Fipe punta i riflettori. “Riteniamo che anche gli spazi devono essere considerati come un criterio di riferimento. È necessario entrare nel merito e fare protocolli più specifici per più casi, così da consentire a chi dispone di spazi ampi, in cui poter far valere le regole di distanziamento, di poter riaprire in sicurezza. Se si fa di tutta l’erba un fascio è un problema, e nell’ultimo decreto si continua a generalizzare. Siamo fuori tempo massimo”.
In risposta a quanto previsto, anche le proteste dei protagonisti del settore non si sono fatte attendere. Tra le più eclatanti si contano quella che, un paio di giorni fa, ha visto il blocco dell’autostrada A1 Milano – Napoli nei tratti sia tra Firenze Sud e Valdarno in direzione di Roma e tra Valdarno e Incisa in direzione di Firenze. La protesta, che contestava principalmente la riapertura dei locali solo all’aperto, ha visto un centinaio di persone riverse in strada che, a turno, sedevano su un tavolino apparecchiato proprio in mezzo alla carreggiata.
Allo stesso modo, la scorsa domenica alcuni ristoratori hanno protestato sotto casa del premier Mario Draghi a Città della Pieve, in Umbria. Tra i partecipanti, anche i ristoratori Gianfranco Vissani e Simone Ciccotti.